Da oggi il Labour vota: Corbyn o Smith
Il principale partito della sinistra britannica dovrà decidere il suo futuro, in un momento di gravi divisioni e col rischio di una scissione
Oggi inizieranno le lunghe operazioni di voto che porteranno all’elezione del nuovo segretario del Partito Laburista del Regno Unito, dopo che circa un mese e mezzo fa un voto di sfiducia dei parlamentari laburisti aveva messo in crisi la già fragile leadership di Jeremy Corbyn, dando politicamente spazio alle nuove elezioni per il leader del partito. Gli iscritti al partito, i membri dei sindacati che lo sostengono (e che in Inghilterra fanno strutturalmente parte del partito) e i parlamentari laburisti avranno tempo fino al 21 settembre per votare online o per posta e decidere tra Jeremy Corbyn, che si è ricandidato a meno di un anno di distanza dalla sua prima elezione, e Owen Smith, l’unico altro candidato ancora in corsa dopo il ritiro strategico di Angela Eagle, per non disperdere i voti anti-Corbyn.
A queste nuove elezioni il Partito Laburista arriva in una situazione molto complicata e di grande divisione interna, tanto che qualche settimana fa si era parlato anche del rischio di una scissione: da una parte c’è Jeremy Corbyn, un 67enne esperto parlamentare su posizioni molto di sinistra eletto meno di un anno fa dopo le dimissioni di Ed Miliband, soprattutto grazie al sostegno dei sindacati e degli iscritti al partito; dall’altra ci sono tutti gli altri, che comprende sia l’80 per cento dei parlamentari che – anche se non ufficialmente – la struttura del partito. Il problema è che in un anno di mandato, Corbyn non è riuscito a dare una vera forma al Labour, incappando invece in diversi problemi organizzativi e di relazione con i parlamentari, in un cattivo risultato alle elezioni amministrative e soprattutto nella sconfitta al referendum su Brexit, dopo la quale in molti si sono lamentati per la scarsa incisività della campagna elettorale del Labour (Corbyn, anche se si è schierato per la permanenza nell’Unione Europea, arriva da una tradizione politica parecchio anti-europeista).
Nonostante la cattiva situazione del Labour, resa ancora più evidente dal fatto che ha coinciso con un momento in cui si sarebbe potuto capitalizzare molto dal referendum su Brexit e dalla conseguente crisi politica dentro il Partito Conservatore, Corbyn è secondo molti ancora il favorito: i sindacati lo hanno vigorosamente sostenuto nelle ultime settimane e l’organizzazione che lo sostiene è stata molto efficace nel raccogliere nuovi iscritti al partito. Dall’altra parte Owen Smith – sostenuto dalla maggioranza dei parlamentari ed esponenti del partito – ha provato nelle ultime settimane a presentarsi come l’unica alternativa alla crisi di questi mesi, descrivendo Corbyn come un valido politico, con buone idee, ma incapace di gestire un partito. Smith ha cercato di guadagnare consensi tra i sostenitori di Corbyn (anche con qualche gaffe: in un tentativo di avvicinarsi agli elettori pacifisti di sinistra ha detto che “bisognerebbe sedersi a un tavolo con i rappresentanti dell’ISIS“) mostrandosi come un pragmatico uomo di sinistra, capace di conciliare la necessità di rivedere le politiche di austerità del Partito Conservatore con la dura realtà, i conti, l’economia. Ha promesso una “rivoluzione socialista”, ma non un impossibile rovesciamento dello stato capitalista e un ritorno al “nirvana socialista”, bensì una “lucida e pratica rivoluzione socialista che aiuti a costruire un paese migliore”.
Nelle ultime settimane le divisioni all’interno del partito sono diventate ancora più evidenti e nette. Già dopo il voto di sfiducia c’erano state dichiarazioni molto dure dei parlamentari laburisti contro Corbyn, con l’avvicinarsi al voto le cose sono peggiorate. Il suo vice Tom Watson ha litigato piuttosto aspramente con Corbyn dopo aver parlato del rischio che il partito venisse controllato da un movimento trotzkista; il neo eletto sindaco di Londra Sadiq Khan ha detto che non lo voterà perché «ha fallito nell’ottenere il rispetto e la fiducia del popolo britannico», e la leader del Partito Laburista scozzese (che fa parte del Partito Laburista e che alle ultime elezioni è andato malissimo) ha detto che sosterrà Owen Smith. A metà agosto, infine, Corbyn aveva litigato anche con il National Executive Committee (NEC), l’organo più importante di governo del Partito Laburista, che aveva deciso di vietare ai neo iscritti al partito (circa 130.000 persone) di votare per il nuovo leader: la questione è arrivata in tribunale e ha vinto il NEC in appello, con molte e aspre critiche dai più vicini a Corbyn che ritengono la decisione antidemocratica. Secondo molti esperti i nuovi iscritti avrebbero votato in maggioranza per Corbyn.
In campagna elettorale, oltre a litigare sulle presunte influenze di gruppi trotzkisti nel partito, non si è parlato molto di cose concrete. Smith si presenta come l’alternativa al fallimento politico del Labour, che è già abbastanza per potersi candidare, Corbyn come il vero rappresentante degli elettori (anche facendo spesso confusione tra questi e gli iscritti al partito, circa 640.000 in tutto) e la vittima di un tentato “colpo di stato” reazionario dell’apparato del partito. Entrambi sono stati d’accordo su una cosa: cambiare le regole del partito per assicurarsi che in futuro ci sia una donna ai suoi vertici, come segretaria o vice-segretaria. Anche qui, tuttavia, il Partito Laburista si trova a inseguire i Conservatori, che poche settimane fa hanno eletto Theresa May come loro seconda leader donna – e primo ministro – dopo Margaret Thatcher. May ha rinfacciato questa cosa al primo question time con Jeremy Corbyn: «Nei miei anni in Parlamento ho spesso sentito i parlamentari laburisti chiedere cosa facesse il Partito Conservatore per le donne: continua a farci diventare primi ministri».