Storia del font dei fumetti dei supereroi
La sua forma famosissima si deve alla scarsa qualità della carta del passato, quando si scriveva a mano nei balloon
Da quando la scrittura al computer ci ha abituato a distinguere i font, siamo abituati ad associare certi stili di caratteri a determinati ambiti. Nel caso dei fumetti dei supereroi, per esempio, si potrebbe pensare che esista uno specifico e unico font per scrivere le didascalie e i dialoghi nei balloon, dato che tutti i testi dei fumetti sono scritti in modo simile: lettere maiuscole e forme arrotondate che ricordano la scrittura a mano.
In realtà non è così, dato che un tempo tutte le scritte dei fumetti dei supereroi, onomatopee colorate comprese, erano fatte a mano: ogni letterista – cioè ogni addetto alla scrittura dei testi – aveva quindi un suo stile personale. Oggi vengono usati dei font digitali che permettono di risparmiare molto tempo, ma esistono comunque delle differenze tra un fumetto e l’altro, per rispettare le differenze di stili di grafia che si vedevano quando i testi erano scritti a mano.Vox ha ricostruito in un video la storia del font dei fumetti, da quando fu creato lo standard delle lettere tutte maiuscole e alte uguali a quando è avvenuto il passaggio ai font digitali, prodotti da alcune aziende specializzate.
Già durante la cosiddetta “Golden Age” della storia dei fumetti dei supereroi, cioè il periodo dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, il lavoro nelle case editrici di fumetti come la Marvel e la DC Comics veniva diviso tra sceneggiatori, matitisti (quelli che facevano i disegni a matita), letteristi, inchiostristi (quelli che ripassavano i contorni dei disegni con l’inchiostro nero) e coloristi (quelli che aggiungevano i colori). Anche i letteristi erano citati tra le persone che avevano realizzato i fumetti insieme agli autori e ai disegnatori, e gli appassionati di fumetti conoscevano i loro nomi. Per ragioni tecniche legati alla qualità della carta con cui si facevano i fumetti, i letteristi scrivevano tutti in modo abbastanza simile, ma gli appassionati sapevano riconoscere le differenze tra le grafie degli uni e degli altri (guardando ad esempio come tracciavano certe lettere, tipo le “S”).
Lo stile delle lettere comunque era fortemente influenzato dal fatto che la carta con cui erano fatti i fumetti era di bassa qualità, molto diversa dalle pagine lucide dei fumetti di oggi, su cui si può usare qualsiasi tipo di font. L’inchiostro tendeva a fare macchie e chiazze ed è per questo che le lettere erano tutte maiuscole: le minuscole rendevano troppo difficile la lettura, dato che tendevano ad assomigliare tutte a piccoli pallini neri. Le maiuscole permettevano anche di lasciare meno spazio tra le righe di testo – non era necessario che ci fosse posto per le gambe di lettere come “g” e “y” – e poter scrivere più parole in meno spazio. Per mantenere costante l’altezza delle diverse lettere si usava uno strumento simile a un normografo, che si chiama “Ames lettering guide“: permette di tracciare linee parallele che definiscono la distanza tra la parte superiore di ogni lettera e quella inferiore, ma anche quella, per esempio, tra la lineetta centrale della “E” e quelle sopra e sotto.
La tendenza a rispettare i confini dati dalle righe tracciate con l’Ames lettering guide fa sì che tutte le lettere risultino più tozze, le “O” particolarmente rotonde e le “A” particolarmente panciute. Anche i pennini e le penne usate dai letteristi dovevano avere alcune particolari caratteristiche, così che il tratto fosse il più leggibile possibile. Il letterista della DC Comics Todd Klein sul suo sito consiglia per esempio le Faber-Castell TG1 e le Koh-I-Noor Rapidograph, come penne per il disegno tecnico, con punte di diverse dimensioni a seconda delle dimensioni delle lettere, comprese quelle in grassetto e in corsivo; come pennini invece consiglia quelli della Speedball/Hunt.
Nel tempo sono state stabilite anche altre regole per i letteristi: per esempio le “I” possono avere stanghette sopra e sotto solo quando non sono in mezzo a una parola (cioè in pratica quando in inglese sono il pronome personale “I”, cioè “io”), e che per dare enfasi bisogna usare caratteri corsivi e grassetti contemporaneamente. A un certo punto ci fu un tentativo di uniformare ulteriormente lo stile dei caratteri, risalente alla “Golden Age“: la piccola casa editrice di fumetti horror EC Comics iniziò a usare una guida per tracciare ogni singola lettera, e questo rendeva lo stile dei suoi testi più meccanico. Il sistema si adattava bene alle storie horror, ma non fu mai imitato da altre case editrici.
Le regole più accettate di allora sono tuttora rispettate nei balloon e nelle didascalie dei fumetti di supereroi, anche se oggi la qualità della carta non è più un problema. Le aziende che vendono i font digitali alle case editrici di fumetti – come Comicraft e Blambot – ne producono di diversi tipi e la maggior parte assomigliano agli stili dei letteristi che scrivevano a mano. Ai letteristi di oggi basta scegliere uno di questi font, scaricarlo e usarlo per inserire i testi usando un software. L’uso dei font digitali nei fumetti si è diffuso negli anni Novanta: in quel periodo il letterista Richard Starkings fondò la Comicraft, che oggi è la principale azienda del settore, insieme a John Roshell. Starkings ha spiegato a Vox che all’inizio c’era un po’ di ostilità nei confronti dei font digitali, soprattutto tra le persone più anziane che lavoravano nelle case editrici di fumetti. Col tempo l’atteggiamento è cambiato e oggi nessuno scrive più i testi dei fumetti dei supereroi a mano: per questo l’intero processo di realizzazione dei fumetti è accelerato.