Dovremmo stare più attenti alle nostre email
Nonostante i molti casi in cui conversazioni private sono diventate di dominio pubblico, continuiamo a ignorare il problema
di Christian Davenport e Andrea Peterson – The Washington Post
Lo scandalo sulle email trafugate al Partito Democratico statunitense sembra evidenziare una verità dell’era moderna: per quanto politici, personaggi famosi o leader militari possano essere messi in imbarazzo da casi simili, le persone non sembrano cambiare le loro abitudini in fatto di email. Non che non se ne preoccupino: uno studio pubblicato l’anno scorso dal centro di ricerca americano Pew mostra che solo il 29 per cento degli americani confidano nel fatto che i provider che gestiscono le loro email siano in grado di mantenere le loro informazioni al sicuro. Non hanno tutti i torti: le rivelazioni secondo cui i funzionari del Partito Democratico hanno apparentemente favorito Hillary Clinton contro Bernie Sanders sono l’ultimo esempio di una serie di casi di alto profilo in cui degli hacker sono riusciti a penetrare all’interno di server teoricamente sicuri, portando alla luce segreti commerciali, progetti militari e affari illeciti.
«Nel tempo, le persone hanno iniziato a preoccuparsi di più. Quando si fanno sondaggi o gruppi di discussione, la sensazione che le persone pensino di aver perso il controllo delle loro informazioni è palpabile», ha detto Lee Rainie, direttore dell’Internet and American Life Project di Pew. Nel settore privato, le aziende hanno cercato affannosamente di trovare una risposta efficace al problema. Diverse società contattate dal Washington Post non hanno voluto parlare degli sforzi fatti per mettere in sicurezza le loro email, per paura di fornire agli hacker ulteriori spunti. La mossa più semplice che le aziende potrebbero fare per tenere lontano le loro email dagli hacker è il criptaggio, ma convincerle non è sempre facile. «Le aziende sanno che dovrebbero criptare le email e a volte fanno dei passi in questa direzione. Ma può diventare una cosa poco pratica, soprattutto quando ci sono anche dei dispositivi mobili a cui pensare», ha raccontato Richard Bejtlich, responsabile delle strategie di sicurezza della società di cybersecurity FireEye. «Alcune aziende decidono che non ne vale la pena».
Spesso i dirigenti più importanti sono più veloci nell’adottare app di messaggistica criptata come iMessage o Signal, ha detto Josh Feinblum, vicepresidente responsabile della sicurezza delle informazioni della società di cybersecurity Rapid7. In generale, però, i dipendenti tendono ad adottare più lentamente pratiche per la gestione delle email più efficaci. È «difficile, dal punto di vista culturale, convincere a cambiare i comportamenti in questo campo», ha detto Feinblum.
Dopo il caso Snowden, oggi alcune società comunicano ai propri dipendenti di cercare attivamente le «minacce interne» e di monitorare le loro reti con un livello di attenzione senza precedenti. Le aziende che forniscono servizi nel settore della difesa degli Stati Uniti, come Raytheon e Lockheed Martin, vendono software in grado di tracciare le abitudini online e le email dei dipendenti. Questi programmi sono progettati per cogliere in flagrante chi sottrae e divulga informazioni, e addirittura prevedere chi potrebbe adottare comportamenti scorretti. Daniel Hill, un consulente che si occupa di comunicazioni in situazioni di crisi per aziende e personaggi famosi, sostiene che «Le email sono una cosa pericolosa», anche se si è solo in copia e non si è mai preso parte a una conversazione è possibile finire coinvolti in processi o casi giudiziari. Hill ha raccontato che consiglia ai clienti di passare più tempo a incontrare di persona i propri interlocutori. «Promuoviamo molto i contatti personali», ha detto Hill.
Nonostante siano consapevoli dei potenziali pericoli, però, le persone continuano a mandare email in modo frettoloso. Perché? Spesso uno dei motivi è la rabbia e il senso di gratificazione immediata che deriva dall’affrontarla su un mezzo di comunicazione digitale che non sempre dà spazio a pensieri sobri e riflessività, ha detto Brad Bushman, che insegna comunicazione e psicologia alla Ohio State University. «Quando sono arrabbiate, le persone si comportano in modo molto impulsivo», ha spiegato Bushman. «In qualche modo, la rabbia limita la capacità di attenzione e porta a concentrarsi sul qui e ora. E in più, è una bella sensazione. Questo è un altro dei problemi del dare sfogo alla propria rabbia: le persone adorano farlo». Un’altra delle ragioni è il bisogno primario di legittimazione e l’innato desiderio che spinge gli esseri umani a lagnarsi. «Quando qualcuno si dimostra comprensivo verso i nostri sentimenti, ci sentiamo legittimati e la cosa ci aiuta ad andare oltre», ha spiegato Imran Riaz, uno psicologo di Washington specializzato nel controllo degli impulsi. E poi c’è sempre il buon vecchio stato di negazione: «Anche se si è consapevoli che queste cose possono uscire, a volte le persone ignorano il fatto che potrebbe capitare anche a loro», ha detto Ryan Martin, direttore del Dipartimento di Psicologia della University of Wisconsin a Green Bay. Tutti questi fattori possono combinarsi e portare a grossi pentimenti.
Tutti abbiamo una storia del genere. «Vi racconto un aneddoto», ha detto Lee Dougherty, un avvocato specializzato in contratti governativi che ha spesso fatto richiesta di email attraverso il Freedom of Information Act perché sa che la combinazione di rabbia, bisogno di lamentarsi e l’oscuro potere della negazione possono portare alla vittoria in tribunale. Le persone «non riescono a trattenersi», ha detto Dougherty, il che significa che «potrei anche trovare la pistola fumante». La storia di Dougherty però non parla di una causa, ma di una ex collega, un’ avvocatessa che avrebbe dovuto sapere come comportarsi. Il capo di Dougherty e della sua collega era una specie di maniaco del controllo, che leggeva ossessivamente le email di lavoro di tutti i suoi dipendenti. Nonostante i clienti scrivessero a Dougherty senza metterlo in copia, il suo capo rispondeva comunque: «Lee, hai poi risposto a questa persona?». Ciononostante, la sua collega offese il capo in un’email, ha raccontato Dougherty, chiamandolo «Sauron», il cattivo onniveggente del Signore degli Anelli. «In questo caso parliamo di un’avvocatessa intelligente», che sa che le sue comunicazioni sono controllate – ha detto Dougherty – «e che continua comunque a parlare del suo capo nelle sue email».
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