L’influenza della Cina sul cinema di Hollywood
Il mercato cinematografico cinese interessa a molti, ma per vendere film lì bisogna accettare i veti del governo e riuscire a fare qualcosa che piaccia anche nel resto del mondo
di Ana Swanson – The Washington Post
«Vogliamo parlare del film sulla Grande muraglia con quel grande attore cinese, Matt Damon?». Questo è solo uno dei commenti apparsi sui social network nelle ultime settimane che prendevano in giro un importante film d’azione che uscirà nei cinema tra la fine di quest’anno e l’inizio dell’anno prossimo. The Great Wall, una co-produzione tra la Cina e Hollywood è il film più costoso (oltre 150 milioni di dollari) mai girato interamente in Cina. Ci sono Matt Damon, Willem Dafoe e una schiera di popolari attori cinesi che usano la Grande muraglia per difendere l’umanità dall’attacco di un mostro. Da quando è stato diffuso il trailer del film, però, giornalisti e commentatori hanno iniziato ad accusarlo sui social network di whitewashing, la tendenza a ingaggiare attori bianchi per ruoli che invece potrebbero o dovrebbero essere interpretati da attori di etnia diversa. Perché c’è Matt Damon a salvare l’antica Cina? I cinesi non potevano cavarsela da soli? I critici non hanno tutti i torti: per quanto riguarda sminuire gli attori non-bianchi, l’industria cinematografica americana ha una storia lunga e travagliata. Alcuni esponenti del settore hanno boicottato gli Oscar del 2016, dopo che per il secondo anno di seguito nelle quattro categorie principali erano stati candidati solo attori e attrici bianchi. Recentemente, film come Doctor Strange, Ghost in the Shell e Sotto il cielo delle Hawaii sono stati criticati per aver scelto attrici bianchi per ruoli originariamente asiatici, e sono solo gli ultimi esempi di una lunga tradizione di whitewashing a Hollywood.
Tuttavia, la questione ha anche un lato ironico che molti non hanno colto. Nonostante l’illustre presenza di Matt Damon, in The Great Wall ci sono forse più attori cinesi che in qualsiasi altra grande co-produzione tra Stati Uniti e Cina del passato. In Cina, il film viene descritto come il primo del suo genere diretto da un importante regista cinese, sostenuto da uno studio cinematografico hollywoodiano di proprietà cinese e che parla di temi storici cinesi. Se dovesse avere successo, potrebbe essere un passo avanti per quanto riguarda l’influenza dell’industria cinematografica cinese nel mondo. «The Great Wall è senza dubbio tra le co-produzioni con il budget più alto di sempre, ed è il primo film con un grosso budget ad avere una forza creativa cinese alle spalle», ha detto Aynne Kokas, assistente alla cattedra di studi sui media della University of Virginia e autrice del libro Hollywood Made in China, di prossima uscita. «Questa è la parte della storia che non viene raccontata».
Negli ultimi anni, Hollywood ha iniziato a corteggiare con decisione gli appassionati di cinema in Cina, il secondo mercato cinematografico al mondo, che l’anno prossimo potrebbe diventare il primo superando gli Stati Uniti. L’industria cinematografica cinese vuole produrre film capaci di attirare il pubblico nazionale e avere successo anche all’estero. Realizzare un film che piaccia sia al pubblico cinese che a quello americano è una specie di Sacro Graal per l’industria cinematografica mondiale, una cosa che si ricerca spesso ma raramente si raggiunge. Il motivo è in parte dovuto ai severi requisti imposti ai film in Cina. Per tutelare la sua industria cinematografica emergente, la Cina limita il numero di film stranieri che possono essere proiettati dai cinema ogni anno. I film stranieri, però, possono accedere al redditizio mercato cinese facendo domanda per diventare delle co-produzioni ufficiali tra Stati Uniti e Cina, nelle quali enti da entrambi collaborano per la produzione di un film. Così facendo, il film verrà proiettato nei cinema cinesi, e gli studios americani avranno una fetta maggiore degli incassi al botteghino. In cambio, però, il film deve avere attori cinesi, deve essere girato in Cina almeno in parte, e deve adeguarsi alle severi restrizioni del paese in merito ai contenuti, che prevedono la censura di qualsiasi rappresentazione negativa del governo, della polizia o dell’esercito cinese.
Pochissimi film sono riusciti a trovare un equilibro tra questi aspetti e la domanda del pubblico cinese e americano, realizzando così un blockbuster che faccia successo in tutti e due i mercati come cerca di fare ora The Great Wall. Delle oltre dieci co-produzioni ufficiali tra Stati Uniti e Cina del passato, alcuni film hanno avuto successo in Cina – è il caso di Lussuria – Seduzione e tradimento e Skiptrace – Missione Hong Kong – ma pochi hanno fatto presa sul pubblico americano, racconta Kokas. C’è poi una manciata di film che Kokas definisce «false produzioni», cioè film pensati inizialmente per essere co-produzioni tra Stati Uniti e Cina, ma che hanno perso il loro status per via di problemi finanziari o normativi. Di questa categoria fanno parte film che sono andati bene negli Stati Uniti, come Iron Man 3, Transformers 4 – L’era dell’estinzione, Cloud Atlas, e Looper.
Alcuni film di Hollywood riescono ad avere successo in Cina anche senza essere ufficialmente delle co-produzioni, come The Martian e Avatar (di certo, mostrare nel film l’agenzia spaziale cinese che interviene per salvare la situazione, come in The Martian, aiuta). Ma entrare nel mercato cinese senza ottenere lo status di co-produzione può essere rischioso per gli studios hollywoodiani. Le autorità cinesi potrebbero fare uscire il film in periodi meno popolari, in concomitanza con altri importanti film occidentali, posticiparne l’uscita fino a quando i cinesi ne avranno già visto versioni scaricate illegalmente, o vietarlo del tutto, tutte decisioni che possono far crollare gli incassi del film nel paese. Le co-produzioni, che devono soddisfare i requisti delle autorità cinesi che si occupano di censura ma anche necessità commerciali, possono risultare artificiosi e forzati. Una dei pochi casi di successo sia per il pubblico cinese che per quello americano fino a oggi, racconta Kokas, è stato Kung Fu Panda 3, la cui formula vincente, però, non è facilmente replicabile. Come film per famiglie, Kung Fu Panda 3 non violava le restrizioni della censura; i sottotitoli non erano un problema, perché gli studios avevano realizzato due versioni del film per far sì che si adattasse sia all’inglese che al cinese; dal momento che era un film d’animazione, infine, la questione dell’etnia degli attori non è mai emersa.
Gli studios cinesi e di Hollywood dietro a The Great Wall, però, sperano di aver trovato la formula magica. Nel film, sostenuto da Universal Pictures e altri studios, ci sono molti popolari attori cinesi, tra cui il famosissimo Andy Lau, l’attrice Jing Tian e il leader della boyband TFboys Wang Junkai. È diretto da Zhang Yimou, il regista forse più famoso in Cina. Compare un elemento del paese conosciuto anche nel resto del mondo, la Grande muraglia, e il film è prodotto da Legendary Entertainment, uno studio di Hollywood che quest’anno è stato comprato dalla società cinese Dalian Wanda, la prima volta che un’importante società di produzione americana è passata sotto il controllo cinese. Il film è stato scritto da sceneggiatori di Hollywood e ci recitano i popolari attori occidentali Matt Damon, Dafoe e Pedro Pascal, in quello che sembra essere un tentativo di attirare il pubblico anche al di fuori della Cina. È questo aspetto ad aver reso il film così controverso in Occidente, dove negli ultimi anni Hollywood è stata sempre più criticata per il suo presunto razzismo, sia esplicito che implicito. Le reazioni negative a The Great Wall sono state guidate in parte dall’attrice americana di origini asiatiche Constance Wu, che sui social network ha scritto che il film «porta avanti il mito razzista secondo cui solo un uomo bianco può salvare il mondo».
Can we all at least agree that hero-bias & “but it’s really hard to finance” are no longer excuses for racism? TRY pic.twitter.com/mvNet5PrtH
— Constance Wu (@ConstanceWu) July 29, 2016
Secondo altre persone, la scelta del cast mette in luce la supposizione che l’appassionato di cinema medio americano sia bianco o preferisca attori bianchi. C’è poi un altro aspetto per cui l’eroismo del personaggio interpretato da Matt Damon, un mercenario europeo che alla fine contribuisce a salvare la Cina, potrebbe essere visto come problematico. Nonostante non siano stati rivelati tutti i dettagli della trama, sembra che il film cozzi in modo maldestro con la storia del colonialismo subìto dalla Cina, che fu conquistata, lottizzata e impoverita da eserciti europei, in un periodo terribile che i cinesi ricordano ancora come il loro «secolo dell’umiliazione».
Settimana scorsa, il regista di The Great Wall Zhang Yimou ha difeso il film dalle accuse di whitewashing: «Per molti versi, è il contrario di quanto si dice. Per la prima volta, un film profondamente radicato nella cultura cinese, con uno dei più grandi cast di attori cinesi mai messo insieme, è la produzione di punta di una grande casa di produzione ed è rivolto a un pubblico mondiale». «Il ruolo di Matt Damon», ha aggiunto Yimou, «non era stato pensato inizialmente per un attore cinese». Altre persone hanno ricondotto la scelta a ovvi fattori economici, sostenendo che la presenza di Matt Damon nel film abbia maggiori probabilità di portare al cinema spettatori da tutto il mondo, che normalmente non andrebbero a vedere un film ambientato nell’antica Cina. Legendary Entertainment non ha risposto alla richiesta di commenti.
PoPing AuYeung, un direttore per il casting che lavora da decenni a film hollywoodiani e cinesi, ha detto che i registi cinesi sono timorosi all’idea di promuovere dei film con protagonisti cinesi a un pubblico globale. «Pensano che se ingaggiano un cinese come protagonista perderanno il mercato globale. Ma sembrano dimenticarsi del fatto che la Cina è un mercato enorme. Ci sono un sacco di film che negli Stati Uniti si rivelano un flop ma compensano con gli incassi in Cina». Inoltre, anche la strategia di mettere un attore bianco hollywoodiano nel ruolo principale di un film per espanderne la portata può fallire, come ha sottolineato Constance Wu. E la stessa cosa vale per i film cinesi: gli studios del paese hanno pagato milioni di dollari per far recitare attori famosi come Christian Bale, Adrien Brody e John Cusack in film prevalentemente cinesi che hanno finito per avere poco successo nei mercati occidentali.
In Cina, le discussioni intorno al film sono state molto diverse. La maggior parte dei cinesi ne è stata contenta, e ha visto il coinvolgimento di Zhang Yimou in un film hollywoodiano con un grosso budget e il ruolo di spicco assegnato alla Grande muraglia come dei fattori che potrebbero far aumentare l’influenza culturale della Cina all’estero. E ora che Legendary Entertainment è di proprietà della società cinese Dalian Wanda, chi lavora nel settore è curioso di vedere se l’influenza della Cina a Hollywood e nel mercato cinematografico mondiale aumenterà. Se The Great Wall diventerà un successo di incassi, potrebbe diventare il modello per le future co-produzioni tra Cina e Stati Uniti. Se andrà male, aumenterà la confusione del settore su come fare un film che piaccia sia ai cinesi che a un pubblico internazionale, e se questa è una cosa possibile. «Penso che se andrà bene, indicherà una nuova strada per il potere mediatico globale della Cina», ha detto Kokas. «Ma credo che le prime reazioni al trailer siano un’indicazione del fatto che in realtà molte co-produzioni sino-americane potrebbero avere molto successo in un mercato e non essere all’altezza delle aspettative nell’altro».
© 2016 – The Washington Post