Sapete cos’è la kava?
Una sostanza con effetti ansiolitici che negli Stati Uniti va di moda e viene bevuta al posto dell'alcol, ma che potrebbe avere effetti tossici
Negli Stati Uniti, e più in particolare a New York, da qualche tempo esistono dei locali, detti “kava bar”, in cui al posto dei cocktail si compra una bevanda che ha un effetto rilassante e non causa nausea, annebbiamento o altri effetti sgradevoli simili a quelli dell’alcol: si chiama kava e si ricava da una pianta con lo stesso nome (quello scientifico è Piper methysticum) che cresce in alcune isole dell’Oceano Pacifico. Le bevande a base di kava sono preparate a partire dalle radici della pianta che contengono dei principii attivi chiamati kavalattoni: le radici vengono seccate e macinate e poi la polvere viene aggiunta ad acqua fresca per produrre la bevanda, che se non viene allungata in nessun modo ha un gusto terroso e amaro ed è di colore marrone. I kava bar si trovano anche in Australia e in diverse isole del Pacifico, come le Fiji, dove la bevanda è consumata tradizionalmente dalle popolazioni autoctone, spesso nel corso di cerimonie per festeggiare degli eventi o per accogliere un ospite.
Negli anni Ottanta la kava fu fornita nelle comunità degli aborigeni australiani come alternativa all’alcol e negli ultimi anni il suo consumo a scopi ricreativi si è diffuso dalle isole del Pacifico, e quindi anche dalle Hawaii, alla Florida e alla California, e poi a New York, dopo che negli anni Novanta la pianta ha cominciato a essere usata per produrre ansiolitici. Negli Stati Uniti il commercio e il consumo di kava sono legali, mentre in Europa esistono alcuni divieti dovuti a possibili effetti negativi della kava sul corpo umano, in particolare sul fegato. In realtà non ci sono studi definitivi e certezze sull’argomento. Dal 19 al 22 settembre la FAO e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) discuteranno per stabilire delle nuove regole per garantire la sicurezza relativamente alla coltivazione della kava nei paesi del Pacifico e alla sua consumazione in forma di bevanda anche negli Stati Uniti.
La kava negli Stati Uniti
Sia una giornalista di The Verge, Alessandra Potenza, sia una giornalista del New Yorker, Carrie Battan, hanno provato la kava nel Kavasutra di New York, un kava bar che ha aperto nel luglio 2015. A entrambe è stato detto di bere una kava particolarmente concentrata e di berla il più velocemente possibile: alcune persone dicono di avere una tolleranza inversa nei confronti della kava, cioè di sperimentare effetti più forti con una quantità minore di sostanza dopo aver cominciato ad assumerla da un po’, per questa ragione la prima volta che si prende la bevanda è consigliato berne in quantità maggiore. Potenza ha descritto l’effetto della kava come simile a quello dello Xanax, anche se più leggero: dopo averla bevuta si è sentita meno stressata e più leggera, senza però sentirsi annebbiata come invece è successo a Battan, a cui l’effetto generale della kava non è piaciuto (e le ha fatto perdere appetito).
Negli Stati Uniti la polvere di kava si può acquistare anche su Amazon, come pure degli integratori che la contengono e una tisana dell’azienda produttrice di tè Yogi. La stessa Potenza si è preparata la kava a casa usando della polvere acquistata online, dove mezzo chilo costa dai 30 ai 60 dollari (tra i 25 e i 55 euro, circa) – dopo averla bevuta è stata un po’ male, dice nell’articolo. Per la Food and Drug Administration (FDA), cioè l’agenzia statunitense che regola il commercio e il consumo di alimenti e farmaci, la kava è un integratore alimentare: per questa ragione i prodotti che la contengono non devono essere testati dalla FDA e i produttori non devono ricevere il permesso dell’agenzia prima di metterli in commercio. Le uniche regole sugli integratori sono quelle per cui i produttori devono fare dei test e registrarne i risultati e garantire che la produzione avvenga seguendo determinati criteri di qualità.
La FDA ha però ricevuto numerose segnalazioni di persone che sono state male dopo aver bevuto bevande o ingerito pillole ottenute a partire dalla kava: i casi – 25 tra il 2004 e il 2015, alcuni dei quali gravi – riguardano problemi al fegato e arrossamenti cutanei. Ad esempio, nel 2005 una donna di 57 anni morì di epatite dopo aver preso degli integratori contenenti kava; nel 2000 una ragazzina di 14 anni fu ricoverata sempre per epatite dopo che per quattro mesi aveva usato dei prodotti contenenti kava: dopo un trapianto di fegato è sopravvissuta. Casi simili si sono verificati anche in Germania e in Svizzera alla fine degli anni Novanta. Dato che però non ci sono studi definitivi sulla possibile tossicità della kava, la FDA non l’ha vietata: i produttori devono solo inserire un avvertimento nel foglietto illustrativo dei loro prodotti che dica che potrebbero avere effetti negativi sul fegato.
Nel suo articolo Alessandra Potenza spiega che alcuni effetti della kava sono abbastanza noti: tra questi il fatto che assumerla in grandi quantità può far seccare e prudere la pelle – secondo alcuni causa anche impotenza e diminuzione del desiderio sessuale – o che può provocare nausea e perdita di peso. Per quanto riguarda gli effetti sul fegato però non ci sono certezze: molti studi dicono che c’è un’associazione tra il frequente consumo di kava e l’aumento di un enzima del fegato che potrebbe influenzare la produzione di bile, ma nei test effettuati sui topi non si sono presentati casi di intossicazione del fegato.
Radici di kava fotografate alle Isole Figi con una scatola di fiammiferi per dare un’idea delle dimensioni (Wikimedia Commons)
Secondo Potenza le ragioni per cui in alcuni casi la kava si è dimostrata tossica potrebbero essere legate al modo in cui è stata preparata. Secondo alcuni scienziati, le foglie e gli steli della pianta di kava possono essere tossici, a differenza delle radici; una distinzione poi va fatta tra le diverse qualità di kava: solo la qualità “nobile” è consigliata per il consumo nella bevanda, mentre quelle “non nobili”, tra cui la varietà detta “tudei” o “two day“, hanno effetti sgradevoli. Potrebbe anche darsi che i prodotti contenenti i kavalattoni siano dannosi se i principi attivi sono stati estratti non con l’acqua ma con l’etanolo. Secondo qualcuno i problemi riferiti alla FDA sarebbero stati causati da muffe cresciute sulla kava, per altri ancora ci sarebbero delle differenze genetiche tra polinesiani e occidentali che renderebbero alcune persone più sensibili alla kava: si tratta solo di teorie però.
La kava in Italia e in Europa
In Italia non è illegale il possesso di kava (anche chiamata kava-kava), ma nel 2002 è stata vietata la vendita di prodotti contenenti questa sostanza. In particolare, una circolare ministeriale del 22 gennaio 2002 ha sospeso la vendita di prodotti contenenti la kava – si trattava di integratori – e un decreto del ministero della Salute del maggio dello stesso anno ha vietato anche la vendita di prodotti omeopatici contenenti kava con diluizioni inferiori a 5C: cioè di prodotti che contengono kava diluita meno di 5 volte in 99 parti diluenti (cioè in parti di una sostanza neutra, come acqua o zucchero), per una diluizione totale di 1005. La decisione di vietare la vendita di questi prodotti è arrivata dopo che in alcuni paesi europei, in particolare in Germania, si è cominciato a parlare della possibile epatotossicità della kava, cioè di suoi effetti negativi sul fegato.
Comunque l’unico paese dell’Unione Europea in cui è proibito importare, vendere, coltivare, consumare ed essere in possesso di kava è la Polonia, ma non c’è un divieto a livello europeo, anzi nel 2009 la kava è stata inserita in una lista di “prodotti prioritari per l’esportazione dalle Isole Figi e dalla Papua Nuova Guinea alla comunità europea”. Nel 2015 la Germania ha eliminato il divieto di possedere prodotti contenenti kava stabilito nel 2002, ma il possesso è consentito solo dietro prescrizione medica.
Il sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) non dà informazioni sulla kava anche se rimanda a un articolo pubblicato nel 2007 su Repubblica che a sua volta cita un articolo pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology e scritto da Edzard Ernst, un medico e ricercatore britannico esperto di cure alternative. Ernst spiega che dei circa 100 casi di danni al fegato associati con l’assunzione di kava nel mondo fino al 2007, solo per 14 la relazione è stata definita “probabile” dagli studiosi, mentre negli altri casi i problemi epatici potrebbero essere stati causati da una concomitanza di fattori, tra cui l’uso di alcol o altre sostanze. Ernst dice anche che il fatto che negli anni Novanta la richiesta di kava fosse notevolmente aumentata facendo alzare i prezzi di mercato potrebbe aver spinto i produttori dei paesi del Pacifico a usare dei metodi sconsigliabili, come l’estrazione del principio attivo con l’etanolo e l’acetone, e l’uso delle foglie oltre a quello delle radici. La conclusione dell’articolo di Ernst dice che comunque non si può escludere che la kava sia tossica per il fegato.