Di cosa parleremo a settembre?
Breve guida alle questioni di cui si discuterà la politica italiana nelle prossime settimane, man mano che parlamentari e giornalisti tornano dalle vacanze
Il prossimo 12 settembre il Parlamento italiano tornerà a riunirsi dopo 40 giorni di ferie, ma in questi giorni la politica non ha mai smesso di riempire le pagine dei giornali: di solito luglio e agosto sono mesi in cui non succede niente di concreto, dal punto di vista politico, ma si chiacchiera moltissimo tra editoriali e interviste e dibattiti alle feste di partito. Quest’anno il tema di queste discussioni è soprattutto il referendum costituzionale – e le relative implicazioni sul PD e sul governo Renzi – ma la lista dei temi di cui si parlerà di più in autunno è più lunga di così.
Il referendum costituzionale
Come dicevamo, il tema politico principale di questo autunno sarà il referendum costituzionale, in cui gli italiani dovranno decidere se approvare o respingere la riforma della Costituzione voluta dal PD e dal governo Renzi. La riforma, definitivamente approvata lo scorso aprile, prevede la fine del bicameralismo perfetto tramite una significativa riforma delle funzioni del Senato, la limitazione dell’autonomia delle regioni e una serie di interventi minori, come l’abolizione del CNEL. Qui avevamo riassunto la riforma in cinque punti e qui avevamo risposto ad alcune delle domande più frequenti sul suo contenuto.
Il PD e i suoi alleati al governo stanno facendo campagna per il sì, anche se nel PD non è ancora chiarissima la posizione della minoranza anti-Renzi: ha sempre votato la riforma in Parlamento, ottenendo anche diverse cose che chiedeva, ma ora alcuni mettono in dubbio la possibilità di votare sì al referendum. Tutta l’opposizione – Forza Italia e Lega Nord, Movimento 5 Stelle e sinistra radicale – sta facendo campagna per il no. La data del voto non è ancora stata stabilita, ma secondo i giornali – prendete tutto questo con le molle – il governo sta pensando di fissarla tra la metà e la fine di novembre (si parla del 13, del 20 o del 27).
Parlando del risultato del referendum, che spesso ha definito “la madre di tutte le riforme”, Renzi più volte ha detto che in caso di vittoria dei no avrebbe dato le dimissioni e si sarebbe ritirato dalla politica: questo atteggiamento è stato molto discusso, anche da alcuni favorevoli alla riforma secondo cui Renzi avrebbe sbagliato a “personalizzare” la scelta del referendum facendola diventare una scelta sul governo e la sua persona; dall’altro lato, molti hanno sostenuto che una sconfitta al referendum sarebbe comunque una sconfitta politica tale che Renzi non potrebbe continuare a fare il capo del governo nemmeno se volesse. Di recente Renzi è sembrato adottare un atteggiamento diverso, dicendo che qualunque sia l’esito del referendum la legislatura terminerà comunque nel 2018: ma è una distinzione non chiarissima e non è un ritiro della sua promessa di dimissioni, dato che la durata della legislatura dipende solo dalle scelte del Parlamento e del presidente della Repubblica.
La legge elettorale
La questione del referendum è molto legata a quella della nuova legge elettorale approvata lo scorso 4 maggio. Il cosiddetto “Italicum” è quasi unico al mondo, perché prevede un ballottaggio tra le due liste che hanno ottenuto il maggior numero di voti al primo turno (in genere il ballottaggio si fa tra candidati e non tra partiti). La legge prevede che il vincitore del ballottaggio ottenga il 55 per cento dei seggi alla Camera e per questo è stata molto criticata, poiché potrebbe permettere a un partito che ottenga percentuali molto basse al primo turno di conquistare maggioranze molto forti in Parlamento.
L’Italicum è stato voluto dal PD e da Renzi, ma dopo le vittorie del Movimento 5 Stelle ai ballottaggi delle elezioni amministrative lo scorso giugno, molti parlamentari hanno cambiato per timore che favorisca il partito guidato da Beppe Grillo, che ha ottenuto vittorie significative ai ballottaggi ribaltando i risultati del primo turno. Al momento in molti danno per scontato che la legge elettorale sarà cambiata e si parla già di diverse possibili modifiche, alcune presentate da parlamentari dello stesso PD. Nel corso dell’estate Renzi ha lasciato intendere che il governo non si occuperà della legge elettorale, lasciando libertà al parlamento di modificarla.
In ogni caso il prossimo 4 ottobre la Corte Costituzionale si esprimerà su sei eccezioni di incostituzionalità sollevate nei confronti della legge. È possibile che la Corte accolga almeno alcune delle eccezioni, rendendo a quel punto necessaria una modifica parlamentare della legge.
La legge di stabilità
Nelle prossime settimane si comincerà a discutere sempre più intensamente anche della legge di stabilità, quella che definisce quanti soldi il governo spenderà il prossimo anno e a quali attività saranno destinati. Sarà un passaggio particolarmente delicato, visto che gli ultimi indicatori economici mostrano un significativo rallentamento della ripresa economica nel nostro paese.
L’approvazione della legge è preceduta da una serie di passaggi obbligatori. Entro il 20 settembre il governo deve presentare un documento in cui aggiorna le sue previsioni economiche e sullo stato della finanza pubblica (la cosiddetta “nota di aggiornamento” al DEF). Entro il 15 ottobre, poi, dovrà inviare alla Commissione europea una sorta di anteprima della legge di stabilità vera e propria (il “Documento programmatico di bilancio”). La Legge di stabilità sarà presentata in Parlamento dopo questi passaggi, probabilmente tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, e dovrà essere approvata entro il 31 dicembre.
Negli ultimi mesi ci sono tantissime fughe di notizie, ipotesi, indiscrezioni e anticipazioni su quali provvedimenti includerà la legge. Anche se i dettagli non sono chiari, sembra che il governo abbia alcuni punti fermi: abbassare le tasse alle imprese e adottare qualche tipo di misura a favore dei pensionati. Nei mesi scorsi Renzi ha parlato spesso di una “sorpresa”, che è stato interpretato da molti come una misura non ortodossa ma di forte impatto, come fu per esempio il bonus da 80 euro.
Gli elementi principali della legge di stabilità saranno probabilmente già stabiliti nel corso di ottobre, e quindi è probabile che avranno un impatto sui consensi per il governo e anche sulla campagna per il referendum. Il problema principale per il governo sarà recuperare le risorse necessarie per finanziare l’eventuale taglio delle tasse e aumento della spesa pubblica (in particolare per quanto riguarda le pensioni). Secondo gli accordi con la Commissione Europea, il rapporto tra deficit e PIL previsto in Italia per il 2017 dovrebbe essere dell’1,8 per cento, ma in molti scrivono che il governo sta trattando per poterlo mantenere al livello del 2018, cioè al 2,3 per cento.
Il problema delle banche
Un’altra questione lasciata in sospeso durante l’estate è la crisi del sistema bancario italiano, che per buona parte dell’estate ha subito grosse perdite in borsa, anche a causa degli stress test che hanno messo in luce la debolezza di diversi istituti. La situazione del sistema finanziario italiano ha generato preoccupazioni in tutta Europa e ha attirato l’attenzione della stampa internazionale. La questione più problematica riguarda il Monte dei Paschi, la più grande tra le banche che si trovano in difficoltà. A luglio gli amministratori avevano presentato un nuovo piano di salvataggio, ma in molti non sono convinti della sua efficacia.
Anche questo problema per il governo è in qualche modo legato al referendum. Una soluzione relativamente semplice sarebbe un qualche tipo di intervento pubblico, che però farebbe scattare il cosiddetto “bail-in”, una procedura che coinvolge azionisti e obbligazionisti nelle perdite dell’istituto. Come nel caso delle quattro banche popolari “risolte” l’autunno scorso, moltissimi obbligazionisti di MPS sono investitori privati che in caso di “bail-in” perderanno parte dei loro risparmi. Le regole europee consentono al governo di aiutare questi piccoli investitori, ma il ritardo che ci sarà tra l’intervento sui risparmi e il loro salvataggio rischia di causare un problema di consensi per il governo in prossimità del voto sul referendum.