Lo scandalo del doping russo, nel 1984
Il New York Times ha scoperto che il medico al centro dello scandalo di questi mesi lavorava a un programma simile già all'epoca dell'URSS
Un’inchiesta del New York Times pubblicata la scorsa settimana ha raccontato che nel 1983 le agenzie sportive dell’Unione Sovietica stavano preparando un vasto programma di doping per le Olimpiadi di Los Angeles, che si sarebbero svolte l’anno successivo. Non è chiaro se e quanto il programma fu messo in pratica: pochi mesi prima dell’inizio dei Giochi, infatti, l’URSS decise di ritirarsi per ragioni politiche. Una delle persone al centro del programma scoperto dal New York Times era il dottor Sergei Portugalov, lo stesso medico accusato di essere dietro lo scandalo doping denunciato nel novembre dell’anno scorso dall’Agenzia mondiale antidoping.
L’inchiesta del New York Times si basa sulla testimonianza e sui documenti di Grigory Vorobiev, un ex medico sportivo russo di 86 anni. La giornalista Rebecca R. Ruiz ha trascorso due giorni a Chicago nella casa di riposo dove Vorobiev vive da cinque anni, e ha potuto esaminare i documenti che l’ex medico ha portato con sé dalla Russia. Vorobiev è un ex giocatore di pallacanestro che abbandonò lo sport professionistico per dedicarsi alla medicina sportiva. Nel 1957 divenne uno dei primi medici sportivi assunti a tempo pieno dall’Unione Sovietica. La sua specializzazione era il miglioramento della forza e della coordinazione degli atleti sovietici destinati a partecipare alle competizioni internazionali.
Il documento più importante mostrato da Vorobiev al New York Times è una lettera scritta nel 1983 dai dirigenti sportivi sovietici e indirizzata all’allenatore della squadra di atletica leggera. Nella lettera viene descritto nel dettaglio il programma di assunzione di sostanze proibite previsto per gli atleti sovietici. I funzionari scrivevano all’allenatore che l’assunzione per via orale di steroidi non era sufficiente a garantire una buona performance degli atleti. In aggiunta, gli atleti avrebbero dovuto ricevere altre tre sostanze proibite: Retabolil, Stromba e Stromba-jet, altre tipologie di steroidi. Si tratta in tutti i casi di sostanze molto potenti e pericolose.
La lettera ottenuta dal New York Times è firmata da Sergei Portugalov, all’epoca importante medico sportivo dell’Unione Sovietica. Trent’anni dopo, nel corso di un documentario trasmesso dalla rete televisiva tedesca ARD nel dicembre del 2014, i coniugi Yuliya e Vitaly Stepanov, due atleti russi, hanno accusato alcuni funzionari russi di avergli offerto sostanze dopanti in cambio di una percentuale sui guadagni che avrebbero ottenuto grazie alle loro vittorie. Il principale funzionario indicato dalla coppia era lo stesso Sergei Portugalov che firmò la lettera del 1983.
Il documentario di ARD ha dato avvio a un’indagine dell’Agenzia mondiale anti doping (WADA) che ha portato alla sospensione dalle competizioni internazionali di numerosi atleti russi. Il governo del presidente russo Vladimir Putin ha reagito alle inchieste licenziando Portugalov e altri dirigenti coinvolti nello scandalo e promettendo di mettere fine ai programmi di doping, ma nel contempo ha accusato l’indagine di essere una cospirazione internazionale contro la Russia.
Vorobiev, il medico che ha mostrato i documenti al New York Times, ha raccontato di essere stato per anni un collega di Portugalov, ma di non aver mai condiviso i suoi metodi. Ruiz racconta come spesso Vorobiev abbia adottato una sorta di doppia morale nel corso della sua carriera. Come membro sovietico della commissione internazionale dell’atletica leggera, uno dei suoi compiti era controllare la regolarità delle competizioni; contemporaneamente era a conoscenza e consigliava gli atleti russi su come e quali sostanze dopanti e proibite utilizzare nei loro allenamenti.
Vorobiev critica molto Portugalov per la sua etica professionale e per la sua tendenza a prediligere l’utilizzo di sostanze dopanti rispetto agli allenamenti. Lo stesso Vorbiev, però, in passato ha aiutato gli atleti a utilizzare sostanze proibite. A partire dagli anni Settanta, ha raccontato, gran parte delle centinaia di atleti che assisteva come medico sportivo gli chiesero di prescrivere loro sostanze proibite dai regolamenti internazionali. Vorobiev ha raccontato di averli accontentati, ma di aver consigliato loro di prenderne soltanto dosi bassissime, di stare attenti agli effetti collaterali e di non trascurare gli allenamenti.
Dai documenti e dalla testimonianza di Vorobiev emerge che all’epoca dell’URSS ogni considerazione era subordinata alla necessità di ottenere buoni risultati nel corso delle competizioni internazionale. Nella lettera firmata da Portugalov si legge che l’unica ragione per non somministrare agli atleti sostanze dopanti è l’incertezza su quanto tempo impiegheranno le stesse sostanze a scomparire dal corpo degli atleti. Dalla lettera è possibile dedurre che anche i laboratori antidoping della federazione sportiva dell’URSS furono coinvolti nel piano. Secondo i loro studi, scriveva Portugalov, la somministrazione delle sostanza dopanti doveva terminare tra il 145° e il 157° giorno prima dell’inizio del giochi.
Vorobiev, che è stato rimosso dalle organizzazioni sportive russe dopo un scandalo sul doping negli anni Novanta, dice che la cultura della vittoria a ogni costo è sopravvissuta alla caduta dell’URSS e che in Russia ha avuto a lungo autorevoli rappresentanti, come Portugalov. Sconosciuto fuori dalla Russia fino a pochi mesi fa, Portugalov era molto famoso negli ambienti sportivi del paese. Vorobiev dice di aver conservato i documenti che ha mostrato al New York Times perché rappresentano una prova di come Portugalov sia stato per decenni la mente dei programmi di doping prima dell’URSS e poi della Federazione Russa.
Nonostante il suo licenziamento, avvenuto 20 anni fa, Vorobiev è ancora leale al governo russo, scrive Ruiz, e nel corso della lunga intervista ha criticato solo i medici come Portugalov che, secondo lui, hanno corrotto lo sport russo. Alla domanda se fosse felice che lo scandalo doping fosse finalmente venuto alla luce, Vorobiev ha risposto senza particolare emozione che «era inevitabile». Vorobiev è ancora molto interessato alla teoria e alla tecnica della preparazione atletica e nel corso dell’incontro ha chiesto a Ruiz se si allenasse e che tipo di esercizi praticava. Oggi è quasi cieco e non guarda spesso la televisione, ma ha detto a Ruiz che avrebbe guardato le gare di atletica leggera in corso in questi giorni a Rio a cui gran parte della squadra russa non partecipa a causa delle squalifiche per lo scandalo doping. «Naturalmente sarebbe molto meglio se la Russia partecipasse», ha detto Vorobiev: «Ma spero che alla fine questa storia divenga una lezione sull’importanza degli allenamenti. Forse il risultato finale di questa vicenda sarà un calo nell’uso degli steroidi».