La morte di Enrico Toti, 100 anni fa

Il 6 agosto del 1916 morì in combattimento il bersagliere senza una gamba diventato un eroe dei nazionalisti e un'icona del fascismo

Cento anni fa, il 6 agosto 1916, nel pieno della Prima guerra mondiale, fu ucciso Enrico Toti, il bersagliere italiano senza una gamba noto per aver scagliato la sua stampella contro gli austriaci che lo avevano ferito. Insignito della medaglia d’oro al valore militare postuma, Toti divenne un’icona della propaganda di guerra, e dopo la fine della guerra il regime fascista gli dedicò centinaia tra libri, vie e scuole. Oggi, a parte alcuni libri di esperti “revisionisti”, di Enrico Toti si ricorda per lo più la figura stereotipata tramandata dalla propaganda nazionalista.

Toti nacque a Roma, il 20 agosto del 1882, da genitori originari del basso Lazio (suo padre era un ferroviere di Cassino). All’età di 15 anni, si arruolò nella marina militare come mozzo e sei anni dopo, a bordo dell’incrociatore Coatit, partecipò alla campagna contro i pirati arabi del Mar Rosso. Nel 1905 Ernesto, il suo unico fratello, morì, costringendolo a congedarsi e tornare a Roma, dove vinse il concorso per diventare ferroviere. Nel 1908, mentre manovrava due locomotive, scivolò e la sua gamba sinistra finì stritolata. I medici furono costretti ad amputargliela all’altezza del bacino. In una lettera in cui raccontava i mesi successivi all’operazione, Toti scrisse: «Rimessomi in salute ripresi la mia vita sportiva e presi parte con una gamba sola al concorso internazionale a Roma per la traversata del Tevere, guadagnandomi la medaglia d’argento» (questa e altre citazioni sono prese dal volume di Marco e Valentino Mattei “Enrico Toti”, disponibile qui). Toti imparò anche ad andare in bicicletta con una gamba sola e nel 1911 tentò un “giro del mondo” che lo portò dall’Italia alla Lapponia, nell’odierna Finlandia, e poi fino in Sudan, dove le autorità locali gli impedirono di proseguire per ragioni di sicurezza.

Toti fu anche un inventore. Come hanno scritto Marco e Valentino Mattei, tra le sue creazioni si ricordano «una benda di sicurezza per cavalli, uno spazzolino protettore per biciclette, un colletto da indossare senza gemelli, un segnapunti per giocatori, ed ultimo un apparecchio Salus da applicare ai bicchieri ed evitare così il pericolo di malattie contagiose». Alcune di queste invenzioni furono esposte all’Esposizione Universale di Roma del 1911.

Nel 1915 l’Italia entrò nella Prima guerra mondiale dichiarando guerra all’Austria-Ungheria, fino a pochi giorni prima un paese alleato. Toti cercò di arruolarsi, ma la sua richiesta fu respinta a causa della sua inabilità fisica. Raggiunse comunque la linea del fronte, in Friuli, con la sua bicicletta. All’epoca era già una figura abbastanza nota in Italia e i comandanti del settore lo fecero arruolare come “volontario civile”, un ruolo da non combattente, utilizzandolo al contempo come strumento di propaganda per alzare il morale delle truppe che erano impegnate da mesi in una serie di battaglie sanguinose e inconcludenti. Toti venne assegnato a un battaglione di bersaglieri ciclisti e divenne molto popolare all’interno della sua unità. Mentre portava ordini da un settore all’altro con la sua bicicletta, aiutava i soldati, in gran parte analfabeti, a scrivere lettere a casa e leggeva loro i giornali che arrivavano al fronte. In aprile, probabilmente travalicando la sua autorità, il comandante dell’unità decise di consegnargli le stellette e l’elmetto piumato da bersagliere, proclamandolo un “vero soldato”. Pochi mesi dopo, il 6 agosto, Toti decise di partecipare a un attacco contro le linee austriache. Intorno alle 15 morì, dopo essere stato ferito da tre proiettili.

La propaganda militare fu rapida a sfruttare la morte di Toti. Prima della fine d’agosto il re – su pressione di suo cugino, il Duca d’Aosta, che si era interessato al caso – decise di assegnargli la medaglia d’oro postuma. La motivazione ufficiale diceva:

«Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana»

Ad ottobre, la Domenica del Corriere pubblicò un’illustrazione dell’episodio, piuttosto fantasiosa, realizzata da Achille Beltrame. L’immagine divenne il simbolo del gesto eroico compiuto da Toti.

Beltrame_EnricoToti

Alla fine della guerra, la prima grande vittoria ottenuta dall’esercito dell’Italia unita, la figura di Toti venne rapidamente ripresa dai nazionalisti e poi dai fascisti, insieme ad altri simboli usciti dal conflitto, come la canzone “La leggenda del Piave“. Toti divenne l’eroe di una parte politica, amato a destra ma osteggiato a sinistra. Le commemorazioni per la sua morte, celebrate nel quartiere San Giovanni a Roma, sono state spesso occasione di scontri con morti e feriti tra gruppi armati di estrema destra e sinistra.

Nonostante sulla storia di Toti siano stati scritti moltissimi libri, dopo la fine del regime fascista la sua fama è andata calando e pochi storici si sono occupati della sua vicenda utilizzando criteri moderni. Di recente Lucio Fabi, un esperto di storia che ha scritto molti volumi e curato diverse mostre sulla Prima guerra mondiale, ha scritto un libro “revisionista” sulla storia di Enrico Toti, in cui sottolinea gli aspetti “irrequieti” del carattere di Toti e quello che ritiene essere il suo forte bisogno di affermarsi e di mostrare la sua determinazione dopo l’incidente. Il suo libro è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare da parte di due deputati di Alleanza Nazionale, che lo hanno accusato di volerne infangare la memoria.

Il lavoro di Fabi consente di approfondire parzialmente la figura di Toti e di renderla più realistica rispetto al personaggio bidimensionale inventato dalla propaganda. Si tratta però in gran parte di congetture, e difficilmente a un secolo dalla sua morte potremo conoscere meglio altri aspetti della vita e della personalità di Toti. Quello che conosciamo con maggiore dettaglio è l’episodio in cui fu ucciso. Il suo commilitone, Ulderico Piferi, raccontò in diverse interviste cosa accadde a Toti subito prima di morire.

In pieno giorno superammo lo sbarramento nemico allo scoperto. Alle quindici circa del 6 agosto 1916 arrivammo a quota 85 (appena fuori Monfalcone, prima del fiume Lisert, in località Sablici). Venne subito l’ordine d’avanzare ed Enrico era tra i primi. Aveva percorso 50 metri quando una prima pallottola lo raggiunse. M’avvicinai mentre eravamo entrambi allo scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi. Continuava a gettare bombe, e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una pallottola, questa volta l’ultima, lo colpì in fronte

Stando al racconto di Piferi, Toti non si trovava sul ciglio della trincea avversaria, come nell’illustrazione della Domenica del Corriere, ma più lontano, visto che cercava di lanciare bombe a mano verso il nemico. Sembra anche che Toti avrebbe potuto salvarsi, se avesse voluto. Piferi disse però che Toti decise di rimanere esposto al fuoco nemico, anche se dal racconto non si capisce la ragione tattica della scelta. Alla fine l’ultima pallottola lo colpì alla testa, uccidendolo. Il sorriso prima di morire e la frase “Ma nun moio io!” sono tutti gesti impossibili per qualcuno che ha ricevuto in testa uno dei grossi proiettili sparati dai fucili dell’epoca. Per quanto riguarda l’altro gesto celebrato dalla propaganda, il bacio alla piuma dell’elmo, Piferi raccontò in un’intervista data nel 1965, mezzo secolo dopo i fatti: «Quando mi sono avvicinato ho visto che aveva la bocca poggiata sull’elmetto, e mi ha dato l’impressione che stesse baciandolo».