È giusto pubblicare le foto dei terroristi?
Alcuni giornali hanno scelto di non farlo più, ma non è sempre facile decidere che informazioni dare ai propri lettori e c'è il rischio dell'emulazione
Mercoledì 27 luglio Le Monde, il più importante quotidiano in Francia, ha pubblicato un editoriale intitolato “Resistere alla strategia dell’odio”, nel quale ha spiegato perché d’ora in avanti smetterà di pubblicare sul suo sito le fotografie dei responsabili degli attentati terroristici. Il direttore Jérôme Fenoglio ha scritto che la decisione è stata presa per contrastare il tentativo dello Stato Islamico (o ISIS) di alimentare una “guerra civile” in Francia: «Non arrendersi su questo punto, mai, è il primo atto di resistenza in una società come la nostra, è anche il suo orgoglio, ed è la prima sconfitta inflitta al nemico». L’obiettivo è evitare la “glorificazione postuma” dell’attentatore, che potrebbe spingere altre persone a compiere atti simili (il cosiddetto “copycat”, l’emulazione di crimini).
La decisione di Le Monde – presa dopo l’ultimo attentato terroristico compiuto in Francia, quello nella chiesa a Saint-Étienne-du-Rouvray, in Normandia – è stata seguita da diversi altri organi di stampa francesi, come la rete tv BFMTV e il giornale cattolico La Croix. Hervé Béroud, direttore editoriale di BFMTV, ha detto che in redazione ne stavano parlando da tempo e che la decisione di non pubblicare più le foto dei terroristi è stata accelerata dall’attentato di Nizza: quello in cui un uomo ha investito la folla sul lungomare della città uccidendo 84 persone. Anche la radio Europe 1 ha detto che non pubblicherà né le foto né i nomi dei terroristi. Altri giornali invece, come Libération, valuteranno caso per caso: «Mettiamo sempre in discussione la nostra posizione quando si tratta di immagini. Ogni storia è diversa, ogni attacco terroristico è diverso, e adattiamo la nostra prima pagina sulla base di queste considerazioni», ha scritto il direttore del giornale, Johan Hufnagel, in una email al Guardian.
Benedict Carey, giornalista del New York Times che si occupa di argomenti medici e scientifici, ha scritto un articolo intitolato “Mass Killings May Have Created Contagion, Feeding on Itself” sull’effetto a catena che può creare una strage di cui i giornali parlano molto. Prendiamo tre casi recenti. L’uomo iraniano-tedesco che il 22 luglio ha ucciso nove persone in un centro commerciale di Monaco di Baviera, in Germania, era ossessionato dagli omicidi di massa, e in particolare dalle stragi di Oslo e Utøya del 2011. L’uomo tunisino che il 14 luglio ha ucciso 84 persone a Nizza, in Francia, aveva fatto ricerche su molte stragi, tra cui quella nel locale gay di Orlando, in Florida. Lo stesso aveva fatto lo sparatore di Orlando sulla strage in un centro per i servizi sociali di San Bernardino, in California, nella quale furono uccise 17 persone. Carey ha scritto:
«Alcuni attacchi sono ideologici, altri no, altri ancora si collocano in una zona grigia. Ma secondo gli esperti, gli attacchi nei locali e nei ristoranti di Parigi, negli aeroporti di Bruxelles e Istanbul e negli spazi pubblici di Mumbai, di cui si è parlato molto, potrebbero influenzare persone instabili che stavano già pensando di compiere un atto di violenza dandogli la spinta ad agire, così com’è successo in passato con molte sparatorie nelle scuole e simili gesti violenti che ricordano fatti precedenti a cui i giornali avevano dato ampio spazio.»
Ci sono diverse ragioni per pensare che l’emulazione possa essere un fattore negli attentati, ha scritto Carey, anche se chiaramente non l’unico. Secondo uno studio realizzato in Germania nel 2002, gli assassini di massa – cioè quelli che uccidono il maggior numero di persone possibile senza un motivo apparente – non agiscono con una tempistica casuale. La maggior parte degli attacchi presi in considerazione dallo studio e compiuti tra il 1993 e il 2000 è successivo ad attacchi simili compiuti nelle settimane precedenti. Nel caso di attentati terroristici la questione non cambia molto: maggiore è la copertura mediatica di una strage, maggiore è la possibilità di creare emulazione. Raccontare troppi dettagli, per esempio spiegando con precisione il modo usato dall’assalitore per uccidere, rischia di produrre un effetto emulatorio su altre persone che stavano già pensando di compiere un atto di violenza.
Quando si parla di cosa sia giusto o meno pubblicare sui giornali in caso di stragi e attentati terroristici, non ci si riferisce però solo alla foto e all’identità dell’assalitore. Per esempio ci sono da sempre discussioni enormi sull’opportunità di pubblicare una fotografia particolarmente cruda o impressionante (ricordate il caso di Aylan Kurdi, il bambino siriano trovato morto su una spiaggia della Turchia dopo un naufragio? Se ne discusse moltissimo). La maggior parte delle principali testate internazionali sceglie di non mostrare immagini troppo impressionanti e violente: ci sono alcune eccezioni, valutazioni diverse fatte in circostanze particolari, ma in questi casi le foto vengono pubblicate dopo essere state verificate, contestualizzate e spiegate (in Italia c’è molta meno cautela da questo punto di vista).
Nel caso di stragi e attentati terroristici succede spesso che nelle prime ore dell’attacco comincino a circolare su Internet – soprattutto su Twitter e Facebook – foto molto crude, la maggior parte delle quali false. Anche qui i giornali possono scegliere se essere più o meno prudenti. In genere le grandi testate internazionali fanno un’accurata selezione delle informazioni da dare ai propri lettori: riportano solo le cose che sono stati in grado di verificare, oppure quelle che ritengono molto credibili, segnalando i dubbi. Possono anche decidere di non pubblicare informazioni o altro materiale sulla base di una richiesta delle autorità. In questo senso è molto interessante quello che è successo durante l’attacco al centro commerciale di Monaco di Baviera, durato diverso tempo a causa della fuga dell’assalitore. La polizia di Monaco ha cominciato a twittare informazioni e altre indicazioni in tre lingue, una cosa piuttosto inusuale: tedesco, francese e inglese, dicendo tra le altre cose di evitare di fare speculazioni – quindi diffondere informazioni non verificate – e di non pubblicare foto o video riguardanti l’attacco in corso. I messaggi erano rivolti a tutti i cittadini, ma sono stati ripresi e seguiti anche da molti giornali.
Please restrain any speculations – that would help us a lot! #München, #oez, #Schießerei
— Polizei München (@PolizeiMuenchen) July 22, 2016
Important:
Please don't publish Fotos/Videos of #gunfire #Munich.
Please help us and send these files to us underhttps://t.co/29Df0qGgM6— Polizei München (@PolizeiMuenchen) July 22, 2016
Non c’è una risposta definitiva alla domanda su cosa pubblicare e cosa no, nel caso di stragi e attentati terroristici. Ci sono sicuramente alcuni ragionamenti di buon senso, che riguardano per esempio le richieste della polizia di non diffondere informazioni a operazioni in corso oppure informazioni non verificate, che rischiano di creare panico e falsi allarmi. Ci sono le valutazioni, sempre di buon senso, che i giornali fanno sull’opportunità di diffondere foto molto crude e violente: mettere in home page di un sito di news una foto con dei morti e feriti durante e poco dopo una strage può essere molto discutibile. Poi ci sono riflessioni di altro tipo, e qui è più difficile venirne a capo: per esempio trovare un equilibrio tra non pubblicare materiale che potrebbe essere usato come propaganda e la volontà dei giornali di non nascondere informazioni rilevanti ai propri lettori. Mercoledì il direttore di Repubblica Mario Calabresi ha scritto un articolo in cui spiega la posizione del suo giornale su tutti questi temi: «Abbiamo così deciso di evitare le foto dei giovani terroristi in prima pagina, di non mostrare le vittime e il sangue degli attentati e di non pubblicare sul sito i video più crudi e tutti quelli in cui ci sono morti o feriti.», argomentando poi le varie scelte. Il Post ha deciso di mantenere una linea elastica in base alle occasioni, decidendo di volta in volta, senza proclami o regole definitive. In generale: pubblichiamo le foto e i nomi degli attentatori, evitiamo immagini troppo violente (anche se autentiche, e con qualche eccezione), e il materiale di propaganda nel caso di attentati terroristici.