Le ricerche per ritardare la morte
A che punto sono studi e ricerche per rallentare l'invecchiamento e farci vivere più a lungo possibile
La persona più vecchia al mondo, di cui si sono avute notizie verificabili, fu la francese Jeanne Calment: nacque nel 1875 e visse fino a 122 anni e 164 giorni. L’italiana Emma Morano, invece, a novembre di quest’anno compirà 117 anni e risulta essere la persona vivente più vecchia del mondo. Record come questi attirano da tempo l’attenzione dei ricercatori che si occupano di invecchiamento, e che vorrebbero scoprire nuovi farmaci e soluzioni per farci vivere più a lungo e possibilmente in salute. Il settore delle ricerche intorno alla longevità è in piena espansione e, come spiega l’Economist in un lungo e dettagliato articolo, coinvolge molti ambiti della medicina, la ricerca genetica e lo studio delle abitudini di vita di chi ha superato i cento anni, e di molto.
La maggior parte delle ricerche per ora è condotta da aziende di piccole o medie dimensioni, che talvolta funzionano con la logica delle start-up della Silicon Valley e, in altri casi, direttamente come controllate delle grandi aziende farmaceutiche, che ripongono grandi speranze in una possibile nuova generazione di medicinali per invecchiare meglio, da vendere potenzialmente a milioni di persone in giro per il mondo. Gli approcci seguiti da queste aziende sono molto diversi tra loro, ma in un modo o nell’altro cercano tutti di rispondere alla stessa domanda: perché non c’è mai stato un essere umano che ha vissuto fino a 130 anni? Ed è possibile arrivarci?
Restrizione calorica
Uno dei filoni più discussi negli ultimi tempi riguarda la cosiddetta “restrizione calorica” (RC): consiste nell’assumere circa un quarto di calorie in meno rispetto alla razione giornaliera consigliata. Alcuni studi condotti sugli animali hanno rilevato che la RC può ridurre il rischio di sviluppare un tumore o una malattia cardiovascolare, rallenta inoltre la degenerazione dei nervi e più in generale contribuisce ad aumentare la durata della vita. Nonostante non ci siano ancora prove convincenti sugli stessi effetti negli esseri umani, in molti hanno iniziato a dedicarsi a una vita di privazioni con la convinzione che la RC contribuirà, almeno in parte, a far guadagnare loro qualche anno e ad aumentare la probabilità che nel frattempo la ricerca medica raggiunga qualche risultato nel campo della longevità.
La scelta della RC è contestata da molti nutrizionisti, però, perché un costante apporto calorico inferiore alle proprie necessità può causare lo stesso patologie di vario tipo, con danni seri e talvolta irreversibili per il metabolismo. La semplice privazione non può inoltre essere la soluzione a un problema molto più complesso e articolato come quello dell’invecchiamento. Eileen Crimmins, che si occupa di invecchiamento presso la University of Southern California di Los Angeles, ha spiegato all’Economist che in un certo senso malattie e altre patologie fanno a gara per ridurre la durata della nostra vita. Se si riuscissero a eliminare completamente le malattie cardiovascolari, per esempio, si potrebbero aggiungere 5 anni e mezzo di aspettativa di vita negli Stati Uniti, ma questo non escluderebbe i rischi legati ad altre malattie, come per esempio il cancro. Secondo Crimmins per aumentare l’aspettativa di vita oltre i 95 anni sarebbe necessario bloccare tutte le malattie, non solo una in particolare.
Invecchiare più lentamente
Una soluzione potrebbe essere trovare il modo di rallentare il più possibile i naturali processi di invecchiamento, in modo da rendere molto più lenta e controllabile l’insorgenza delle malattie. C’è però un altro problema a monte, che per ora ha condizionato l’entità degli investimenti nel settore: l’invecchiamento non è considerato dai governi e dalle autorità sanitarie di controllo come una malattia, ma semplicemente come una normale e naturale condizione della nostra esistenza. Se non viene riconosciuta come una malattia, non c’è la necessità di uno specifico trattamento farmacologico e di conseguenza di autorizzarne la vendita. Mancano quindi gli incentivi per lavorare su farmaci che poi non possono essere venduti, o che comunque non possono godere degli sgravi economici applicati dai servizi sanitari nazionali.
Gruppi di influenza di vario tipo e grandi centri di ricerca stanno comunque lavorando per convincere le autorità di controllo a cambiare le cose. Se l’invecchiamento fosse riconosciuto come una malattia, ci sarebbero sterminate opportunità per le aziende farmaceutiche: tutti invecchiano, quindi il mercato per farmaci di questo tipo potrebbe essere enorme e altamente remunerativo. L’Economist ricorda che attualmente ci sono comunque già un paio di farmaci approvati per altri scopi, ma che si stanno rivelando dei buoni candidati per affrontare il problema dell’invecchiamento. Sono la metformina, usata per il trattamento del diabete di tipo 2, e la rapamicina, usata per ridurre il rigetto nelle persone che subiscono un trapianto d’organi. Uno studio condotto su 90mila pazienti anziani affetti da diabete ha rilevato che l’assunzione di metformina ha aumentato il tasso di sopravvivenza, rispetto ai gruppi di controllo con persone non diabetiche; altri studi hanno messo in evidenza una riduzione nel rischio di contrarre il cancro. Per questo motivo alcuni centri di ricerca stanno organizzando studi sull’invecchiamento basati su test clinici con la metformina.
L’uso dei farmaci è visto da molti analisti come più plausibile e praticabile rispetto alla restrizione calorica. Tenere sotto controllo costantemente la propria dieta è più complicato rispetto ad assumere una pillola ogni giorno, senza contare che la strada dei farmaci appare in generale più promettente rispetto alla semplice RC. I suoi effetti benefici non sono stati ancora riscontrati con certezza nei primati né tanto meno negli esseri umani e sembra improbabile che senza terapie mirate, personalizzate su ogni individuo, si possano raggiungere risultati significativi nel contrastare l’invecchiamento.
Genetica
Alcune risposte sui meccanismi che ci portano a invecchiare arriveranno sicuramente dalla genetica, che affronta già da anni il problema con ricerche di vario tipo. Da almeno 20 anni sappiamo che modificando il gene daf-2 si può ridurre l’invecchiamento e raddoppiare la durata della vita di alcune specie di vermi cilindrici (nematodi), intervenendo allo stesso tempo sul gene daf-16. Nell’organismo umano è stato identificato un equivalente del daf-2 che sembra essere attivato nelle persone che praticano la RC, mentre negli individui molto longevi sono state rilevate particolari varianti della versione umana del daf-16. Altri studi hanno notato che la RC sembra avere un ruolo nel disattivare la proteina mTOR, che ha il compito di trasmettere i segnali degli ormoni della crescita alle cellule. In pratica, negli animali in cui la RC ha effetti riscontrabili, le cellule si regolano in modo da concentrare le loro energie nei meccanismi di riparazione cellulare e non in quelli della crescita, che ne riducono la durata.
La metformina sembra avere un effetto simile, interferendo con i recettori sulla membrana cellulare che ricevono i messaggi dagli ormoni della crescita. La rapamicina riduce le funzioni della proteina mTOR e in laboratorio ha dimostrato di allungare la vita di alcuni tipi di lievito, di vermi, moscerini e almeno nel 14 per cento dei casi dei ratti. Questo farmaco ha però effetti collaterali di vario tipo, a partire da quelli sul sistema immunitario, e il suo dosaggio deve essere quindi calibrato a seconda di ogni paziente, anche se non è ancora bene chiaro come ottenere i migliori risultati. Non si può inoltre escludere che ricerche più approfondite riducano gli attuali entusiasmi su metformina e rapamincina, come del resto è già avvenuto in passato con altri principi attivi che in un primo momento erano sembrati molto promettenti per contrastare l’invecchiamento, ma che in seguito si sono rivelati inefficaci e potenzialmente pericolosi.
Il settore della ricerca nell’invecchiamento può contare su grandi investimenti, che però finora non hanno portato a grandi risultati. Nel 2013, per esempio, si parlò molto di Calico (California Life Company), una venture company fondata da Google proprio con lo scopo di studiare i processi dell’invecchiamento e trovare soluzioni per rallentarli. Google aveva annunciato un investimento da 750 milioni di dollari, ma a distanza di tre anni dalla fondazione non si sa ancora molto sui progressi raggiunti dall’azienda. Sappiamo che ci lavorano alcuni dei più importanti esperti del settore, come Arthur Levinson, già a capo della grande azienda di biogenetica Genentech, ma a parte questo non ci sono stati grandi annunci. Calico ha comunque avviato collaborazioni con altre aziende nel campo farmaceutico, impegnate per esempio nello studio dei processi che fanno degenerare le fibre nervose e che favoriscono l’insorgenza dei tumori.
Staminali
Da qualche anno alle sperimentazioni sulla RC e ai farmaci antinvecchiamento si sono aggiunti gli esperimenti legati alle cellule staminali, che non sono ancora specializzate e che possono quindi essere indotte a differenziarsi a seconda delle necessità per sostituire cellule che non funzionano più bene. La cosiddetta “medicina rigenerativa” basata su questo principio potrebbe contribuire a renderci più longevi, ma molte delle ricerche in questo campo sono appena agli inizi e a studi seri e rigorosi condotti dai principali laboratori del mondo si affiancano spesso soluzioni più “artigianali” e inaffidabili, che promuovono da subito trattamenti per i pazienti senza i necessari test e approfondimenti. In questo senso il caso di Stamina in Italia è stato emblematico, ma ce ne sono stati di simili in altre parti del mondo. Questi trattamenti spesso improvvisati sono da svariate decine di migliaia di euro e non portano a risultati concreti, proprio perché non hanno alle spalle ricerche rigorose e con chiari protocolli per effettuare i trattamenti.
I progressi nella medicina dell’ultimo secolo, soprattutto in Occidente, hanno sicuramente contribuito ad aumentare la durata media della vita ed è probabile che continueranno a farlo nei prossimi decenni. In un certo senso alcuni risultati nella ricerca per renderci più longevi ci sono già stati, ma tendiamo a darli per scontati o a ritenerli inadeguati rispetto alla possibilità di vivere per qualche secolo.