Questa storia del burqini
È stata gonfiata dalla penuria di notizie in agosto, e i divieti in Francia riguardano pochissime persone, ma la questione esiste e ritorna ciclicamente
Da giorni in Francia si discute del “burqini” (o “burkini”), un tipo di costume da bagno pensato per le donne musulmane che vogliono tenere il proprio corpo coperto. La polemica sul burqini – che è arrivata anche in Italia e probabilmente è stata gonfiata dai giornali per via della penuria di notizie in agosto – è cominciata una settimana fa, quando un tribunale francese ha confermato una precedente decisione del sindaco di Cannes, David Lisnard, di vietare l’accesso alle spiagge cittadine «a chiunque non indossi una tenuta corretta, rispettosa delle buone maniere e della laicità, delle regole d’igiene e sicurezza della balneazione». Nonostante i termini piuttosto vaghi della disposizione, lo stesso Lisnard ha specificato che la norma è stata pensata per vietare il burqini, soprattutto per ragioni di sicurezza legate agli ultimi attentati terroristici di ispirazione islamista che hanno colpito la Francia (tra cui quello del 14 luglio a Nizza, quando sono state uccise 84 persone, e quello del 26 luglio nella chiesa di Saint-Étienne, in Normandia, in cui è stato ucciso un sacerdote di 84 anni). Lisnard ha detto che questi «abiti islamisti» sono apparsi sulle spiagge di Cannes di recente e sono indicativi dello stato di avanzamento «dell’Islam radicale, che passo dopo passo sta cercando di prendere possesso del nostro territorio».
Disposizioni simili sono state poi adottate da altri due comuni francesi – Villeneuve-Loubet, vicino a Nizza, e Sisco, in Corsica – con argomenti che si rifanno alla “sicurezza”, alla “laicità dello stato francese”, al “disturbo dell’ordine pubblico”, al “rispetto delle norme igieniche” e alle “buone maniere”. Nonostante si parli di iniziative locali – il governo francese non ha legiferato nulla di specifico sul burqini – il primo ministro Manuel Valls ha commentato positivamente le disposizioni, sostenendo che il burqini appartenga a una visione della religione e della società che «non è compatibile con i valori della Francia e della Repubblica». Valls fa parte del Partito Socialista, che in Francia è molto legato all’idea di uno stato aconfessionale e molto laico: già in passato Valls si era detto favorevole al divieto di esporre simboli religiosi a scuola e a quello di portare il velo integrale negli spazi pubblici. Nonostante gli apprezzamenti del governo, le disposizioni sul burqini sono state molto criticate: il CCIF, il Collettivo contro l’islamofobia in Francia, ha presentato martedì un esposto al Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo francese, chiedendo la sospensione del provvedimento. La decisione dovrebbe arrivare oggi.
Alcune cose da tenere a mente
Per capire meglio la questione bisogna tenere a mente alcune cose. Dal 2010 in Francia è in vigore una legge che vieta l’uso in pubblico di veli che coprono il viso, per esempio il niqab che lascia scoperti sono gli occhi. La legge fu adottata per ragioni di sicurezza, cioè per garantire l’identificazione delle persone nei luoghi pubblici. La legge del 2010 non vieta però il burqini, che lascia il viso completamente scoperto; e non vieta nemmeno di indossare simboli religiosi, come una croce al collo o una kippah, il copricapo usato da alcuni ebrei anche fuori dalle sinagoghe.
Inoltre, non esiste una definizione legale unica di burqini e questo ha già cominciato a essere un problema. Generalmente le donne musulmane che non vogliono spendere tra i 40 e i 125 euro per comprarsi un burqini indossano in spiaggia magliette e pantaloni lunghi, e sostituiscono il loro hijab con una cuffia. A Cannes è successo che delle donne fossero state allontanate dalla spiaggia perché avevano il corpo coperto e indossavano una cuffia, ed erano musulmane. Non è chiaro in che modo avere il corpo coperto e indossare una cuffia possa essere oggetto delle disposizioni che riguardano il divieto di indossare il burqini (la difficoltà si stabilire cosa sia permesso o no è stata illustrata ironicamente da BBC con una fotografia di un articolo recente sul tema).
Infine, le persone coinvolte dalle disposizioni contro il burqini sono pochissime. Cannes ha 75mila abitanti (simile a Imola, per popolazione), Villeneuve-Loubet 14mila e Sisco poco meno di 1.000. E le comunità musulmane in questi comuni non sono certo maggioritarie. La discussione che si è sviluppata negli ultimi giorni è quindi più ampia e generale: riguarda la difficoltà di trovare un equilibrio tra libertà personali e sicurezza pubblica, un tema enorme e complicato, e dare una definizione precisa del concetto di laicità; e riguarda anche i timori e le preoccupazioni di un paese – la Francia – che di recente è stato colpito da molti violenti attacchi terroristici di ispirazione islamista che hanno ucciso centinaia di persone.
I sostenitori del divieto di indossare il burqini
I sostenitori del divieto di indossare il burqini non hanno tutti gli stessi argomenti. Alcuni si concentrano di più sul problema della sicurezza, altri sul più ampio tema della difesa dei diritti delle donne, altri ancora su entrambi. Laurence Rossignol, la ministra francese per i diritti delle donne, ha detto a Le Parisien di appoggiare le disposizioni sui burqini, anche se i divieti non devono essere interpretati come risposte alle recenti minacce terroristiche: «Il burqini non è una nuova linea di costumi da bagno; è la versione da spiaggia del burqa e ha la stessa logica: coprire i corpi delle donne per poterli controllare meglio». Insomma, “ognuno si vesta come vuole” è sia l’argomento di alcuni di quelli che si oppongono al divieto sia di alcuni di quelli che lo sostengono, visto che molte donne musulmane non sarebbero libere di indossare un normale costume da bagno neanche se volessero. Rossignol ha aggiunto che il burqini rischia di aumentare le tensioni nelle spiagge francesi, per le sue implicazioni politiche: «Non è solo una questione per le donne che lo indossano, perché è il simbolo di un progetto politico che è ostile alla diversità e all’emancipazione della donna».
Le tensioni tra diverse comunità sono state usate come argomento anche dal sindaco di Sisco, una minuscola località marittima della Corsica: il sindaco ha spiegato che sabato è iniziata una rissa in spiaggia tra alcune famiglie musulmane e un gruppo di giovani corsi che avevano iniziato a fotografare le donne col burqini; a causa di questo episodio, ha detto il sindaco, si è deciso di vietare il burqini. Lionel Luca, il sindaco di Villeneuve-Loubet e membro di La Droite populaire, un movimento molto di destra interno ai conservatori di Les Républicains, ha detto a Le Parisien che il burqini è una «provocazione ideologica» e ha aggiunto che non è igienico – «tali indumenti, se indossati per tutto il giorno, o anche per più giorni, rappresentato un vero e proprio problema di salute» – e che rende difficoltoso un eventuale salvataggio in mare.
Cosa dicono quelli che si oppongono al divieto
Chi si oppone al divieto di indossare il burqini parla soprattutto degli effetti controproducenti di tali disposizioni. Il noto sociologo francese Olivier Roy ha detto al giornale tedesco Deutsche Welle che i divieti sull’abbigliamento molto coprente, come per esempio il niqab, danno «alle persone di origine musulmane, credenti e non credenti, una sensazione di pressione e attacco contro l’Islam come religione»: l’effetto è un senso di alienazione dalla società francese, che può risultare controproducente per la sicurezza nel paese e può spingere nuove persone verso idee estremiste. Un concetto simile è stato espresso da Jean Baubérot, il fondatore della sociologia della laicità, in un’intervista pubblicata su Libération. Baubérot ha detto che il divieto di indossare il burqini potrebbe accentuare il senso di esclusione della comunità musulmana, perché stabilisce delle linee tra amici e nemici della Repubblica francese che non corrispondono alla realtà (cita per esempio la messa che si è tenuta in Normandia per il sacerdote ucciso in un attacco rivendicato dallo Stato Islamico, a cui hanno partecipato sia cristiani che musulmani); propone invece un’idea di laicità più inclusiva possibile, che non possa essere usata dagli estremisti come pretesto per il reclutamento.
C’è anche da considerare un’altra cosa. Marina Muhammad, il direttore del Centro contro l’islamofobia in Francia, ha spiegato che il burqini può essere anche visto come un simbolo di posizioni relativamente liberali all’interno della comunità musulmana francese: nei paesi musulmani conservatori le donne non vanno del tutto al mare con gli uomini, e tantomeno in piscina, visto che il burqini bagnato aderisce al corpo della donna. Il fatto che in Francia qualche donna musulmana usi il burqini «è una buona notizia, perché significa che le donne musulmane che non sono abituate a divertirsi passando la giornata in spiaggia e in piscina stanno cambiando atteggiamento, stanno socializzando». In questo senso colpire la parte più liberale della comunità musulmana, associandola al pericolo di ordine pubblico o di terrorismo, rischia di polarizzare ancora di più le divisioni della società francese.
C’è una divisione destra-sinistra sul burqini?
In Francia la questione del burqini sta creando nuove divisioni e tensioni con la popolazione di religione musulmana, senza però dividere i politici secondo le linee tradizionali di destra e sinistra. Come ha notato il New York Times, sulla questione del burqini il socialista Valls ha usato toni molto simili a quelli usati da Nicolas Sarkozy, ex presidente francese di centro-destra, e da Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra Front National. Il vero nodo della questione sempre invece essere il concetto di laicità su cui si è sviluppato il moderno stato francese, e che è stato ripreso in questi ultimi giorni per giustificare il divieto di indossare il burqini.
Stephanie Hennette-Vauchez, docente di diritto alla Université Paris-Ouest-Nanterre-La Défense, ha detto a Libération che le recenti disposizioni dei tre comuni francesi sul burqini si basano sull’idea che sia diventato insopportabile per la popolazione vedere un musulmano mostrare un qualche segno religioso. Ma si può considerare un abbigliamento di questo tipo un motivo di disturbo dell’ordine pubblico? Secondo Hennette-Vauchez, se dovesse passare questo ragionamento si potrebbe arrivare a una serie di disposizioni simili che riguardano tutto lo spazio pubblico, che però sarebbero talmente controverse e generiche da risultare comunque inapplicabili.