È stata la Russia?
L'intelligence statunitense accusa quella russa di essere dietro al trafugamento di email del Partito Democratico pubblicate da Wikileaks
Le agenzie di intelligence statunitensi hanno detto di avere un “alto livello di certezza” che dietro al trafugamento di email del Partito Democratico americano ci sia il governo russo. Della storia si parla da qualche giorno, cioè da quando è cominciata la convention del Partito Democratico a Philadelphia e si è dimessa Debbie Wasserman Schultz, presidente del partito. Le mail trafugate – decine di migliaia – sono state pubblicate domenica da Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange, e sembrano dimostrare un’aperta avversità dei responsabili del partito nei confronti di Bernie Sanders durante le primarie in cui Sanders è stato battuto da Hillary Clinton. Provengono con tutta probabilità da ciò che era stato sottratto ai computer del Partito Democratico in un attacco di hacker denunciato lo scorso giugno, già allora attribuito da molti ai russi.
Le agenzie di intelligence americane che si sono occupate di indagare sul furto di email hanno detto di non essere certe che l’attacco hacker sia stato uno sforzo deliberato per manipolare le elezioni presidenziali del 2016. Una possibilità è che sia stato il risultato dell’attività quotidiana russa di cyber-spionaggio, «del tipo che anche gli Stati Uniti conducono in giro per il mondo», ha scritto il New York Times. La questione della responsabilità è ancora più complicata dall’inusuale coinvolgimento del governo russo nell’attuale campagna elettorale per le presidenziali americane: come hanno scritto diversi giornali americani e internazionali, è evidente da tempo che il presidente russo Vladimir Putin appoggi il candidato Repubblicano Donald Trump, sia per ragioni politiche che economiche (anche Assange, comunque, ha detto chiaramente che diffondendo le email sperava di danneggiare le possibilità di vittoria di Hillary Clinton).
Non è chiaro come le email siano arrivate a Wikileaks, l’organizzazione che altre volte in passato ha diffusi grandi quantità di documenti riservati provenienti da istituzioni mondiali diverse, generando conseguenze politiche e giornalistiche molto estese. L’attacco hacker di giugno è stato però rivendicato da qualcuno che si fa chiamare “Guccifer 2.0” e che dice di provenire dall’Europa dell’est, anche se gli investigatori statunitensi sostengono sia un agente del G.R.U., l’intelligence militare russa. Di Guccifer 2.0 non si sa molto: il suo nome sembra essere un riferimento a Guccifer, il “nom de guerre” di un hacker rumeno che si trova in carcere in attesa di processo per una serie di attacchi cibernetici compiuti in passato. Dice di essere un uomo – «non ho mai incontrato un hacker donna ad alti livelli. Ragazze, non offendetevi, vi amo» – e dice di preferire Trump a Clinton, anche se questo non significa che sostenga apertamente Trump («Sono totalmente contrario alle sue idee riguardo alla chiusura dei confini e alle politiche di espulsione»).
Le nuove rivelazioni delle agenzie di intelligence potrebbero mettere il presidente Barack Obama in una situazione di difficoltà: Obama dovrà decidere se accusare pubblicamente dell’attacco hacker il governo russo. Il rischio è che i rapporti tra Russia e Stati Uniti – già molto tesi e complicati – si rovinino ulteriormente. Come ha scritto il New York Times, in generale il trafugamento di documenti a un paese straniero non è una cosa nuova, la fanno tutti, anche gli Stati Uniti. Pubblicare i documenti è invece una questione diversa. Finora Obama si è esposto poco su temi di questo tipo: solo una volta, nel 2014, ha accusato un governo straniero, la Corea del Nord, di avere attaccato un’istituzione americana, la società Sony Picture Entertainment. Ma il governo americano non ha relazioni diplomatiche con la Corea del Nord e il costo politico di quella mossa è stato minimo. È evidente che con la Russia sarebbe diverso.