Ora la Turchia dice che non sa se il kamikaze di Gaziantep fosse un bambino
Lo ha detto il primo ministro, contraddicendo la prima versione di Erdogan sull'attentato in cui sono morte 54 persone
Il primo ministro della Turchia, Binali Yildirim, ha detto che al momento non ci sono elementi per confermare che l’attentato suicida del 20 agosto a Gaziantep, nel sud del paese, sia stato condotto da un bambino come era stato annunciato nei giorni scorsi dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. La presunta giovane età dell’attentatore era stata al centro di numerosi editoriali e analisi sui giornali, con commenti sulle nuove strategie seguite per compiere gli attentati dallo Stato Islamico (o ISIS), indicato da Erdogan come il gruppo terrorista dietro l’attacco. Yildirim ha però detto che a oggi non si può dire con certezza da chi sia stato organizzato l’attentato e in che modo, aggiungendo che si dovranno attendere gli esiti delle indagini ancora in corso.
L’attentato di Gaziantep è avvenuto sabato scorso nella Turchia meridionale, vicino al confine con la Siria, durante un matrimonio. L’esplosione ha causato la morte di almeno 54 persone e il ferimento di decine di altri partecipanti alla festa: in 66 sono ancora ricoverati negli ospedali della zona per le ferite riportate e 14 sono in condizioni critiche.
A un gruppo di giornalisti ad Ankara, la capitale della Turchia, il primo ministro Yildirim ha spiegato: “Non siamo nella posizione di verificare alcunché sull’identità dell’attentatore, né se fosse un bambino o un adulto, e per conto di quale organizzazione. Non abbiamo indizi su chi ci sia dietro l’attentato e le prime informazioni circolate sull’autore dell’attacco, e nel nome di quale organizzazione, sfortunatamente non sono corrette”. Non è però chiaro quali nuovi elementi abbiano portato Yildirim a smentire la versione data da Erdogan dopo l’attacco e non ci sono per ora ulteriori dichiarazioni da parte della presidenza.
La smentita diffusa da Yildirim contraddice inoltre una ricostruzione piuttosto dettagliata dell’attacco suicida pubblicata ieri da Hurriyet, uno dei quotidiani più diffusi e letti in Turchia. Il giornale ha citato fonti interne alle indagini, dicendo che nei video di alcune telecamere a circuito chiuso, nei pressi di dove è stato realizzato l’attentato, si vedono due adulti che accompagnano un bambino sospettato di essere l’attentatore suicida. Dopo avere lasciato il bambino nella zona, i due si allontanano su un veicolo, in tempo per evitare di essere presenti al momento dell’esplosione. L’articolo di Hurriyet dice anche che sono in corso analisi del DNA per provare a ricostruire l’identità e la nazionalità dell’attentatore.
Reuters ha raccolto altre informazioni da alcuni responsabili della sicurezza turca, che sembrano comunque confermare il fatto che l’autore dell’attacco fosse un bambino. Tra le ipotesi non si esclude che il bambino fosse inconsapevole di avere dell’esplosivo addosso e che la detonazione sia stata attivata a distanza, senza un intervento diretto da parte sua. Per questo motivo le indagini si stanno concentrando sulla ricerca di chi ha materialmente organizzato l’attacco e preparato il materiale esplosivo. Il dispositivo era del resto molto simile a quelli utilizzati negli attacchi ad Ankara e a Suruc nel 2015, per i quali era stato indicato l’ISIS come primo responsabile.
L’esercito turco ha intanto ripreso ad attaccare i miliziani dello Stato Islamico lungo il confine con la Siria, in aiuto dei ribelli siriani che sembra stiano preparando una nuova offensiva contro l’ISIS nei territori siriani del nord. Si stima che a Gaziantep ci siano almeno 1.500 ribelli in attesa di condurre un nuovo attacco contro l’ISIS, e questo secondo alcuni analisti potrebbe spiegare l’attentato di sabato scorso proprio nella città. La Turchia ha però diretto i suoi colpi di artiglieria anche contro alcuni gruppi dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), la milizia a maggioranza curda nel nord della Siria. Secondo il governo turco, lo YPG è di fatto parte del PKK, la principale organizzazione militante dei curdi in Turchia che dagli anni Ottanta si batte per l’indipendenza dal paese.