I polsi incrociati alla maratona olimpica
La storia dell'etiope Feyisa Lilesa, medaglia d'argento a Rio, che ha voluto protestare contro il suo governo e ora non vuole più tornare a casa, per non rischiare guai
Domenica, l’ultimo giorno delle Olimpiadi a Rio de Janeiro, si è corsa la maratona maschile, vinta dal keniano Eliud Kipchoge davanti all’etiope Feyisa Lilesa. Della maratona si è parlato non solo per il risultato sportivo, ma anche per un gesto particolare fatto da Lilesa mentre superava la linea del traguardo. Lilesa, che ha 26 anni ed è uno dei maratoneti più forti al mondo, ha portato le braccia sopra la testa e ha incrociato i polsi, un gesto che in Etiopia è diventato un simbolo politico ben preciso: lo fanno spesso i membri della comunità etnica degli Oromo, la stessa a cui appartiene Lilesa, che da mesi sta protestando contro il governo federale di Addis Abeba.
Dopo la gara, Lilesa ha detto che il gesto dei polsi incrociati avrebbe potuto procurargli diversi problemi in Etiopia – avrebbe potuto essere ucciso o arrestato – e che aveva intenzione di chiedere asilo politico in un altro paese: «Il governo etiope sta uccidendo il mio popolo, io sono dalla parte di chi protesta dovunque… Ho alzato le mani per mostrare il mio sostegno alla protesta degli Oromo», ha detto Lilesa, aggiungendo che la sua famiglia è ancora in Etiopia e che alcuni dei suoi parenti sono in prigione. Il governo etiope – dominato da un’etnia diversa e molto meno numerosa degli Oromo – ha detto che nel caso in cui Lilesa decidesse di tornare in Etiopia lo accoglierebbe come “un eroe”, nonostante in televisione abbia deciso di non mostrare l’arrivo della maratona e il gesto dei polsi incrociati. Negli ultimi giorni Lilesa ha ottenuto sostegno da chi lo ha definito come il simbolo internazionale della protesta degli Oromo in Etiopia. Per esempio un’organizzazione con sede in California ha messo in piedi una raccolta fondi per aiutarlo intanto che la sua richiesta di asilo politico viene presentata ed esaminata: l’obiettivo iniziale della raccolta – 10mila dollari – è stato superato nel giro di un’ora.
Gli Oromo sono un gruppo etnico africano diffuso in Etiopia e in Kenya: sono l’etnia maggioritaria in Etiopia, che abita soprattutto la regione attorno ad Addis Abeba. Gli Oromo stanno protestando da mesi contro il governo federale guidato dal Fronte di liberazione popolare dei Tigré (TPLF), la coalizione che alle ultime elezioni – insieme ad altri piccoli alleati – ha ottenuto tutti i seggi disponibili in Parlamento. In teoria all’interno del TPLF il potere politico dovrebbe essere egualmente diviso tra i quattro partiti che ne fanno parte, e che si distinguono su base etnica, ma la componente che fa riferimento ai Tigrini è riuscita a diventare prevalente, nonostante rappresenti solo il 6 per cento della popolazione etiope.
Gli Oromo ce l’hanno con il governo federale perché ritengono di essere discriminati ed emarginati, nonostante siano la principale comunità etnica del paese. Le proteste degli Oromo iniziarono lo scorso novembre, quando si seppe dell’esistenza di un piano che prevedeva l’estensione della capitale Addis Abeba all’interno dell’Oromia. Diversi contadini Oromo protestarono contro il piano, perché temevano che il governo gli volesse confiscare le terre. Del piano poi non si fece niente ma gli Oromo non smisero di manifestare, citando nuove questioni come le violazioni dei diritti umani. Secondo l’ong Human Rights Watch negli ultimi otto mesi sono stati uccisi più di 400 manifestanti Oromo che hanno preso parte alle proteste contro il governo. Il governo ha anche arrestato migliaia di oppositori e bloccato l’accesso ad alcuni social network e diversi siti Internet che si occupavano di temi politici.
Al momento Lilesa si trova in Brasile, perché non ha un visto per entrare in un altro paese. Dice che potrebbe fermarsi per un po’ in Brasile oppure spostarsi in Kenya, un paese che ha definito “amico”.