Le indagini sulla morte di Tiziana Cantone
La procura di Napoli Nord sta cercando di stabilire se qualcuno sia responsabile del suicidio della donna: per ora ha sequestrato tre dispostivi del suo fidanzato di allora
I magistrati della Procura di Napoli Nord, che ha sede ad Aversa (Caserta), e i carabinieri di Giugliano, in provincia di Napoli, stanno indagando sulla morte di Tiziana Cantone, la trentunenne che il 13 settembre si è suicidata apparentemente per via della diffusione online – iniziata nella primavera del 2015 – di alcuni video privati che aveva girato durante rapporti sessuali con un uomo. L’inchiesta è stata aperta il 14 settembre: la Procura di Napoli Nord è quella competente per il comune di Mugnano, dove Cantone si era trasferita. La Procura ipotizza il reato di istigazione al suicidio e il fascicolo per ora è stato aperto contro ignoti. Bisogna capire insomma se qualcuno può essere ritenuto o meno responsabile del suicidio di Cantone. L’indagine è cominciata con il sequestro di due telefoni cellulari, due tablet e una macchina fotografica di Sergio Di Palo, che al tempo dei video era il fidanzato di Cantone. I dispositivi saranno sottoposti a una perizia tecnica della Procura.
Di Palo non è indagato per il momento, ma gli investigatori vogliono verificare che qualcuno dei video non fosse stato archiviato anche da lui e magari successivamente diffuso. Di Palo e Cantone si erano lasciati dopo che i video avevano iniziato a circolare, ma erano rimasti in contatto perché Di Palo aveva accompagnato Cantone da un avvocato per fare ricorso al Tribunale civile di Aversa per ottenere la rimozione delle sue immagini da siti internet e motori di ricerca. Secondo La Stampa, la madre di Cantone ha detto ai carabinieri che Di Palo aveva plagiato sua figlia, costringendola in qualche modo a girare i video di atti sessuali. La Stampa aggiunge però che qualche mese fa Di Palo aveva scritto un post su Facebook (ora cancellato, come il suo profilo) in cui si rivolgeva a chi si «divertiva» delle «disgrazie altrui», e minacciava queste persone.
La nuova indagine è contro ignoti, mentre il procedimento aperto un anno fa dalla Procura di Napoli in seguito all’esposto di Tiziana Cantone era diretto a quattro uomini precisi, a cui la stessa Cantone, tra dicembre 2014 e gennaio 2015, aveva mandato via Whatsapp delle fotografie in cui appariva in costume da bagno e a seno nudo e dei video in cui compieva atti sessuali. Anche se durante gli atti ripresi nei video Cantone era consenziente, non aveva acconsentito alla loro diffusione online. Un articolo di Repubblica che cita le testimonianze date da Cantone alla Procura di Napoli riporta i nomi, senza i cognomi, degli uomini a cui sarebbero stati inviate foto e video (ancora non è chiaro da chi: forse da Cantone stessa, secondo una delle sue versioni della storia). Per Repubblica gli uomini sono cinque: Christian, Antonio, Enrico, Luca e Antonio (il Corriere della sera e La Stampa parlano di quattro uomini e non cinque). Cantone non li conosceva di persona e smise di comunicare con loro dopo che le chiesero di incontrarsi. Dopo l’esposto di Cantone, gli uomini furono iscritti nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di diffamazione.
Repubblica ha pubblicato estratti delle tre testimonianze date da Cantone ai magistrati. Nella prima, di aprile 2015, Cantone diceva di aver perso il suo iPhone e sosteneva che i video pornografici erano finiti su Internet da qualcuno che l’avevo ritrovato. Nella seconda, del 20 maggio 2015, Cantone cambiò la sua versione, dicendo che pensava che fossero stati i quattro uomini a cui aveva mandato i video a diffonderli. Infine, a ottobre 2015, Cantone tornò in Procura per dire che non voleva accusare quegli uomini: li aveva nominati solo perché potevano avere qualche informazione sui responsabili della diffusione dei video. La sezione reati informatici della Procura di Napoli aprì un fascicolo sul reato di diffamazione, ma non su quello di violazione della privacy perché i magistrati non ritennero dimostrabile che Cantone avesse detto ai quattro (o cinque) uomini di non diffondere video e fotografie. Il 15 settembre però il Garante della Privacy Antonello Soro ha precisato che «la legge italiana prevede che la diffusione dei dati sensibili debba avvenire solo con il consenso esplicito dell’interessato», e quindi ci sarebbero stati gli estremi per ipotizzare anche questo reato.
Il prossimo passo dei magistrati di Napoli Nord sarà quello di acquisire gli atti dell’esposto presentato da Cantone alla Procura di Napoli e anche quelli del ricorso cautelare d’urgenza presentato dall’avvocato di Cantone per chiedere la rimozione dei video.
Una precisazione sul diritto all’oblio
In relazione alla vicenda di Tiziana Cantone molti giornali hanno parlato di diritto all’oblio, cioè di quel diritto a chiedere la cancellazione di alcuni materiali pubblicati che può essere esercitato da una persona a distanza di anni rispetto a quando i media hanno parlato di lei. Sul blog collettivo Valigia Blu, l’avvocato Tommaso Tani ha spiegato che in realtà nella questione di Cantone il diritto all’oblio non c’entra:
«Abbiamo la conferma [da una sentenza della Cassazione italiana] che se manca il presupposto base – la legittimità della divulgazione originaria – non è possibile parlare di diritto all’oblio, perché tale non è. Possiamo usare mille altri strumenti come la violazione del diritto alla privacy, al decoro e alla dignità personale, all’utilizzo dell’immagine, ma non l’oblio».
Cantone non aveva autorizzato la diffusione delle sue immagini e per questo non serve scomodare il diritto all’oblio. Tani dice anche che nel caso di Cantone – relativamente a quanto successo prima del suo suicidio – le ipotesi di reato che si potevano fare erano più di una, «dalla diffamazione e finendo alla violazione della privacy (che può essere allo stesso modo un reato)». Banalmente, Tani ipotizza che nel chiedere la rimozione dei video da internet, l’avvocato di Cantone abbia ipotizzato che potessero esserci le basi per chiedere il diritto all’oblio.