Perché il jet lag si sente di più quando si va verso est
È colpa del nostro orologio biologico, che sta nell'ipotalamo e dura un po' più di 24 ore: motivo per cui allungare le giornate ci riesce più facile che accorciarle
Tra gli svantaggi dei lunghi viaggi in aereo – subito prima dei sedili stretti e della difficile gestione degli spazi sul vassoio con il cibo– c’è il jet lag: il malessere pisco-fisico dovuto ai viaggi tra paesi che si trovano a longitudini molto diverse e che quindi hanno marcate differenze nei fusi orari. A volte fa venire tantissimo sonno, altre volte fa sentire un po’ rintronati e al tempo stesso incapaci di addormentarsi. “Lag” in inglese vuol dire “sfasamento” e “jet” spiega l’origine della sensazione: prima dell’arrivo dei voli lunghi con jet veloci era impossibile attraversare in poche ore tanti fusi orari e il problema praticamente non esisteva. Nella sua rubrica scientifica “Trilobites”, il New York Times ha risposto a una domanda che si sono chiesti tutti quelli che i viaggi intercontinentali li fanno piuttosto di frequente (e che può tornare utile anche a chi è meno esperto, ma ugualmente interessato): «Perché il jet leg si fa sentire di più quando si viaggia da ovest verso est?».
In teoria, i cambiamenti per il nostro ritmo circadiano – il meccanismo che ha un ruolo determinante nel regolare i nostri momenti di sonno e di veglia – sono simili, che si vada da Roma a New York o da New York a Roma; nella pratica andando verso est è però più probabile dover mettere in conto un paio di giorni un po’ complicati. Il New York Times ha scritto che «non è ancora chiaro perché ci si sente così, ma alcuni ricercatori hanno sviluppato un modello che imita il comportamento di alcune particolari cellule che nel nostro organismo “tengono il tempo”». Questo modello sta offrendo alcune spiegazioni matematiche al dilemma dei viaggi in aereo verso oriente.
Il titolo della ricerca è “Risincronizzazione degli oscillatori circadiani e asimmetria est-ovest del jet lag” ed è stata pubblicata sulla rivista accademica interdisciplinare Chaos. La ricerca è complessa e piena di difficili grafici e astruse equazioni. Il New York Times ha provato a spiegarla con qualche semplificazione per renderla più facile da comprendere. Inizia tutto nel cervello, più precisamente nell’ipotalamo, poco sopra a dove si incrociano i nervi ottici: «è lì che battono le lancette del nostro orologio interno», è lì (in un una parte chiamata nucleo soprachiasmatico) che più o meno ogni 24 ore 20mila cellule specializzate nel tenere il tempo si sincronizzano per far sapere al resto dell’organismo se è giorno o se è notte. «Le cellule capiscono quale segnale mandare al corpo in base agli stimoli luminosi dall’esterno: luce significa “sveglia”, buio vuol dire “dormi”». Un volo aereo da Milano a Tokyo manda però in confusione quelle cellule-tieni-tempo: scombussola la loro routine e «tutto il corpo si sente stordito perché cerca un tempo che non trova».
Michelle Girvan lavora nel dipartimento di fisica dell’Università del Maryland ed è una delle ricercatrici che si è occupata dello studio sul jet lag nei viaggi verso est. Ha spiegato al New York Times che le cellule-tieni-tempo sono piuttosto lente nel fare quello che fanno e in assenza di evidenti stimoli luminosi (cosa che succede viaggiando in aereo) tendono a far desiderare al nostro corpo di avere un dì più lungo della notte. Viaggiando verso ovest si allunga la giornata: partendo da Milano e andando a New York si sale sull’aereo che è metà mattina, si vola per nove ore circa e si arriva che è primo pomeriggio. Viaggiando verso est si va avanti nel tempo: quando qui è mezzogiorno a Tokyo è quasi ora di cena. Una giornata in cui si vola verso est dura quindi di meno, in termini relativi.
Girvan ha spiegato che ogni giorno, anche in quelli in cui non si viaggia, «in base al nostro orologio interno una giornata dura un po’ più di 24 ore», che significa che è più facile viaggiare verso ovest e allungare le nostre giornate che viaggiare verso est e accorciarle. Andando verso ovest stiamo solo esagerando un elemento che già c’è nel nostro corpo; andando verso est gli andiamo proprio contro.
Un modo per risolvere il jet lag è sincronizzare il proprio orologio biologico con quello della destinazione (c’è un’app che aiuta a farlo, se avevate dubbi). Il modello sviluppato dai ricercatori ha preso in considerazione le cellule-tieni-tempo, la loro sensibilità alla luce e a diversi gradi di luminosità e gli squilibri tra gli orologi biologici di persone diverse. Il modello potrebbe permettere di capire come fare per far sì che le cellule si sincronizzino meglio e più in fretta: per ora i ricercatori stanno provando a capire quali sono le diverse reazioni a diversi tipi di luce (un tramonto o la luce di una lampada, per esempio). Il New York Times ha scritto che oltre ad aver dimostrato che viaggiare verso est è peggio che viaggiare verso ovest, il modello sembra aver dimostrato anche che attraversare molti fusi orari potrebbe essere più semplice per il corpo rispetto all’attraversarne pochi:
Un viaggio verso ovest attraverso nove fusi orari richiederebbe nove giorni perché il corpo si riprenda a pieno dal jet lag (giorni in cui non si prendano provvedimenti per ridurne gli effetti). Un viaggio verso est attraverso nove fusi orari richiederebbe invece 13 giorni per rimettersi del tutto in sesto. È un tempo più alto di quello che ci vorrebbe per riprendersi da un viaggio aereo attraverso 12 fusi orari (per esempio quelli tra New York e Tokyo).