Islam Karimov è morto-morto
Dopo giorni di voci sempre più insistenti e affidabili sulla morte dell'autoritario presidente dell'Uzbekistan, l’ha infine annunciata il governo
Il presidente dell’Uzbekistan, Islam Karimov, è morto in seguito al peggioramento delle sue condizioni di salute degli ultimi giorni. La notizia è stata data dal governo uzbeko dopo alcune ore di incertezze, con Associated Press e Reuters, due delle più grandi agenzie di stampa del mondo, che avevano dato la notizia della sua morte citando loro fonti diplomatiche. Nei giorni scorsi il governo aveva confermato che il presidente dell’Uzbekistan aveva sofferto di un’emorragia cerebrale, spiegando in questo modo la sua assenza pubblica nelle ultime settimane. I diritti civili in Uzbekistan sono violati sistematicamente tanto da essere considerato uno dei paesi meno liberi al mondo e, ormai da molti anni, il governo non dà informazioni affidabili e trasparenti su Karimov e sul suo stato di salute.
Associated Press si era messa in contatto con un diplomatico del Kirghizistan e con un funzionario del governo dell’Afghanistan: entrambi avevano detto che per domani, sabato 3 settembre, sono in programma i funerali per Karimov. Il presidente afghano, Ashraf Ghani, parteciperà alla cerimonia; il diplomatico kirghiso ha detto che un invito è stato inoltrato anche al presidente del suo paese. Reuters aveva invece dato la notizia della morte di Karimov citando tre diverse fonti diplomatiche, una di queste aveva detto espressamente: “Sì, è morto”. Mancava però un’ufficializzazione da parte del governo uzbeko, che è stata diffusa nel tardo pomeriggio. Il primo ministro della Turchia, Binali Yildrim, aveva intanto già offerto le sue condoglianze.
I più recenti dubbi sulla salute Karimov si erano diffusi in Uzbekistan in occasione delle elezioni presidenziali del 2015 – che vinse con oltre il 90 per cento dei voti – quando non si era fatto vedere in pubblico per diverse settimane. A causa della mancanza di informazioni ufficiali, le apparizioni pubbliche di Karimov erano usate nel paese come una sorta di indicatore delle sue condizioni: per questo il presidente era solito ballare durante le principali festività, per dimostrare di essere in salute.
Karimov governava il paese di fatto dal 1989, quando diventò segretario del Partito Comunista dell’Uzbekistan, all’epoca una delle repubbliche socialiste che componevano l’Unione Sovietica. Dopo la fine della Guerra Fredda e ottenuta l’indipendenza, nel 1991 vinse le prime elezioni presidenziali della storia del paese, che si svolsero secondo molte organizzazioni internazionali in modo non democratico. Karimov allungò il suo mandato fino al 2000 con un referendum tenuto nel 1996, anche questo giudicato non democratico dagli osservatori: per tutti gli anni Novanta cercò di liberarsi delle opposizioni politiche imponendo rigide regole riguardo alla registrazione delle forze politiche nel paese.
Nel 2000 vinse delle nuove elezioni, poi di nuovo nel 2007 – nonostante il limite costituzionale dei due mandati presidenziali – e di nuovo nel 2015, in tutti casi ottenendo oltre l’85 per cento dei voti. Karimov era famoso anche per costringere ogni anno milioni di cittadini uzbeki a lasciare per un mese il proprio lavoro e collaborare alla raccolta pubblica di cotone.
Nel 2005, poi, in Uzbekistan si verificò uno dei più gravi massacri della storia recente: il 13 maggio migliaia di persone si erano radunate in una piazza nella città di Andijan per protestare contro l’incarcerazione di 23 imprenditori locali, accusati di terrorismo islamico. Nello stesso anno in Kirghizistan una rivolta pacifica aveva destituito il presidente comunista Askar Akayev, e i manifestanti uzbeki speravano di ottenere lo stesso risultato con Karimov. La protesta di massa era stata incentivata dal fatto che la sera prima un gruppo di oppositori di Karimov, armati, avevano fatto irruzione nella prigione dove erano detenuti gli imprenditori, uccidendo alcune guardie, prendendo come ostaggi alcuni funzionari pubblici e chiedendo le dimissioni di Karimov.
I manifestanti nella piazza di Andijan furono circondati dai soldati dell’esercito, che cominciarono a sparare sulla folla: morirono più di 700 persone (ma alcune stime parlano del doppio dei morti), tra cui donne e bambini. Alcune testimonianze dicono che alla strage seguirono fosse comuni e rapimenti delle persone ferite dagli ospedali. I governi europei e quello statunitense presero le distanze dal governo uzbeko e furono imposte delle sanzioni, ma l’Uzbekistan era uno degli alleati più importanti nella guerra contro i talebani in Afghanistan, e le relazioni diplomatiche furono presto ristabilite. Tuttora l’Uzbekistan e la sua stabilità sono considerati obiettivi strategici importanti da Stati Uniti, Russia e Cina, anche per la relativa poca rilevanza che ha nel paese il fondamentalismo islamico.