Perché ci sono sempre più loghi senza nome?
C'entrano vari fattori, fra cui una certa praticità per le aziende e l'idea che in questo modo siano meno invasivi
Da qualche anno c’è una tendenza evidente nel modo in cui le più importanti aziende del mondo scelgono di mostrarsi attraverso il loro logo, la scritta o il simbolo grafico che identificano i loro prodotti. Fino a qualche decennio fa quasi tutti i loghi erano composti da una scritta e da un simbolo grafico. Negli ultimi anni – e ancora più negli ultimi mesi – le scritte si sono rimpicciolite, sono finite in secondo piano e in alcuni casi sono addirittura sparite: restano solo i simboli grafici, sempre più stilizzati e sintetici. Ne ha di recente parlato l’Atlantic, che nell’articolo “L’era dei loghi senza parole” ha mostrato questo trend facendo gli esempi di MasterCard, McDonald’s e Shell.
La modifica più recente è quella di MasterCard, il cui logo è cambiato qualche mese fa: il cerchio rosso e quello giallo sono rimasti ma il nome, che prima era ben in evidenza al loro interno, è diventato più piccolo ed è finito sotto ai due cerchi, in quella che sembra essere una mossa che porterà tra qualche tempo a una definitiva eliminazione della scritta. La storia del logo di McDonald’s è però quella più significativa: negli anni Quaranta il logo era complicato, con scritte e dettagli; già da anni la riconoscibilissima M gialla è più che sufficiente. Una cosa simile l’ha fatta anche Nike: all’inizio il suo notissimo logo (lo Swoosh, il baffetto) era sempre accompagnato dalla scritta “Just Do It”, che ora è rimasta come motto ma nella maggior parte dei casi non accompagna lo Swoosh. Allo stesso modo ad Apple basta una mela stilizzata.
Fa tutto parte di un processo di semplificazione che ha cause tecnologiche, economiche e psicologiche: un logo senza testo è molto più adattabile a schermi di diverso tipo, compresi quelli più piccoli degli smartphone; i loghi con i soli simboli sono anche internazionali, comprensibili in modo immediato da chiunque, ovunque; un logo senza testo è anche percepito dai più giovani come più fresco, nuovo e adattabile a qualsiasi cosa, soprattutto «in un’epoca in cui è perfettamente plausibile che una società faccia sia telefoni che auto», scrive The Atlantic.
In più i loghi senza nome permettono alle aziende che li scelgono di riproporsi sul mercato in modo nuovo, seguendo i principi di quelle due cose che gli esperti di marketing chiamano “debranding” e “decorporatizing”. The Atlantic spiega che fanno parte di una strategia che punta a rendere i brand delle aziende più personali. Il principio é: è più facile fidarsi di una semplice e carina mela stilizzata che di un intricato logo – pieno di colori, ombre e scritte – di una ditta chiamata ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica (quella di Fantozzi). L’esempio estremo del “debranding” e “decorporatizing” è la campagna fatta da Coca Cola in cui il nome della società era sostituito dai nomi propri (e poi anche da altre parole), diversi da una bottiglia all’altra. Solo negli Stati Uniti la campagna ha permesso a Coca Cola di aumentare le vendite del 2 per cento, invertendo un trend lungo 10 anni in cui Coca Cola stava vendendo sempre meno.
Come ha spiegato Jill J. Avery della Harvard Business School: «Le ricerche hanno dimostrato che l’uso delle immagini nelle pubblicità aumenta l’attenzione dei consumatori perché chiede loro implicitamente di interpretare e capire i messaggi in un modo più attivo di quello che si userebbe per interpretare delle parole. Questo processo di elaborazione ed interpretazione produce una maggiore quantità di immagini mentali e, in molti casi, una comprensione più personale del messaggio pubblicitario».