Perché si riparla degli stipendi in Rai
Perché oggi verranno pubblicati, e le anticipazioni stanno generando prevedibili polemiche, soprattutto sui casi di chi non lavora e riceve lo stesso molti soldi
Da domenica i principali siti di news italiani sono tornati a parlare di un tema che ciclicamente provoca polemiche e discussioni anche politiche: gli stipendi dei dirigenti della Rai. Il direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, ha annunciato che lunedì saranno pubblicati sul sito dell’azienda i dati di consulenze, appalti, bilanci e investimenti, le relazioni sull’attività del consiglio di amministrazione, tutti i compensi dei dirigenti superiori ai 200mila euro e quelli dei consulenti e delle collaborazioni non artistiche superiori a 80mila euro. Campo Dall’Orto ha anche spiegato che la pubblicazione dei documenti è parte di un’iniziativa di “trasparenza” che ha l’obiettivo di rendere pubbliche alcune informazioni sulle attività e sulla gestione dei soldi interne alla Rai, una cosa chiesta da tempo da diverse forze politiche – soprattutto constatato il consenso dei cittadini intorno alle pressioni del M5S sulla “trasparenza” e sui costi pubblici – e di nuovo dopo l’inserimento del canone nella bolletta elettrica.
Nonostante i dati e le relazioni non siano ancora stati pubblicati, gli stipendi dei dirigenti superiori ai 200mila euro sono stati anticipati da alcuni giornali (le cifre si riferiscono a retribuzioni annue lorde): per esempio il contratto triennale del direttore generale Campo Dall’Orto prevede una retribuzione di 652mila euro all’anno; altre cifre citate sono quelle della presidente Monica Maggioni (330mila euro dei quali 270mila sono la quota fissa da ex direttore di RaiNews e 60mila quella per la sua carica nel consiglio di amministrazione), del direttore del Tg1 Mario Orfeo (320mila euro), del presidente di Rai Pubblicità Antonio Marano (390mila euro), del responsabile dei palinsesti Giancarlo Leone (340mila euro), dell’ex direttore del Tg2 Mauro Mazza (340mila euro), del responsabile dell’informazione Carlo Verdelli (320 mila euro) e del suo collaboratore Francesco Merlo (280 mila euro), delle direttrici di Rai Due e Rai Tre Ilaria Dalla Tana e Daria Bignardi (300mila euro), del direttore di RaiSport Gabriele Romagnoli (230mila euro), dei direttori di Tg2 e Tg3 Marcello Masi e Bianca Berlinguer (280mila euro).
I compensi dei dirigenti, nonostante non siano ancora ufficiali, sono già stati molto criticati, soprattutto su due aspetti della questione. Il primo è quello degli ex dirigenti che non sono più tali ma che percepiscono ancora uno stipendio da dirigente, visto che era stato fatto loro un contratto a tempo indeterminato (consuetudine interrotta dalla nuova legge applicata con le recenti nomine, che hanno durata triennale): per esempio l’ex direttore del Tg1 e del Tg2 Mauro Mazza; l’ex direttore generale Lorenza Lei (240mila euro), fino ad alcuni casi di noti giornalisti sostanzialmente non utilizzati ma con stipendi ancora molto alti, come Carmen Lasorella e Francesco Pionati.
Il secondo tema di polemiche è il superamento del “tetto” agli stipendi dei dirigenti RAI, ovvero un tentativo di intervento a limitare le complicazioni generate da un’azienda che sta sia sul mercato che dentro una proprietà pubblica (la RAI è controllata quasi interamente dal ministero dell’Economia e delle Finanze) e quindi deve essere competitiva con i privati ma rispondere delle sue spese al pubblico. La legge n. 89 del 2014 approvata durante il governo di Matteo Renzi aveva stabilito per questo in 240mila euro annui il limite massimo «ai compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate delle pubbliche amministrazioni» (gli stipendi dei membri del consiglio di amministrazione della Rai erano già stati abbassati nel 2012). Pochi giorni dopo l’allora direttore generale Luigi Gubitosi e altri manager della Rai adeguarono al ribasso il proprio compenso: erano molti soldi in meno, visto che il direttore generale prendeva uno stipendio attorno ai 600mila euro lordi l’anno. La decisione fu però di fatto annullata un paio di giorni dopo quando la Rai avviò il collocamento di bond per 350 milioni di euro, escludendosi formalmente dai criteri per rientrare nel provvedimento del governo. Come aveva spiegato il Fatto Quotidiano, infatti, «tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo stato che emettono titoli di debito quotati».
La diffusione degli stipendi dei dirigenti RAI – classico tema da cronache estive – è stata commentata da diversi politici. Anzitutto Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, ha specificato che «quella che la Rai definisce “operazione trasparenza” potrebbe chiamarsi in realtà “adempimenti”», perché è un obbligo previsto dalla riforma della governance voluta dal governo e approvata dal Parlamento. Matteo Orfini, presidente del Partito Democratico, ha commentato negativamente gli stipendi dei dirigenti Rai non occupati: su Facebook ha scritto che alcuni dei compensi sono più che giustificati – «se vuoi strappare ai concorrenti un bravo manager, lo devi pagare quanto vale sul mercato» – ma anche che «molti oggi non hanno in Rai alcun incarico, ma conservano il loro compenso».
Alessandro Di Battista, deputato del Movimento 5 Stelle, ha usato toni più duri su Twitter. Tra le altre cose ha scritto che gli stipendi dei “pezzi grossi” della Rai sono “assolutamente vergognosi”.
Mentre arrivano le rate del canone da pagare vediamo stipendi pezzi grossi RAI assolutamente vergognosi. Media 300.000 € all'anno.
— Alessandro Di Battista (@ale_dibattista) July 24, 2016