Věra Čáslavská, ginnasta e dissidente
È morta «l'atleta olimpica ceca più vincente di tutti i tempi», ricordata per le vittorie e le proteste contro l'URSS ai Giochi del 1968
di Emily Langer – The Washington Post
Věra Čáslavská, una ginnasta ceca che attirò l’attenzione del mondo non solo per le sue medaglie d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 ma anche per la sua vistosa protesta contro l’occupazione sovietica del suo paese durante la cerimonia di premiazione, è morta martedì 30 agosto a 74 anni. La sua morte è stata annunciata sul sito del Comitato olimpico ceco, che l’ha descritta come «l’atleta olimpica ceca più vincente di tutti i tempi». Stando ad Associated Press, Čáslavská è morta a Praga dopo essersi sottoposta a delle cure per un tumore al pancreas.
Čáslavská, che fu definita «la ragazza glamour delle Olimpiadi del 1968», conquistò a 26 anni l’affetto del mondo grazie alla sua leggiadria in gara. Ma a esaltare di più i suoi connazionali e i loro alleati su entrambe le sponde della Cortina di Ferro fu forse il suo atto di patriottismo ribelle in cima al podio olimpico per la gare del corpo libero, in cui Čáslavská vinse l’oro insieme alla ginnasta sovietica Larisa Petrik. Nell’agosto del 1968, due mesi prima dell’inizio dei Giochi, le forze militari guidate dall’Unione Sovietica invasero la Cecoslovacchia su ordine del leader sovietico Leonid Brežnev, per mettere fine al movimento di liberazione cecoslovacco noto come Primavera di Praga. Čáslavská – che alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 aveva vinto tre medaglie d’oro, tra cui quella nel concorso individuale – aveva firmato insieme ad altri dissenti cecoslovacchi il “Manifesto delle duemila parole”, in cui si chiedevano progressi verso la democrazia nel paese. Temendo di essere arrestata dai sovietici, Čáslavská si nascose in montagna poco prima dell’inizio dei Giochi in Messico. «Rimasi completamente isolata per tre settimane, ma continuai ad allenarmi», raccontò nel 1990 al Los Angeles Times. «Le ginnaste sovietiche erano già in Messico per adattarsi all’altitudine e al clima, mentre io mi appendevo agli alberi, mi esercitavo nel corpo libero sul prato davanti al mio cottage e mi facevo venire i calli alle mani spalando carbone». Al posto di sollevare pesi, usava sacchi di patate. «Andammo in Messico», disse Čáslavská in un’intervista citata dall’agenzia di stampa Reuters, «determinati a sputare sangue per battere gli atleti che rappresentavano gli invasori». A Città del Messico Čáslavská vinse l’oro alle parallele, nel volteggio e nel concorso individuale. Sulla trave nel concorso a squadre vinse la medaglia d’argento, e l’oro andò all’Unione Sovietica.
Čáslavská sulla trave alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 (AP)
Alla gara del corpo libero, per la gioia del pubblico, Čáslavská si esibì sulle note del “ballo del sombrero”, una danza popolare messicana. Una modifica al punteggio dell’ultimo minuto portò a un pareggio tra lei e Petrik. Come per la gara della trave, anche alla cerimonia di premiazione del corpo libero Čáslavská abbassò la testa e la girò verso la destra durante l’inno sovietico. Negli Stati Uniti il suo gesto politico fu messo in ombra da Tommie Smith e John Carlos, vincitori rispettivamente della medaglia d’oro e di bronzo nei 200 metri, che durante la premiazione alzarono il pugno ricoperto da un guanto facendo il saluto tipico dell’ideologia black power. La protesta di Čáslavská ebbe comunque grande risonanza nel suo paese e nel resto del mondo. «L’accoglienza è stata fantastica», raccontò Čáslavská ad Associated Press prima di lasciare il Messico, parlando dell’esperienza ai Giochi. «Mi sentivo come sollevata da terra e sono riuscita a esibirmi in scioltezza, sfidando la gravità».
Nonostante i rischi che avrebbe incontrato in Cecoslovacchia, Čáslavská tornò a casa. «Avevo la forte sensazione», disse al Los Angeles Times, «di dover restare qui, in modo da poter rafforzare l’autostima dei cecoslovacchi». Per anni le venne impedito di viaggiare e avere un ruolo nella ginnastica. Si mantenne facendo pulizie nelle case, prima di presentarsi in tuta da ginnastica davanti a un funzionario di atletica del suo paese, a cui disse che non se ne sarebbe andata dal suo ufficio senza un lavoro. L’uomo alla fine cedette, ma Čáslavská venne assunta solo col ruolo di consulente di altri allenatori. Alla fine degli anni Settanta, Čáslavská ottenne il permesso di allenare in Messico, dove il ricordo della sua esibizione olimpica l’aveva trasformata in un’autorità dell’atletica. Rifiutò sempre di prendere le distanze dalla firma del “Manifesto delle duemila parole” e diventò consigliera di Václav Havel dopo la Rivoluzione di Velluto che mise fine al regime comunista in Cecoslovacchia facendolo diventare presidente nel 1989.
Čáslavská era nata il 3 maggio del 1942 a Praga. Prima di dedicarsi alla ginnastica, aveva fatto pattinaggio sul ghiaccio. Vinse l’argento nel concorso a squadre – la sua prima medaglia olimpica – alle Olimpiadi di Roma del 1960 e diverse altre medaglie ai campionati europei e mondiali. A Tokyo vinse l’oro nel volteggio, nella trave e nel concorso individuale, oltre a un argento in quello a squadre. Prima di lasciare il Messico per tornare in Cecoslovacchia sposò un compagno della squadra olimpica cecoslovacca, il corridore Josef Odlozil, in una cerimonia affollata da persone comuni. «Fu come un incrocio tra una prima di Hollywood e una partita di calcio in America Latina con una tifoseria particolarmente calda», raccontò all’epoca ad Associated Press. Prima di divorziare, Čáslavská e Odlozil ebbero due figli, Martin and Radka. Nel 1993, un tribunale ceco condannò Martin Odlozil per aggressione, per una lite che portò alla morte di suo padre. Dopo l’episodio, per anni Čáslavská non si fece vedere in pubblico. Successivamente Havel concesse la grazia a suo figlio. Negli anni Novanta, Čáslavská fu presidente del Comitato olimpico del suo paese e membro del Comitato Olimpico Internazionale. Non abbandonò mai il dissenso politico, e recentemente aveva parlato contro la xenofobia e difeso i profughi.
Čáslavská alle parallele alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 (MS/AP)
«Sono una cittadina cecoslovacca», aveva detto nel 1969, dopo aver usato per la prima volta i suoi successi nell’atletica per una causa sociale. «Siamo tutti spinti a dare di più per vincere in Messico: così facendo gli occhi del mondo saranno rivolti verso il nostro paese sfortunato».
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