Gli stati in cui Trump deve vincere
Per sperare di superare Hillary Clinton alle elezioni di novembre: secondo il New York Times sono Ohio, Florida, Pennsylvania e North Carolina, ma non sarà facile
Secondo il New York Times, Donald Trump – il candidato Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti – sta progettando di concentrare la maggior parte della propria campagna elettorale solo in tre o quattro stati, perché sarebbe l’unico modo per battere Hillary Clinton e vincere le elezioni di novembre. Se si considerano i sondaggi stato per stato, quelli più realistici per avere un’idea di come potrebbero andare le elezioni, Clinton attualmente viene data in vantaggio. FiveThirtyEight, il sito di statistica di Nate Silver, assegna a Clinton il 61 per cento, il 51 per cento e il 57 per cento di probabilità di vittoria, a seconda del modello statistico utilizzato per il calcolo. Ed è probabile che nei prossimi giorni queste percentuali aumenteranno, man mano che usciranno più sondaggi fatti dopo la convention dei Democratici (finora sono disponibili solo quelli fatti al termine della convention dei Repubblicani, che come da copione danno in leggero vantaggio Trump). Da qui a novembre però possono succedere ancora moltissime cose, e Trump ha dimostrato di avere incredibili capacità di ribaltare le previsioni (nessuno si aspettava arrivasse fin qui, qualche mese fa): può ancora vincere, come ha sostenuto recentemente l’esperto giornalista politico Chris Cilizza del Washington Post. Per farlo, però, deve probabilmente vincere in tre dei più importanti swing states americani, gli stati “in bilico” a ogni elezione presidenziali: Florida, Ohio e Pennsylvania.
Gli elettori americani non votano direttamente il candidato presidente alle elezioni presidenziali: votano i grandi elettori, che poi votano il presidente in un passaggio formale. I grandi elettori sono votati stato per stato: ogni stato ne elegge un certo numero, in base alla sua popolazione. Il numero di grandi elettori, e la loro distribuzione stato per stato, corrisponde a quello dei membri del Congresso. Sono in tutto 538, cioè quanti sono i 435 membri della Camera dei rappresentanti e i 100 senatori, con l’aggiunta di tre grandi elettori per il District of Columbia, lo stato nel quale si trova la capitale Washington D.C.. La California e il Texas, con 55 e 38, sono gli stati che eleggono più grandi elettori; Alaska, Delaware, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont, e Wyoming invece sono quelli che ne eleggono di meno: solo tre ciascuno.
Tradizionalmente, negli Stati Uniti ci sono alcuni stati che votano per un partito: in California ad esempio non vince un candidato Repubblicano dal 1988 (era George H. W. Bush), mentre in Texas non vince un Democratico dal 1976 (era Jimmy Carter). Ci sono però alcuni stati, quelli in bilico, che possono essere decisivi per la vittoria di un candidato alle presidenziali e il cui voto è molto alternato. L’esempio più famoso è quello del 2000, quando George W. Bush vinse le elezioni ottenendo in Florida un vantaggio di poco più di 500 voti. Per come sono andate fino ad oggi le cose, gli swing states potrebbero essere più un problema per i Repubblicani che per i Democratici. Dal 1992 i Democratici hanno mantenuto una base di vittorie in almeno 18 stati, per un totale di 242 grandi elettori, senza contare i più grossi swing states. Per vincere le presidenziali nel 2008 e nel 2012, i candidati Repubblicani John McCain e Mitt Romney avrebbero dovuto vincere quasi tutti gli stati in bilico.
Secondo i calcoli del New York Times, per ottenere i 270 grandi elettori che gli consentirebbero la vittoria, Donald Trump dovrebbe vincere quasi obbligatoriamente in Ohio, Florida e Pennsylvania, che assegnano rispettivamente 18, 29 e 20 grandi elettori. Ma non è per niente facile: l’attuale presidente Barack Obama ha vinto in tutti e tre gli stati nel 2008 e nel 2012, e un Repubblicano non vince in Pennsylvania dal 1988. Nonostante la difficoltà, Ohio, Florida e Pennsylvania sono gli swing states importanti in cui Trump ha più possibilità: secondo diversi esperti, non può più recuperare lo svantaggio in altri importanti stati in bilico perché si è ormai alienato troppo il voto delle donne e degli ispanici. Secondo i sondaggisti, Colorado e Virginia, stati che votarono nel 2000 e nel 2004 per George W. Bush, sono in mano a Clinton: nel primo, per il grande numero di ispanici che ci abitano; nel secondo, perché è lo stato del candidato Democratico alla vicepresidenza Tim Kaine.
(le previsioni del modello di Nate Silver che tiene conto dei sondaggi, dei dati economici e di quelli sulla storia elettorale dei singoli stati, aggiornato al 31 luglio 2016)
Trump potrebbe avere qualche difficoltà anche a vincere in North Carolina, uno stato che dal 1980 a oggi ha sempre votato per il candidato Repubblicano, ad eccezione del 2008, al primo mandato di Obama. In North Carolina però vivono molti afroamericani e molte persone bianche e istruite, due segmenti elettorali tra i quali Trump è poco popolare. Il New York Times scrive che «nonostante Trump non sia pronto ad abbandonare completamente nessuno dei principali campi di battaglia, i suoi consiglieri sono diventati sempre più convinti che la strada più plausibile per la presidenza, e forse la sua unica e ristretta possibilità di vittoria, sia vincere tutti e tre i più importanti premi elettorali in bilico, e tenere il North Carolina nella colonna degli stati Repubblicani». Per questo, Trump e il suo candidato alla vicepresidenza Mike Pence si stanno concentrando su questi quattro stati. Anche Reuillding America Now, il più importante Super PAC (un comitato elettorale che può ricevere donazioni illimitate da singoli individui, società e associazioni, a patto che non coordini le loro azioni con i candidati) che sostiene Trump, ha adottato questa strategia: ha prenotato spazi pubblicitari televisivi solo in Ohio, Florida e Pennsylvania. Il principale Super PAC che sostiene Clinton, Priorities USA Acrion, ha invece prenotato spazi anche in diversi altri stati.
John Brabender, un consulente politico Repubblicano, ha spiegato al New York Times che la strada che porta alla presidenza di Trump è molto stretta: «il fatto che dobbiamo preoccuparci di vincere la Pennsylvania per vincere la presidenza dice quanto sia una cosa difficile». Terry McAuliffe, il governatore della Virginia, ha detto che secondo lui a Clinton basterà vincere in Virginia e in un altro stato in bilico come la Florida, quello che sarebbe meno ostico per i Democratici: «Se metti insieme Florida e Virginia, è virtualmente impossibile per i Repubblicani vincere la presidenza». Paul Manafort, presidente della campagna elettorale di Trump, sembra invece molto più ottimista: ha sostenuto che ci sono molte strade che portano a una vittoria di Trump e ha detto che Trump vuole sfidare Clinton in stati tradizionalmente Democratici come New Jersey e Oregon. Il New York Times ha scritto però che in privato i consulenti politici Repubblicani sono più pessimisti, e credono che Trump abbia ancora meno possibilità di quante ne avevano McCain e Romney per via del fatto che ha allontanato da sé troppi segmenti dell’elettorato americano.
A tutto questo si aggiungono altri problemi per Trump: per esempio la sua campagna elettorale ha raccolto molti meno soldi di quella di Clinton, e negli Stati Uniti conta parecchio; e il governatore dell’Ohio (un importante swing state) è John Kasich, che è stato avversario di Trump alle primarie Repubblicane e che non gli ha dato il suo endorsement. In Florida, invece, il grosso problema di Trump sembrano essere gli elettori latinoamericani, spesso decisivi per la vittoria finale. Soprattutto nel sud diversi influenti Repubblicani ispanici si sono schierati contro Trump; e uno dei principali avversari di Trump nel Partito Repubblicano è Jeb Bush, che è stato governatore della Florida dal 1999 al 2007.
Secondo esperti sia Repubblicani sia Democratici, Trump ha buone possibilità di vincere in Iowa, dove nel 2008 e nel 2012 vinse Obama, e che però assegna solo sei grandi elettori. Alcuni membri dello staff di Trump hanno anche detto che i Repubblicani possono vincere in Michigan, uno stato industriale del nord est degli Stati Uniti dove i Democratici vincono dal 1992. I consiglieri di Clinton con cui ha parlato il New York Times hanno però ricordato che anche McCain e Romney avevano speranze di vincere in Michigan e Wisconsin, che poi sfumarono molto prima di novembre.
Giovedì scorso, comunque, Pence ha fatto dei comizi a Detroit, la capitale del Michigan, e dedicherà molta della sua campagna elettorale alla Rust Belt, la regione del nord est dove si trovano Michigan, Illinois, Ohio, Indiana (lo stato del quale è governatore) e Wisconsin. Pence, che è un uomo dell’establishement del Partito Repubblicano, è molto di destra e piace alla base del partito. Potrebbe essere sfruttato da Trump soprattutto per provare a difendere stati conservatori come Georgia e Arizona, dove Clinton può essere competitiva. Pence è un cristiano evangelico, e secondo alcuni osservatori farà anche campagna in North Carolina, che è all’80 per cento protestante.