Le Olimpiadi sempre nella stessa città
È una proposta che riappare con sempre maggior frequenza, e molto improbabile: ma eviterebbe un sacco di guai e problemi, dice un commento sul Washington Post
di Paul Glastris – The Washington Post
Anche quelli tra noi che amano il «brivido della vittoria e l’agonia della sconfitta» delle Olimpiadi, probabilmente potrebbero fare a meno di un’emozione almeno: la solita paura che i giochi – che inizieranno venerdì a Rio de Janeiro – possano trasformarsi in un disastro. Per ora, le notizie non ispirano fiducia: ci sono rapinatori armati che hanno rubato l’attrezzatura di una troupe televisiva tedesca, le strutture residenziali per gli atleti «inabitabili», e i consigli ai nuotatori di fondo di non aprire la bocca durante le gare nelle acque contaminate dai liquami di Guanabara Bay. Anche ad Atene nel 2004 le Olimpiadi erano state precedute da timori simili fino al giorno dell’apertura. Alla fine, però, anche quei giochi furono un successo, e quindi ci sono dei motivi per sperare che lo stesso accada a Rio. La cattiva preparazione, però, genera dei rischi reali, che fanno parte di una più ampia serie di problemi che perseguitano da tempo i Giochi Olimpici moderni e che hanno un’unica ed evitabile origine: l’ostinazione da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) a scegliere una città ospitante diversa per ogni edizione delle Olimpiadi.
Questo approccio non ha niente di indiscutibile. Iniziò quando, dopo aver organizzato la prima edizione ad Atene nel 1896, il fondatore dei giochi moderni Pierre de Coubertin decise di tenere le Olimpiadi successive a Parigi, dove era nato. Da allora, il CIO si è abituato al prestigio che deriva dal processo di selezione della città ospitante, un trofeo che i paesi desiderano e per il quale competono quasi tanto quanto fanno i loro atleti ai giochi. Questo potere ha alimentato decenni di corruzione da parte dei funzionari del CIO, culminati con lo scandalo sulle tangenti per le Olimpiadi invernali di Salt Lake City del 2002. Nonostante le riforme portate avanti da allora, le accuse di corruzione continuano ancora oggi. La politica del CIO ha inoltre permesso che regimi autoritari potessero avere il proprio “turno” di ospitare le Olimpiadi, dalla Berlino di Hitler alla Sochi di Vladimir Putin.
Organizzare un’Olimpiade moderna è un’impresa titanica. Farlo per la prima volta, senza esperienze pregresse, mette a dura prova anche una città o un paese ricco e sofisticato. La responsabile delle finanze delle Olimpiadi di Atlanta una volta disse che il suo lavoro consisteva nel «creare da zero un società da Fortune 500 [la lista della rivista americana Fortune, che ogni anno mette insieme le cinquecento più importanti società statunitensi, ndt], per poi smantellarla alla fine delle Olimpiadi». Secondo uno studio pubblicato il mese scorso dalla University of Oxford, la natura temporanea delle Olimpiadi ne fa aumentare i costi di costruzione e gestione. Lo studio ha scoperto che dal 1960 al 2016, ogni edizione delle Olimpiadi estive o invernali ha sforato i costi in media del 156 per cento, «il più alto sforamento medio di qualsiasi tipo di mega-progetto». Questi eccessi sono legati a un’altra risorsa che inevitabilmente viene sperperata quando i giochi si spostano: il capitale umano. Le competenze sviluppate con fatica da una città che ospita le Olimpiadi – le conoscenze che urbanisti, collaboratori esterni, tecnici, forze di sicurezza e gli eserciti di volontari acquisicono sul campo – non possono essere sfruttate nuovamente nello stesso modo se quella città non ospita l’edizione successiva dei giochi quattro anni dopo. Così, tocca a un’altra città commettere gli stessi errori da principianti.
Poi, c’è la questione dell’assurdo spreco dei progetti di infrastrutture che di solito le città ospitanti realizzano e che spesso sono di scarsa utilità una volta che i giochi sono finiti. Gli splendidi stadi e le strutture di allenamento che Atene costruì nel 2004 sono rimasti perlopiù inutilizzati da allora (anche se oggi alcune di queste strutture ospitano dei profughi). I miliardi di dollari presi in prestito dalla Grecia per costruire le strutture hanno contribuito a portare il paese nell’attuale tremenda crisi finanziaria. Oggi, la Grecia ha problemi economici così gravi da aver smesso di finanziare l’allenamento dei suoi atleti olimpici.
Tutti questi sprechi, rischi e corruzione non sono assolutamente necessari. Gli antichi greci svolsero le Olimpiadi nello stesso santuario coperto da boschi nel Peloponneso per un millennio, senza traccia di controindicazioni stando alle opere letterarie del periodo. Dovremmo fare una cosa simile anche per le Olimpiadi moderne: scegliere una città o un paese e farli diventare la sede permanente delle Olimpiadi, una per quelle estive e un’altra per quelle invernali. Ci sono molti posti che andrebbero bene, ma ovviamente la Grecia sarebbe una scelta scontata, almeno per le Olimpiadi estive. La Grecia potrebbe rivendicare un diritto innegabile per via della sua storia, ha organizzato le Olimpiadi del 2004, la ristrutturazione dei suoi impianti non sarebbe troppo costosa, e l’aumento delle entrate dai flussi turistici potrebbero aiutare il paese a ripagare il suo debito, motivo per il quale recentemente la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde si è espressa a favore dell’idea.
L’attuale sistema per la scelta della città delle Olimpiadi è diventato così palesemente ridicolo che alcuni paesi a cui potrebbe interessare ospitare i giochi ora riflettono attentamente sulla possibilità di candidarsi. Due anni fa, la Norvegia si ritirò dalla gara per le Olimpiadi invernali del 2022 per via delle spese e delle pretese del CIO, che comprendevano tra le altre cose delle corsie preferenziali ad hoc per i membri del comitato. A luglio, nonostante gli sforzi del CIO per aiutare le città ospitanti a ridurre i costi, Boston ha ritirato la candidatura per le Olimpiadi estive del 2024, dopo che uno studio finanziato dal Massachusetts aveva concluso che l’unico modo certo per garantire che una città non perda enormi quantità di denaro sarebbe organizzare i giochi in quella stessa città ogni quattro anni. Trovare una sede permanente per le Olimpiadi è un’idea così pratica che potrebbe ottenere un sostegno diffuso: tranne che all’interno del CIO, ovviamente.
© 2016 – The Washington Post