I Repubblicani stanno un po’ mollando Trump
Dopo il caso Khan il sostegno per il candidato presidente si è molto indebolito: i pezzi grossi del partito non possono rinnegarlo, ma forse stanno pensando a come sganciarsi
Negli ultimi giorni le notizie intorno alla campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane si sono concentrate sulle reazioni di alcuni importanti esponenti del Partito Repubblicano al caso che ha coinvolto il candidato Repubblicano Donald Trump e Khizr e Ghazala Khan, i genitori di un soldato americano musulmano morto in Iraq per salvare i propri compagni. Meg Whitman, un’importante e influente finanziatrice Repubblicana della California ed ex candidata a governatrice della California, ha detto martedì che voterà per la candidata Democratica Hillary Clinton a novembre. Sempre martedì, Richard Hanna, membro della Camera dei Rappresentanti, è diventato il primo Repubblicano al Congresso a dare il suo sostegno a Clinton. Sally Bradshaw, una dei più importanti consulenti di Jeb Bush, ha lasciato il Partito Repubblicano, e ha detto che se in Florida si arriverà a un’elezione in bilico voterà per Clinton. Politico negli scorsi giorni ha chiesto a 50 membri del Partito Repubblicano candidati a elezioni alla Camera dei Rappresentanti, al Senato o come governatore (che si terranno a novembre insieme a quelle presidenziali) se sono disposti a fare campagna elettorale con Trump: «solo una manciata ha detto di sì; il resto ha detto di no, ha rifiutato di dirlo adesso o non ha proprio risposto».
Soprattutto gli endorsement di Whitman e Hanna sono stati molto commentati per la loro importanza simbolica, ma non arrivano dai membri più importanti del Partito Repubblicano, nessuno dei quali ha naturalmente dato il proprio sostegno alla candidata del partito opposto. Molti di loro, però, dal senatore del Texas Ted Cruz all’ex candidato alla presidenza Mitt Romney all’ex presidente George W. Bush, non hanno nemmeno fatto il proprio endorsement per Trump.
Diversi osservatori stanno commentando questa fase della campagna elettorale americana chiedendosi, in sostanza, se sia arrivato il momento in cui il Partito Repubblicano stia mollando Trump. La risposta breve è che no, non sta succedendo, perché sarebbe una decisione con conseguenze disastrose per il partito. L’opinione generale è però che i Repubblicani, dopo il caso Khan, stiano attraversando una fase di confusione e indecisione inedita, e in molti hanno provato a ragionare su quali siano le possibilità, ora, per i Repubblicani che sentono di non poter sostenere Trump, ma che ovviamente non vogliono nemmeno prendere posizioni che segnerebbero la fine della loro carriera politica.
Dopo che Khan, parlando alla convention Democratica a fianco di sua moglie Ghazala, aveva accusato Trump per le sue parole e le sue minacce contro gli immigrati e i musulmani, e dopo che Trump aveva risposto con una serie di commenti giudicati da tutti gli osservatori come irrispettosi nei confronti dei genitori di un giovane militare americano ucciso in guerra, molti Repubblicani hanno preso le distanze – anche in maniera molto dura – dalle parole di Trump. La risposta più importante e ripresa è stata quella del rispettato senatore John McCain, un veterano della guerra in Vietnam e candidato Repubblicano alla presidenza nel 2008, che aveva detto: «spero che gli americani capiscano che quei commenti non rappresentano le opinioni del Partito Repubblicano, dei suoi funzionari o dei suoi candidati».
Anche Paul Ryan, lo speaker della Camera e il Repubblicano più alto in grado al Congresso – che aveva fatto il suo endorsement per Trump anche durante la convention di due settimane fa – ha commentato la risposta ai Khan dicendo in un comunicato: «Molti americani musulmani hanno servito valorosamente nel nostro esercito, e hanno fatto il sacrificio massimo. Il capitano Khan era uno di questi esempi coraggiosi. Il suo sacrificio – e quello di Khizr e Ghazala Khan – non sarà dimenticato. Punto.» Dopo il commento di Ryan, Trump ha detto in un’intervista al Washington Post che non farà il suo endorsement per Ryan per le primarie del Partito Repubblicano per il posto alla Camera del primo collegio del Wisconsin, che si terranno martedì 9 agosto. Trump ha anzi fatto i complimenti alla campagna elettorale dello sfidante di Ryan, l’imprenditore Paul Nehlen. Essendo Ryan uno dei più importanti dirigenti del Partito Repubblicano, l’endorsement del candidato alla presidenza del partito era una specie di riconoscimento scontato.
Parlando del suo sostegno a Clinton, la ricca imprenditrice Repubblicana Meg Whitman ha detto che farà campagna elettorale per Clinton e proverà a convincere altri suoi amici Repubblicani, aggiungendo che è ora di mettere «il paese davanti al partito». Whitman ha detto che Trump è un «demagogo disonesto» che può portare gli Stati Uniti «in un viaggio molto pericoloso». Whitman è molto vicina a Romney e quest’anno ha lavorato per la campagna elettorale alle primarie Repubblicane di Chris Christie, governatore del New Jersey e tra i primi importanti membri del partito ad aver sostenuto Trump: Whitman ha commentato il suo comportamento definendolo un «incredibile esibizione di opportunismo politico». Ha anche spiegato che la candidata Democratica le aveva telefonato un mese fa, confermando quindi che Clinton sta cercando di convincere importanti Repubblicani a passare dalla sua parte. Whitman ha detto che è stata una chiacchierata piacevole, e che nonostante sia in disaccordo con Clinton su molti temi, sarebbe un presidente molto migliore di Trump.
La decisione di Whitman potrebbe diventare un problema serio per Trump nel caso in cui venisse imitata da altri importanti finanziatori del Partito Repubblicano. Trump ha fatto molta fatica a raccogliere donazioni durante le primarie, e anche quando è rimasto l’unico candidato Repubblicano ha continuato a raccogliere molti meno finanziamenti rispetto a Clinton. Pochi giorni fa poi Charles e David Koch, tra le persone più ricche del mondo e i più famosi e influenti finanziatori Repubblicani, hanno detto che il loro network finanziario non sosterrà Trump (e neanche Clinton), perché non sono convinti della fiducia del candidato Repubblicano nel libero mercato. I fratelli Koch hanno fatto l’annuncio durante una riunione a Colorado Springs, in Colorado, a cui hanno partecipato altri 400 donatori: Trump ha scritto su Twitter di aver rifiutato l’invito al meeting («molto meglio per loro incontrarsi con i burattini della politica»), ma i giornali americani scrivono che in realtà non era stato proprio invitato. Hanno parlato invece altri importanti politici Repubblicani, da Ryan al governatore del Wisconsin Scott Walker.
In molti hanno notato come nella loro convention i Democratici abbiano esplicitamente insistito su temi e valori tradizionalmente associati al Partito Repubblicano: hanno parlato di fede, di famiglia e di patriottismo, e hanno citato Theodore Roosevelt e Ronald Reagan. Con il caso Khan, poi, hanno portato Trump a quella che è stata percepita come una grave mancanza di rispetto verso un eroe di guerra: una cosa che in un’elezione normale sarebbe inconcepibile per un candidato Repubblicano. Molti opinionisti Repubblicani, nei giorni della convention Democratica, si sono lamentati che Trump si era “fatto rubare” il loro materiale migliore.
Martedì il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha fatto il suo commento più duro finora su Trump, dicendo che lo ritiene «inadatto a fare il presidente». Parlando in una conferenza stampa con il primo ministro di Singapore, Obama si è rivolto direttamente ai politici Repubblicani, dicendo: «se dovete ripetutamente dire, in termini molto duri, che quello che ha detto è inaccettabile, perché continuate a dargli il vostro sostegno?». Obama ha detto che durante le campagne elettorali del 2008 e 2012 era in disaccordo con i suoi avversari, McCain e Romney, ma non pensava che non fossero in grado di essere presidenti: «ma questa non è la situazione che c’è ora». Ha detto che «ci deve essere un momento in cui dici: basta».
Sul Washington Post il giornalista politico Paul Waldman ha provato a ragionare su quali siano le possibilità, ora, per i Repubblicani. Il partito ha già nominato come candidato ufficiale Trump, quindi le cose che possono succedere riguardano i singoli esponenti, che possono scegliere di ritrattare il proprio endorsement, se l’hanno fatto, o addirittura farlo a Clinton. La cosa più importante da fare per prevedere il comportamento di un politico in queste situazioni, scrive Waldman, è valutare cosa ha da guadagnare e cosa da perdere. Il membro del Congresso Hanna, per esempio, sta per andare in pensione: può quindi dire e fare quello che vuole – anche sostenere Clinton – senza preoccuparsi delle conseguenze.
Per tutti gli altri, la questione è più complicata. Waldman scrive che un ragionamento possibile per un Repubblicano è valutare le conseguenze concrete sulla propria carriera di una presidenza Trump. Chi si occupa di politica interna, ad esempio, può stare tranquillo che Trump firmerà tutte le leggi approvate dal Congresso, e che cercherà di nominare giudici molto conservatori alla Corte Suprema. A essere più preoccupati potrebbero essere invece i Repubblicani che si occupano di politica estera, tema sul quale Trump ha posizioni radicali e in certi casi opposte a quelle del partito, come per esempio non rispettare gli impegni previsti dalla NATO.
Questi calcoli, però, prevedono che Trump vinca, quando in realtà, attualmente, gli analisti danno più possibilità di vittoria a Clinton. Un Repubblicano quindi potrebbe scommettere sulla sconfitta di Trump, e non fargli il proprio endorsement: in caso di vittoria di Clinton, potrà dire di avere avuto ragione. Questa sembra essere la strategia di Ted Cruz, che in questo modo spera di arrivare da favorito alle primarie presidenziali del 2020. Bisogna però tenere presente che la maggior parte degli esponenti del Partito Repubblicano sostiene Trump, seppure con perplessità e in certi casi ostilità: non sarà quindi facile per la minoranza che non ha fatto il suo endorsement andare contro la maggioranza.
Waldman ha anche ragionato su quali siano le prospettive per i Repubblicani che decidono di andare fino in fondo, sostenendo Clinton. Se Clinton vincesse a novembre, diventerebbe immediatamente – e indipendentemente dal suo lavoro come presidente – una delle persone più odiate al mondo dalla base del Partito Repubblicano. Come saranno visti, allora, i Repubblicani che l’hanno sostenuta? E che possibilità avranno di vincere contro i rivali del proprio partito alle elezioni di metà mandato del 2018? Per queste ragioni, scrive Waldman, per un Repubblicano non c’è praticamente niente da guadagnare nel sostenere Clinton.
Ci sono quindi, in pratica, quattro possibili posizioni, per i Repubblicani: 1) sostenere Trump; 2) sostenere Trump ma criticarlo; 3) non sostenere Trump, ma neanche Clinton; 4) sostenere Clinton. Secondo Waldman, saranno pochi i Repubblicani a scegliere la quarta posizione. Se però Trump continua a scendere nei sondaggi, o se dice altre cose che vanno troppo contro i principi Repubblicani, potrà succedere che qualcuno passi dalla seconda alla terza posizione.