I metodi di Red Bull nel calcio
Da una decina di anni Red Bull sta investendo centinaia di milioni di euro nel calcio — in Europa, Brasile e Stati Uniti — con dei metodi efficaci ma anche contestati
di Pietro Cabrio
Nel luglio del 2016 i campioni austriaci del Red Bull Salisburgo hanno giocato l’andata del secondo turno dei preliminari di Champions League contro la squadra lettone del Liepāja. La partita è stata vinta dal Salisburgo per 1-0 ma al termine dell’incontro in molti si sono accorti di una cosa strana: il terzino austriaco Andreas Ulmer aveva giocato per novanta minuti con la maglia del RB Lipsia, squadra di calcio tedesca di proprietà di Red Bull che gioca con maglie identiche a quelle del Salisburgo, se non per il nome diverso nel logo.
Dello scambio di maglia non si era accorto nessuno, né Ulmer né i magazzinieri del Salisburgo, ma lo strano incidente ha fatto parlare nuovamente del crescente coinvolgimento di Red Bull nel calcio e soprattutto dei suoi inusuali metodi di gestione: di quante altre squadre europee potremmo confondere così facilmente le maglie?
Lipsia e Salisburgo sono le due squadre di calcio europee di proprietà di Red Bull, l’azienda austriaca produttrice della più famosa bevanda energetica in commercio. Hanno uno stretto legame fra di loro, perché ogni anno si scambiano giocatori, sono gestite dalle stesse persone e fanno parte dello stesso progetto. Red Bull non possiede solo queste due squadre: controlla anche i New York Red Bulls e il Red Bull Brasil, che giocano con gli stessi colori di Salisburgo e Lipsia. Fino a due anni fa esisteva anche la Red Bull Ghana, che però è stata fusa con l’accademia ghanese del Feyenoord e per ora rimane l’unico fallimento calcistico dell’azienda austriaca.
La sede principale di Red Bull si trova a Fuschl am See, un paese di 1.500 abitanti a est di Salisburgo. Nel 2015 l’azienda austriaca ha venduto 5.957 miliardi di lattine per un ricavo di 5.903 miliardi di euro. Conta 10.997 impiegati di cui più di 500 a Fuschl am See. Ogni anno Red Bull spende più di mezzo miliardo di dollari nello sport: oltre alle squadre di calcio possiede due scuderie di Formula 1, sponsorizza quasi cinquecento atleti in un centinaio di sport diversi, dallo snowboard al motocross, dal beach volley all’hockey; poi ha un canale televisivo, diverse riviste e una compagnia telefonica. Organizza qualsiasi tipo di competizione: dal lancio di aeroplanini di carta alle gare di tuffi. Con un investimento economico inferiore solo rispetto a quello di Nike, Adidas e Coca Cola, la società austriaca è quella che più di ogni altra negli ultimi vent’anni si è impegnata a entrare nel mondo dello sport, per modificarlo e innovarlo, riuscendo a creare un modello che oggi viene imitato da tante altre aziende.
Le finali del campionato mondiale del 2015 di lancio di aeroplanini di carta
Per ora, i più grandi successi sportivi dell’azienda austriaca sono arrivati dalla sua principale scuderia di Formula 1, ma nei prossimi anni, secondo i piani, dovrebbero aggiungersi anche quelli nel calcio, che dopo dieci anni di investimenti non sono ancora arrivati se non in competizioni di secondo piano. La politica di Red Bull, stabilita personalmente dal suo co-fondatore Dietrich Mateschitz, non si limita a finanziare una squadra o un atleta attaccando adesivi su automobili, snowboard e cappellini, ma prevede investimenti diretti a partire dall’acquisto di società e squadre da gestire con progetti a lungo termine e spesso drastici. Quando Red Bull compra una società la rinomina col proprio nome, ne sostituisce la dirigenza e poi sceglie su quali atleti puntare e su quali no, selezionandoli sia in base alle qualità sportive che all’immagine.
È così che fece nel 2005, quando comprò la sua prima squadra di calcio, che fino ad allora era nota come Austria Salzburg (o, per ragioni di sponsorizzazioni, Wüstenrot Salzburg). Red Bull le cambiò nome, stemma, colori sociali, dirigenti e staff. Di fatto rifondò la società interrompendo qualsiasi legame con il vecchio Austria Salzburg. Nel 2006 la nuova società assunse come allenatori Giovanni Trapattoni e Lothar Matthäus ed iniziò ad investire decine di milioni di euro, che bastarono per vincere il primo titolo nazionale in dieci anni. Ad oggi, il Red Bull Salisburgo ha vinto sette campionati austriaci ma non è mai riuscito a qualificarsi alla fase a gironi della Champions League.
Molti tifosi del vecchio Austria Salzburg, contrari alla nuova gestione di Red Bull – hanno fondato nel 2005 l’SV Austria Salzburg, che ha ricominciato a giocare nella settima serie del campionato nazionale e il prossimo anno disputerà la Regionalliga, il campionato austriaco equivalente alla Lega Pro.
Per completare il progetto calcistico del Salisburgo, nel 2012 Red Bull comprò una piccola squadra che militava nelle serie locali austriache, l’Union Sportklub Anif, per farla diventare la squadra riserve del Red Bull Salisburgo. L’Union Sportklub Anif fu spostato da Anif a Salisburgo e rinominato FC Liefering, che è il nome del quartiere della città in cui ha sede. Il logo e i colori sono ovviamente quelli dell’azienda, che considera il Liefering la squadra riserve del Salisburgo anche se ufficialmente non lo è, perché la federazione austriaca vieta alle squadre riserve di disputare tornei professionistici. Il Liefering oggi gioca in seconda divisione ed è un club a tutti gli effetti, ma Red Bull fa arrivare alla squadra i migliori giovani provenienti dalle proprie accademie — il Red Bull Brasil e fino a poco tempo fa anche il Red Bull Ghana — per testarli ed eventualmente mandarli in prima squadra. Paradossalmente, il Liefering potrebbe ottenere la promozione in prima divisione e giocare nello stesso campionato del Salisburgo.
I limiti del campionato di prima divisione austriaco, composto da dieci squadre in cui solo tre o quattro sono veramente competitive, non hanno fino ad ora permesso al Salisburgo di diventare una squadra di primo piano nel calcio europeo. La cosa per cui è più noto il Salisburgo, oltre ai successi nel proprio campionato, sono i numerosi giovani cresciuti e poi venduti nel resto d’Europa, come il trequartista sloveno Kevin Kampl, ora al Bayer Leverkusen, l’esterno del Liverpool Sadio Mané e il difensore brasiliano del Bayer Leverkusen André Ramalho.
La pagina della sezione sport di squadra del sito di Red Bull.
Nel 2006 il progetto calcistico di Red Bull arrivò negli Stati Uniti, dove l’azienda acquisì gli storici New York MetroStars e come già aveva fatto in Austria li fece diventare i New York Red Bulls. All’epoca in molti pensavano che la mossa, già tentata da altri prima, fosse un errore per via della scarsa cultura calcistica americana, ma alla fine ebbe comunque successo. La squadra venne rivoluzionata a partire dallo stadio: fu abbandonato quello dei Giants per la nuova Red Bull Arena – costata 200 milioni di dollari e con 25mila posti a sedere – e venne abbassato il prezzo dei biglietti, rendendo le partite della squadra gli eventi sportivi di rilevanza nazionale più economici da seguire a New York, spingendo sempre più spettatori allo stadio, che ora si riempie facilmente.
Red Bull ha poi incominciato a cambiare allenatori e giocatori, svecchiando la squadra e tentando di modernizzarne il gioco, in linea con l’immagine della bevanda. Sul campo i New York Red Bulls non hanno ottenuto alcun importante successo, ma negli anni sono diventati una delle squadre statunitensi più riconoscibili e note al mondo, grazie anche all’ingaggio di giocatori come Thierry Henry, Rafael Márquez e Tim Cahill.
Nel 2007 e nel 2008, infine, si aggiunsero anche le squadre in Brasile e in Ghana, che Red Bull comprò per farle diventare accademie giovanili con cui scovare e allenare ragazzi da mandare poi al Salisburgo o a New York. A quel punto mancava però una squadra che potesse veramente competere nelle più importanti competizioni internazionali. Fu così che nel 2009 Red Bull concluse l’acquisto di una piccola squadra di Lipsia, in Germania, e iniziò “il trattamento Red Bull”, questa volta però con parecchi ostacoli.
Prima di tutto, perché Lipsia? Come ogni investimento fatto negli anni precedenti, la scelta di Lipsia non fu casuale. La città, che con più di mezzo milione di abitanti è uno dei centri urbani più popolati dell’ex Germania Est, non aveva nessuna squadra particolarmente importante e nonostante ciò aveva uno stadio moderno da 44 mila posti (era stato costruito per i Mondiali del 2006). Inoltre, il livello delle squadre di calcio dell’ex Germania Est era, ed è ancora oggi, di molto inferiore a quelle occidentali. Con degli investimenti azzeccati il Lipsia sarebbe potuto quindi diventare in breve tempo la squadra più importante della parte orientale del paese.
I tifosi e le norme del campionato tedesco però si misero di traverso. L’azienda austriaca tentò di comprare la storica squadra di Lipsia del Sachsen, ma i suoi tifosi si opposero. Allora provò con il Markranstädt, piccola squadra di un paesino appena fuori città. Anche qui i tifosi tentarono di opporsi ma alla fine l’acquisizione venne completata dopo che fu garantita la rifondazione di un altro Markranstädt per i tifosi contrari alla vendita. Per via delle norme della federazione tedesca, Red Bull non poté inserire il suo nome in quello della squadra ma con un gioco di parole in qualche modo ci riuscì: chiamò il club RasenBallsport Lipsia (dove RasenBallsport sta per “sport della palla sul campo”) in modo da poterlo abbreviare in RB Lispia.
Quello del nome non fu l’unico problema. Sempre per via del regolamento tedesco, Red Bull non poté inserire nel logo della squadra il proprio marchio, come invece era stato permesso negli Stati Uniti e in Austria (ma non nelle partite delle coppe europee). Ci mise comunque due tori rossi stilizzati, e la forma del proprio marchio. Poi, per aggirare la norma che proibiva di intestare la maggioranza azionaria del club ad un unico soggetto, creò una società a garanzia limitata per un gruppo ristretto di soci con quota di entrata fissata a 800 euro, almeno dieci volte superiore a quella dei club tedeschi più noti. Nel 2009 la squadra tedesca di Red Bull disputò il suo primo campionato, in quinta divisione, e al primo anno venne subito promossa nella divisione superiore. Lasciò quindi il piccolo stadio di Markranstädt e si trasferì al moderno Zentralstadion, a cui diede il nome di Red Bull Arena, lo stesso nome degli stadi di Salisburgo e New York.
Sotto la gestione dell’ex allenatore dello Schalke 04 Ralf Rangnick e di Gérard Houllier, ex allenatore della nazionale francese e del Liverpool — le due figure che dal 2012 portano avanti il progetto sportivo di Red Bull — il Lipsia è arrivato fino in seconda divisone dopo aver investito più di qualsiasi altra squadra nelle serie minori tedesche. Quest’anno, dopo due stagioni di permanenza in seconda divisone, la squadra è riuscita ad ottenere la promozione in Bundesliga. Nel 2009 i dirigenti del Lipsia dissero di aver intenzione di spendere almeno 100 milioni in dieci anni: in estate il Lipsia ne ha già spesi 27, e solo per prendere quattro giocatori con meno di 24 anni.
Il Lipsia può contare quindi anche sui giocatori delle altre squadre Red Bull. Ogni anno infatti, Lipsia e Salisburgo si scambiano diversi giocatori, la maggioranza dei quali in prestito per aggirare il fair play finanziario della UEFA. In Germania però Red Bull non ha trovato una grande accoglienza. Oggi il Lipsia è probabilmente la squadra più detestata dai tifosi tedeschi, per via dei suoi metodi di gestione. Spesso, nelle partite giocate contro il Lipsia, i tifosi avversari espongono striscioni di contestazione. A Lipsia le cose vanno un po’ meglio: una media di 29.441 spettatori ha assistito alle partite della scorsa stagione alla Red Bull Arena, la seconda media spettatori più alta del campionato tedesco e dopo la promozione n Bundesliga l’entusiasmo dei tifosi è aumentato ancora.
L’ultima partita in casa della scorsa stagione, in cui il Lipsia ha ottenuto la certezza della promozione
Negli ultimi mesi si è parlato di un possibile ingresso di Red Bull nel campionato di calcio italiano, con investimenti nell’Udinese o nel Torino, ma tutte queste voci sono state smentite o non hanno trovato conferme. Si è parlato anche di un possibile ingresso nel campionato inglese, ma anche qui per ora si tratta solo di voci. Ad oggi è più probabile che Red Bull si concentri sul Lipsia, che fra poche settimane inizierà il suo primo campionato di Bundesliga con grandi ambizioni e con l’obiettivo di arrivare a qualificarsi per le coppe europee.
Nel calcio non esiste nessun altro progetto simile a quello di Red Bull. Quello che ci si avvicina di più è il City Football Group, l’holding della famiglia Al Nahyan, proprietaria del Manchester City, che ad oggi conta altre due squadre, il Melbourne City e il New York City FC (più il venti per cento dei Yokohama Marinos). Il modello di gestione è simile a quello di Red Bull: progetto in comune, stessi colori, stessi sponsor e frequenti scambi di giocatori, ma alle squadre viene lasciata un minimo di identità in più, come si può vedere dai loghi. In Italia il modello Red Bull sarebbe una cosa completamente nuova. Esistono proprietari che possiedono più di una squadra, come la famiglia Pozzo, proprietaria di Udinese, Watford e fino a pochi mesi fa del Granada, o come il gruppo Suning, proprietario dell’Inter e del Jiangsu. Ma nessuno di questi ha progetti e metodi di gestione simili a Red Bull.