Storia di un gorilla e di un meme

Come la morte del gorilla Harambe allo zoo di Cincinnati – ve la ricordate? – è diventata un'assurda e controversa satira sull'indignazione online

La storia del gorilla Harambe, se frequentate internet, la ricordate sicuramente: il 28 maggio è stato ucciso da alcune guardie dello zoo di Cincinnati, negli Stati Uniti, dopo che un bambino di quattro anni era caduto nella sua gabbia. La scena era stata ripresa da alcuni passanti. Secondo i responsabili dello zoo e molti esperti di animali, abbattere Harambe era la cosa giusta da fare perché il bambino era in pericolo; secondo molti altri, invece, Harambe stava proteggendo il bambino e la sua uccisione è solo un nuovo esempio della scarsa considerazione per la vita degli animali e della crudeltà degli zoo nei loro confronti.

Come era già successo per la morte del leone Cecil e ancora prima per quella della giraffa nello zoo di Copenhagen, la morte di Harambe ha causato inizialmente aspri litigi online e molte critiche ai responsabili dello zoo di Cincinnati da parte di attivisti e animalisti. In poche ore era stata creata una pagina Facebook chiamata “Giustizia per Harambe” che aveva raccolto decine di migliaia di like e dove si potevano leggere cose come “sparare a un animale in via d’estinzione è peggio di uccidere una persona“. Le critiche più aspre, oltre che per i gestori dello zoo, erano dirette ai genitori del bambino caduto nella gabbia del gorilla, che in molti accusavano di negligenza e che una petizione online chiedeva di processare per aver causato la morte del gorilla.

Per qualche giorno le discussioni online sulla morte di Harambe hanno preso la piega che già avevano preso dopo l’uccisione del leon Cecil: si discuteva del perché il gorilla non fosse stato fermato con del tranquillante invece che con proiettili veri, di chi fosse la colpa se un bambino veniva perso di vista dai genitori allo zoo e dell’opportunità di avere ancora degli zoo nel 2016. Insomma, accanto ai vari litigi online, tra toni esagerati e molta sovraeccitazione, c’erano anche le consuete riflessioni su cosa era davvero successo. In breve tempo, tuttavia, hanno iniziato a circolare su Instagram e Twitter diversi messaggi sulla morte di Harambe con toni esagerati e parossistici: alcuni erano veri, per quanto assurdi, ma la maggior parte erano realizzati per divertimento da persone che volevano prendere in giro quelli eccessivamente commossi per la morte di Harambe. Uno dei primi e più famosi era una sorta di programma per una fittizia cerimonia di addio ad Harambe, ma in poco tempo si cominciò a trovare di tutto, da memoriali improvvisati in diverse città degli Stati Uniti – con candele, foto e messaggi d’addio – a pagine in cui gli utenti riscrivevano testi di canzoni per farli parlare della morte di Harambe.

I just wanna know why this program was #NINE 9 hours long? #RIP #Harambe #RIPHarambe #repost #rp @brose40

Una foto pubblicata da Lyle E. WhoDat Henderson (@princelylehenderson) in data:

Uno dei meme più diffusi consisteva nel photoshoppare foto di Harambe in modo che sembrassero incorniciate insieme a foto di famiglia sulle mensole di casa. Per esempio a casa di Bernie Sanders.

https://twitter.com/DankMemePlug/status/757311571915706368?ref_src=twsrc%5Etfw

Poi ci sono state: una petizione per mettere una statua di Harambe alla Casa Bianca, una per mettere una sua immagine sulle banconote da 50 dollari, una per cambiare il nome di Cincinnati in Harambe City e una per farlo diventare un Pokémon. La cosa è uscita dai normali schemi di diffusione di condoglianze online dopo la morte di persone o animali famosi, ed è diventata una cosa diversa e più grande.

Nel corso dell’estate la proliferazione dei meme su Harambe è continuata, con contenuti che diventavano sempre più assurdi e scollegati dalle iniziali rivendicazioni degli animalisti. In molti casi la diffusione dei meme online passava attraverso il menzionare direttamente gli account sui social network dello zoo di Cincinnati. Per esempio: quando l’account Twitter dello zoo ha scritto un messaggio su quanto fossero speciali le strisce delle zebre, qualcuno ha risposto “avete ucciso Harambe in modo speciale”; a un messaggio per festeggiare il giorno degli elefanti qualcuno ha risposto “Harambe amava gli elefanti”, e così via. Lo zoo prima ha chiesto agli utenti di non essere coinvolto nei meme su Harambe e poi ha disattivato del tutto i suoi account sui social network, ormai quasi inutilizzabili. Poco dopo l’account Twitter del direttore dello zoo Thane Maynard è stato hackerato e riempito di messaggi su Harambe.

Come ha scritto Brian Feldman sul New York Magazine a fine luglio, un mese prima che lo zoo di Cincinnati chiudesse i suoi account sui social network, in base ai precedenti simili i meme di Harambe avrebbero dovuto scomparire un paio di settimane dopo la morte del gorilla: invece avevano continuato ad aumentare, diventando una sorta di riflessione collettiva sul modo in cui vengono ricordati i morti online.

I meme sul leone Cecil furono una risposta alla rabbia per la sua morte, ma i meme su Harambe sono stati un’anticipazione della rabbia collettiva. Harambe è diventato un referendum e una satira sulla cultura dell’indignazione online. Il suo nome rappresenta tutto quello che c’è di sbagliato nel modo in cui i social media reagiscono alle notizie.

Secondo Feldman è stata questa dinamica a far sì che col tempo il meme si allontanasse sempre di più da qualsiasi reale contatto con la morte di Harambe per diventare soltanto una scusa per giochi di parole e battute nonsense. Uno dei meme più popolari, dopo qualche settimana dalla morte di Harambe, è diventato “Dicks out for Harambe”, un invito a mostrare il pene in segno di rispetto per lui.

https://vine.co/v/5apgA7BFm6K

La progressiva perdita di contatto tra il meme e la realtà – di fatto Harambe è diventata una meta riflessione su quello che succede online – ha tuttavia avuto anche alcuni effetti indesiderati. Per sempio Harambe è stato usato per rivolgere insulti razzisti all’attrice nera Leslie Jones. Prima alcuni utenti le avevano scritto su Twitter paragonandola al gorilla, più recentemente invece qualcuno ha hackerato il sito personale di Jones postando alcune foto di lei nuda e immagini di Harambe. Secondo Whitney Phillips, professore della Mercer University, quando i meme come quelli su Harambe vengono usati e trasformati così tanto, nel corso del tempo finiscono per far perdere il senso delle implicazioni che le battute online possono avere offline. Secondo Philips molte delle persone che hanno partecipato agli insulti razzisti nei confronti di Jones pensavano di fare una cosa divertente giocando con il meme di Harambe, senza rendersi conto di essere crudeli.

A tre mesi dalla morte del gorilla Harambe, ha spiegato al New York Times Ryan Milner, autore di un libro sulla diffusione dei meme online, è difficile dire quanto ancora potranno durare i meme e le battute online sul gorilla, ma è probabile che non finiranno molto presto. Secondo Milner, infatti, Harambe è uscito dalla “bolla” di chi normalmente si diverte per qualche giorno con il meme del momento e ha raggiunto un numero tale di persone per cui il suo successo ha cominciato ad autoalimentarsi: sempre più persone sanno di cosa si parla, sempre più persone capiscono le battute, sempre più persone ne fanno a loro volta e così via.