Avete visto “La battaglia di Algeri”?
Uscì cinquant'anni fa e sì, è in bianco e nero: ma è bello, controverso e ancora molto attuale
L’8 settembre del 1966 uscì in Italia La battaglia di Algeri, un film di Gillo Pontecorvo che pochi giorni prima era stato presentato alla 27esima Mostra del cinema di Venezia e pochi giorni dopo avrebbe anche vinto il Leone d’oro, il premio più importante. La battaglia di Algeri è un film di guerra – o meglio, guerriglia – che per molti versi ricorda un documentario: fu girato tutto ad Algeri ed è famoso soprattutto per la grande precisione con cui mostra i fatti storici che racconta. Fu da subito apprezzato per la sua qualità e verosimiglianza, ma fece discutere perché era chiaramente un film politico, con un’evidente posizione su eventi relativamente recenti. Il film parla infatti di un pezzo delle lotte d’indipendenza dell’Algeria contro la Francia. Durante la Mostra del cinema di Venezia in corso in questi giorni, La battaglia di Algeri è stato ripresentato in una versione restaurata.
La battaglia di Algeri è un film che potrebbe sembrare noioso (“sembra un documentario”, “è girato con attori non professionisti”, “è in bianco e nero”, “è un film colto e politico degli anni Sessanta”) ma è invece ancora oggi bello e appassionante – «un film d’azione diretto da una persona intelligente», scrisse il Boston Globe – ed è, in più, un film che parla di cose ancora molto attuali. Sono passati cinquant’anni ma è praticamente impossibile trovare un film simile a La battaglia di Algeri.
Di cosa parla e come lo fa
La battaglia di Algeri dura poco più di due ore e racconta tanti piccoli pezzi dello scontro tra l’esercito francese ad Algeri, la capitale dell’Algeria, e gli algerini che lottarono per l’indipendenza del loro paese. I francesi usarono arresti e torture; gli algerini fecero attentati e varie forme di guerriglia. La battaglia di Algeri mostra entrambe le cose, ma è chiaro che sta alla parte di chi lotta per l’indipendenza. Come spiegò Pontecorvo poco dopo la presentazione del film a Venezia, «l’intenzione nostra era raccontare il dolore, la fatica, gli sforzi immensi di tutta una popolazione che vuole a tutti i costi nascere come nazione libera». Uno dei titoli a cui si pensò fu La nascita di una nazione, un altro invece Partorirai con dolore, ma Pontecorvo spiegò che fu scartato «perché era troppo noioso».
La battaglia di Algeri si svolge quasi tutto nella casbah (o Qasba) della città, la zona più antica, fatta soprattutto di vicoli stretti e intricati. Inizia nel 1957, quando i militari francesi guidati dal colonnello Mathieu (personaggio ottenuto fondendo tra loro vari personaggi reali e interpretato da Jean Martin, l’unico attore professionista) entrano nell’appartamento in cui sanno che si nasconde il rivoluzionario (il terrorista, secondo loro) Ali La Pointe, un vero rivoluzionario algerino interpretato da Brahim Haggiag, un contadino analfabeta. Mentre i militari gli ordinano di uscire lui ripensa alla sua storia, iniziata nel 1954.
La Pointe ricorda il suo arresto per truffa ai danni di un francese, il suo incontro con altri patrioti durante il carcere, la sua fuga e il suo ritorno nella casbah, da cui inizia a collaborare con il Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN), ricoprendo incarichi sempre più importanti proprio mentre il FLN decide di passare a una vera e propria guerriglia, fatta anche di omicidi e attentati.
La battaglia di Algeri racconta passo passo cosa fa l’FLN e cosa fanno i francesi, in un costante crescere della gravità di azioni e reazioni. In tutto ciò si vedono tante facce, tanti personaggi e anche tanti elementi che complicano ancora di più la vicenda: nella trama hanno un ruolo importante anche i giornali, la propaganda, l’OAS (un’organizzazione paramilitare e clandestina francese) e le Nazioni Unite, che si interessano della questione algerina senza però capire bene cosa fare. Il film è anche pieno di dialoghi, dubbi, piani, depistaggi, mosse e contromosse delle due parti, oltre che di questioni etiche: fino a dove si può andare quando si lotta per l’indipendenza?
La storia del film va avanti fino al punto dell’iniziale flashback, mostrando cosa sceglie di fare La Pointe. La battaglia di Algeri finisce con una voce che spiega che l’Algeria ottenne l’indipendenza alcuni anni dopo i fatti mostrati: il 5 luglio 1962, dopo una guerra iniziata nel novembre del 1954 e intensificatasi a partire dal 1958.
Cosa lo rende così particolare
La precisione, per cominciare: la ricerca di luoghi, volti e fatti per raccontare una cosa finta il più simile possibile a quella vera, prendendo però una posizione e facendo scelte di regia originali. Secondo Pontecorvo la principale innovazione narrativa del film stava nel suo avere un «personaggio corale». Disse:
A questa novità mi sembra che corrisponda anche una novità di linguaggio, uno sforzo sostitutivo fatto per rimediare al rifiuto di certi moduli tradizionali, di certi effetti sicuri, paganti, e per rimediare all’assenza quasi totale dei protagonisti individuali coi quali il pubblico è abituato a identificarsi. Bisognava evidentemente cercare qualche altra cosa. Tentai la carta dell’autenticità, rifiutando ogni effetto cinematografico, cercando di dare allo spettatore la sensazione di essere presente, di vivere la storia di quel momento.
Prima di girare il film, Pontecorvo e lo sceneggiatore Franco Solinas andarono in Algeria e passarono alcune settimane per informarsi sui fatti che volevano raccontare. Per scrivere la sceneggiatura ci volle circa un anno e per girare il film Pontecorvo usò spesso un teleobiettivo e una qualità dell’immagine volutamente un po’ sgranata, per dare ancora di più l’idea della cronaca e del documentario. Nel film non c’è però nemmeno un’inquadratura che sia tratta da cinegiornali dell’epoca: sono tutte state girate apposta per il film.
La battaglia di Algeri è anche molto apprezzato per la colonna sonora: pare che all’inizio Pontecorvo volesse comporla personalmente, ma poi chiamò Ennio Morricone, che aveva da poco fatto quella di Per un pugno di dollari. C’è una storia secondo cui un giorno Pontecorvo andò da Morricone per proporgli una melodia che aveva in testa. Prima che potesse suonarla Morricone gli disse di aspettare, che anche lui ne aveva pensata una. La suonò ed era molto simile a quella di Pontecorvo. Morricone spiegò poi che l’aveva sentita fischiettare a Pontecorvo mentre saliva le scale per andare da lui, e gliel’aveva suonata così, sul momento.
Un’altra curiosità su La battaglia di Algeri riguarda il fatto che è uno dei pochi film che nella storia dei premi Oscar è stato nominato in diverse categorie in anni diversi: nel 1967 come Miglior film in lingua straniera e nel 1969 per la Miglior regia e per la Miglior sceneggiatura originale: successe perché il film arrivò negli Stati Uniti con molti mesi di ritardo rispetto all’uscita italiana.
Cosa successe dopo che uscì
In Francia fu vietato fino al 1971, per cominciare, e anche negli anni successivi fu mostrato raramente e spesso criticato. Molti francesi abbandonarono la sala quando il film fu proiettato a Venezia e i Cahiers du cinéma – un’importantissima rivista francese di cinema, attenta soprattutto al cinema d’autore – pubblicò nello stesso numero cinque articoli scritti da critici, filosofi e storici che criticarono molti aspetti del film, soprattutto il suo approccio politico. Molte altre recensioni furono invece ottime. Enzo Biagi scrisse sulla Stampa: «La battaglia di Algeri è un film bello, onesto e civile, che si sforza di capire i combattenti di entrambi le parti». Sull’Espresso Alberto Moravia scrisse invece:
Non a caso parliamo di monumento. La battaglia di Algeri, film italo-algerino, nel quale è narrata la lotta degli algerini contro i francesi, rivela un intelligente e adeguato uso del modulo neorealista per fini celebrativi ed epici. Intimista, verista e sentimentale sul piano del dramma individuale, il neorealismo rivela tutte le sue possibilità nella narrazione e nell’esaltazione di un evento collettivo.
Perché è ancora attuale?
Perché raccontando quella storia come in un documentario Pontecorvo si informò molto soprattutto sulle tecniche di guerriglia degli algerini, che sfruttarono gli stretti vicoli della casbah – che conoscevano benissimo – per avvantaggiarsi rispetto ai militari francesi. Il film è stato per decenni citato e studiato da chi si occupa di sommosse e manifestazioni violente: si dice che sia stato studiato dalle Black Panthers, un’organizzazione rivoluzionaria di neri, dagli irlandesi dell’IRA e da altri gruppi rivoluzionari in giro per il mondo. Allo stesso modo il film è stato studiato da chi deve affrontare organizzazioni di quel tipo: nel 2003 il New York Times raccontò che il film era stato mostrato dal Pentagono ad alcuni suoi esperti.
Su un altro livello il film è ancora attualissimo perché parla dei rapporti tra l’Europa e il Nordafrica, di rivoluzioni, attentati e questioni che riguardano parte del mondo arabo.