La guerra in Siria, coi giocattoli
Nelle fotografie di Brian McCarty, che ricreano i disegni dei bambini scappati dalla Siria
Per lavoro Brian McCarty fotografa giocattoli per le pubblicità di aziende come Disney, Nickelodeon e Cartoon Network, ma dal 2011 lo fa anche per il suo progetto War-Toys, dove ricrea con i giocattoli i disegni dei bambini che vivono o sono scappati da paesi in guerra. McCarty, che vive a Los Angeles, ha portato avanti il progetto a Gaza, in Cisgiordania, in Israele e in Libano, dov’è stato due volte: l’ultima a febbraio scorso per incontrare i bambini siriani scappati dalla guerra rifugiati nel paese, e ospitati nelle scuole della Fondazione Kayany, a pochi chilometri dal confine con la Siria. Qui McCarty ha lavorato con un gruppo di ragazze dai 12 ai 16 anni e due di bambini e bambine tra gli 8 e i 12.
A War Toys collabora anche la terapista libanese Myra Saad, che aiuta i bambini a superare i traumi della guerra invitandoli a disegnare e parlare dei loro ricordi. McCarty spiega che «Inizia sempre nello stesso modo. Myra fa un po’ di giochi, cose interattive per coinvolgere i ragazzi, svegliarli e renderli emotivamente presenti. Poi spiega il progetto, spiega chi sono io, cosa faccio e che è un’occasione per raccontare la loro esperienza». I disegni mostrano scene spesso forti e dolorose: persone ferite e sanguinanti, i fantasmi di parenti e amici uccisi, bombardamenti e carri armati. A quel punto McCarty compra o trova dei giocattoli, a volte li costruisce insieme ai bambini, e ricrea le scene dei disegni sul posto. L’obiettivo del progetto è da un lato aiutare i bambini a stare meglio, dall’altro spiegare alle persone le conseguenze della violenza sulle persone più giovani e spesso indifese.
Brian McCarty si è laureato alla Parsons School of Design nel 1996. In seguito ha partecipato al centro di ricerca di Trento “Fabrica”, finanziato da Benetton, dove ha avuto la prima idea di War Toys: «feci delle foto per un piccolo progetto che esplorava la guerra attraverso i giocattoli. In seguito conobbi dei terapisti che aiutavano a superare i traumi attraverso l’arte e che lavoravano coi bambini delle zone di guerra: così l’idea è cresciuta diventando quello che è ora».