I cani ci capiscono più di quanto pensiamo
Una nuova ricerca dice che si fanno un'idea del significato delle parole pronunciate dai loro padroni, oltre alla loro intonazione
I cani capiscono senso e intonazione di alcune parole pronunciate dai loro padroni più di quanto era già stato ipotizzato, almeno secondo una nuova ricerca che ha analizzato le risposte del loro cervello a particolari stimoli vocali. Lo studio è stato condotto dall’Università Loránd Eötvös di Budapest, una delle più grandi e antiche dell’Ungheria, ha basi piuttosto solide e sta facendo discutere gli esperti del comportamento animale, con alcuni che hanno criticato l’affidabilità dei suoi risultati per il numero piuttosto basso di cani utilizzati negli esperimenti. I risultati della ricerca saranno pubblicati sull’edizione del 2 settembre della rivista scientifica Science e potranno essere la base per altri studi, così da comprendere meglio come funziona il cervello di alcune specie animali.
Ai padroni capita spesso di chiedersi se i loro cani capiscano effettivamente il senso dei loro comandi vocali, o se prestino solo attenzione all’intonazione della voce e al contesto. Alcuni, in buona fede e per questioni di smisurato affetto, sono convinti che il loro cane capisca ogni singola parola e per questo parlano con il loro quadrupede di continuo, come farebbero con un caro amico, immaginando di essere sempre compresi. Lo studio condotto in Ungheria non conferma questa loro convinzione, ma fornisce comunque qualche indizio sul fatto che i cani – entro certi limiti – siano in grado di cogliere il significato di alcune parole specifiche, anche senza averne consapevolezza.
Lo studio è stato condotto su 13 cani, appartenenti a quattro razze diverse: border collie, golden retriever, pastore tedesco e cane nudo cinese. Sono stati addestrati a restarsene tranquilli e a ignorare il rumoroso ma innocuo scanner utilizzato per effettuare una risonanza magnetica funzionale: un esame per nulla invasivo che serve per vedere e analizzare i tessuti interni dell’organismo, in questo caso del cervello, e per rilevare quali sue aree si attivano a seconda degli stimoli ricevuti. Ogni scansione durava circa 7 minuti, durante i quali sono state fatte sentire ai cani diverse frasi pronunciate dai loro padroni. In molti casi si trattava di semplici comandi, pronunciati con varie intonazioni.
Stando ai dati raccolti dai ricercatori, nella maggior parte dei casi l’emisfero sinistro del cervello dei cani si è attivato a seconda del senso delle parole, più o meno come avviene nel cervello umano. Le parole usate per lodare il comportamento hanno attivato più zone in questo emisfero rispetto a quello destro, e a prescindere dalla loro intonazione. È stata invece notata una maggiore attività nell’emisfero destro per l’elaborazione di informazioni più emozionali, legate in questo caso all’intonazione e non al senso delle parole. Nel caso delle parole pronunciate con tono elogiativo, le aree dei due emisferi si sono attivate in modo coordinato, suggerendo che i cani reagiscano meglio a questo tipo di stimoli.
Secondo Attila Andics, che ha guidato il team di ricerca ungherese: “Sembra che i cani tengano conto sia di ciò che diciamo sia di come lo diciamo. Non solo processano le parole separatamente a seconda del loro significato e dell’intonazione, ma sono anche in grado di combinare questo tipo di informazioni”. Andics ricorda che non si può comunque affermare, ancora, con certezza che i cani capiscano il linguaggio come facciamo noi. I risultati suggeriscono comunque che, entro certi limiti, c’è una capacità di cogliere il significato di parole diverse tra loro.
Altri ricercatori sono però scettici sui risultati ottenuti da Andics e colleghi. Le aree del cervello che si sono attivate sono contigue – e spesso sovrapposte – ad altre, che gestiscono altri tipi di informazioni. C’è poi da considerare che lo studio è stato condotto solamente su 13 cani, un campione piuttosto ridotto, e che il numero stesso delle razze prese in considerazione è stato molto limitato. Ci sono poi dubbi più generali sulle tecniche di analisi attraverso la risonanza magnetica funzionale, che a volte porta a falsi positivi o a informazioni contraddittorie. Ciò detto, resta una delle risorse più importanti per lo studio dell’attività cerebrale, anche negli esseri umani.