Il “caso Crocetta” un anno dopo
Dell'articolo dell'Espresso che quasi costò il posto al governatore della Sicilia oggi resta un processo ai due autori e una lezione sui complicati rapporti tra giornalismo, politica e investigatori
«Non posso affermare di aver mai sentito quella frase»: il 10 settembre del 2015, Piero Messina, collaboratore dell’Espresso, si trova negli uffici della procura di Palermo, interrogato dai PM Francesco Lo Voi e Leonardo Agueci. La frase a cui si riferisce è quella che per buona parte dell’estate del 2015 era stata sulle prime pagine di tutti i giornali, dopo l’articolo pubblicato sull’Espresso e firmato da Messina e da Maurizio Zoppi: «Quella dobbiamo farla fuori come suo padre». Secondo l’articolo a dirlo era stato – in una conversazione telefonica col presidente della regione Sicilia Rosario Crocetta registrata per un’indagine giudiziaria – Matteo Tutino, medico personale di Crocetta e suo collaboratore e confidente: riferendosi a Lucia Borsellino, ex assessore della giunta Crocetta, figlia del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992. E ascoltando quelle parole minacciose, secondo l’Espresso, Crocetta “ascolta e tace”: silenzio che nella sua connivenza e viltà era diventata un’accusa pesantissima, rilanciata per molti giorni di luglio 2015 da tutti i media e all’improvviso centrale nel dibattito e nelle polemiche politiche estive.
Ma alla discussione sul contenuto dell’intercettazione e sulle sue implicazioni si erano mescolati dopo pochi giorni anche molti dubbi e stranezze sulla sua fondatezza e sulla sua stessa esistenza, avviati dall’immediata smentita di Crocetta e dal suo rifiuto di prendersene responsabilità di fronte alle molte richieste di dimissioni. Poche ore dopo la pubblicazione, infatti, la procura di Palermo disse che l’intercettazione che apriva l’articolo non risultava in nessun atto giudiziario, mentre l’Espresso confermò più volte la sua versione – anche con prese di posizione del suo stesso direttore – senza però fornire dettagli concreti a sostegno della sua esistenza. Ne seguì l’apertura di un’indagine: e nell’interrogatorio del 10 settembre Messina ammise di non aver mai sentito una registrazione che conteneva esattamente quella frase, ma spiegò che le parole “come suo padre” e il contesto della conversazione gli erano state riferite da una fonte all’interno dell’arma dei Carabinieri. Tuttora i due giornalisti sono indagati per calunnia nei confronti della loro fonte e per la diffusione di notizie false. Il processo deve ancora cominciare, ma oggi, esattamente un anno dopo l’inizio del caso, alcuni aspetti della storia sono diventati più chiari e l’eccitazione di quei giorni si è molto ridimensionata.
Il chirurgo estetico e il governatore antimafia
Il governatore della Sicilia Rosario Crocetta era stato eletto nel 2012 con una campagna elettorale basata sulla lotta agli sprechi, alla mafia e alla corruzione: Crocetta è un personaggio eccentrico e con pochi precedenti nella politica siciliana. È il primo presidente omosessuale dichiarato nella storia della Regione ed è considerato uno dei “paladini della lotta alla mafia”. Negli anni Duemila divenne famoso quando da sindaco di Gela si autodefinì “sindaco antimafia” e mise in atto una serie di iniziative contro la criminalità organizzata: da quando nel 2003 la polizia sventò un attentato nei suoi confronti, Crocetta è protetto da una scorta. Quando si insediò a Palazzo d’Orléans, sede della Regione a Palermo, scelse Lucia Borsellino come assessore alla sanità. Fu un gesto importante, anche dal punto di vista simbolico, ma che diede pochi risultati. I rapporti con Borsellino si guastarono in fretta e l’azione riformatrice di Crocetta si scontrò con la maggioranza risicata su cui poteva contare in Regione, con le resistenze della classe politica e, secondo i suoi critici, con i limiti del suo carattere. In pochi dubitano dell’onestà del governatore, ma è altrettanto condiviso che Crocetta non sia una persona facile con cui lavorare. In circa tre anni mezzo, 55 persone sono passate per le varie cariche di assessore: un record per la Sicilia e probabilmente per tutto il paese.
Per certi versi, Crocetta ricorda l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino: un riformatore zelante, convinto di avere la ragione dalla sua parte, ma incapace di cooptare le persone necessarie a mettere in atto i suoi programmi e a costruire rapporti proficui con l’esistente. La critica più frequente che ha ricevuto è quella di essersi circondato di un gruppo di fedelissimi adulatori con intenzioni molto meno limpide delle sue. Uno di questi era Matteo Tutino, il medico che appare nell’intercettazione dell’Espresso. Chirurgo estetico personale di Crocetta, oltre che di un buon numero di politici e magistrati siciliani, Tutino è un personaggio vivace anche lui. Sulla sua pagina Facebook si alternano foto dei suoi interventi a immagini che lo ritraggono a petto nudo – è un appassionato di palestra – o con indosso una maglietta con la scritta “partigiano della Costituzione” – una formula dell’ex magistrato Antonio Ingroia, uno dei suoi amici personali.
Tutino divenne uno dei più fidati confidenti di Crocetta in materia di sanità. Nel 2013 fu nominato responsabile del reparto di chirurgia estetica dell’ospedale Villa Sofia di Palermo, una struttura dove gli scontri interni tra i medici avevano generato una serie di ricorsi e il blocco della nomina di un nuovo primario. Appena arrivato all’ospedale, Tutino denunciò una serie di irregolarità e truffe che riteneva di aver scoperto nei conti dell’ospedale. Lo scontro si fece ancora più aspro: Tutino subì delle intimidazioni e alcuni medici lo denunciarono, accusandolo a sua volta di aver commesso delle irregolarità. In una sorta di competizione che coinvolse anche le autorità di polizia, la DIGOS si trovò a verificare le accuse fatte da Tutino, mentre i carabinieri dei NAS indagavano su Tutino stesso.
Nell’autunno del 2013, le telefonate di Tutino iniziarono ad essere intercettate e, secondo la ricostruzione dell’Espresso, fu in questo periodo che avrebbe parlato di “far fuori” Borsellino – che da mesi era diventata molto scettica nei confronti suoi e degli altri consiglieri di Crocetta. Nell’aprile del 2015 il filone di accuse aperto da Tutino venne archiviato e un magistrato definì “strampalate” le sue tesi – anche se diversi giornalisti di cronaca locale le ritengono meno assurde. Le indagini nei suoi confronti, invece, andarono avanti, e il 23 giugno del 2015 Tutino fu arrestato con l’accusa di falso, abuso d’ufficio, truffa e peculato. Secondo i magistrati aveva effettuato operazioni di chirurgia estetica a carico del servizio sanitario regionale per poi farsele pagare privatamente dai suoi clienti.
Lo “scoop”
I giornali locali scrissero che per Borsellino l’arresto del medico di Crocetta fu una goccia che fece traboccare il vaso. Dopo averle annunciate già dal mese di febbraio, Borsellino presentò ufficialmente le sue dimissioni. Alla stampa disse: «Il rapporto fra Crocetta e questo primario mi ha creato forte disagio in questi anni». La sua decisione ebbe un’eco nazionale e molti commentatori osservarono che il “governatore antimafia” si era oramai tramutato in un peso per il centrosinistra. Proprio in quei giorni l’attenzione nazionale stava ritornando sulla Sicilia perché il 19 luglio, appena due settimane dopo le dimissioni di Borsellino, a Palermo si sarebbe celebrato l’anniversario della strage di Via d’Amelio, in cui era stato ucciso il giudice Paolo Borsellino. Era una cerimonia particolarmente sentita quell’anno, perché per la prima volta Sergio Mattarella – il cui fratello, Piersanti, fu ucciso a Palermo nel 1980 – avrebbe presenziato in veste di presidente della Repubblica. Fu in questo contesto che il 16 luglio l’Espresso pubblicò online un’anteprima di un articolo che sarebbe uscito il giorno dopo in edicola. Sul sito, il titolo recitava:
“Va fatta fuori come il padre”. Lucia Borsellino minacciata dal medico di Rosario Crocetta
E nel sommario:
Intercettato al telefono con il presidente della regione Sicilia, il chirurgo Matteo Tutino parla della figlia del magistrato ucciso da Cosa Nostra. Una conversazione che imbarazza il governatore e fa traballare la giunta.
Nelle prime ore dopo la pubblicazione, le notizie di agenzia furono affollate di dichiarazioni inferocite di politici di tutti gli schieramenti. A decine chiesero le dimissioni di Crocetta, anche tra i suoi alleati del PD. Renzi e Mattarella fecero sapere di aver telefonato a Borsellino per esprimerle solidarietà. La famiglia del giudice assassinato disse che Crocetta era persona non grata alle cerimonie del 19 luglio. Lucia, l’ex assessore, commentò: «Non posso che sentirmi intimamente offesa e provare un senso di vergogna per loro, per chi ha detto quelle frasi». I giornalisti che intervistarono Crocetta in quelle ore scrissero che era sull’orlo del pianto e lui stesso raccontò che in quelle ore pensò persino di uccidersi. Ma dopo una giornata di questo tenore, alle 17 e 32 l’ANSA diede una notizia che cambiò completamente le cose: la procura di Palermo smentiva in maniera categorica l’esistenza dell’intercettazione nelle proprie documentazioni giudiziarie.
L’intercettazione
Il giorno dopo, con i telegiornali che aprivano sul “giallo” del caso Crocetta, uscì l’Espresso con l’articolo di Piero Messina e Maurizio Zoppi. La notizia del giorno era un articolo breve, di un migliaio di parole, senza segnalazioni in copertina.
Il pomeriggio stesso della pubblicazione, la procura aprì un fascicolo contro ignoti e il 21 luglio, quattro giorni dopo, il telefono di Messina venne messo sotto controllo e lo sarebbe rimasto per parecchie settimane in cui Messina fu anche pedinato. Dalle trascrizioni di quelle intercettazioni risulta la sorpresa dei due giornalisti per l’impatto che il loro articolo ebbe sul dibattito pubblico. Messina appare il più colpito e alcune fonti che lo conoscono lo ricordano in quei giorni agitato, incredulo e preoccupato per le conseguenze.
La loro sorpresa appare ancora più evidente notando alcuni errori e contraddizioni che compaiono fin dalle prime righe dell’articolo – come se, non aspettandosi più di tanta attenzione, i due giornalisti avessero trascurato di curare la precisione di alcune informazioni. Ad esempio, Messina e Zoppi scrivono di un’intercettazione registrata “pochi mesi fa”, ma nella prima delle molte note che l’Espresso pubblicò per rispondere alle smentite della procura, fu invece scritto che l’intercettazione risaliva al 2013. Verosimilmente ci si riferiva all’autunno del 2013, quando risultano effettivamente intercettate alcune conversazioni tra Tutino e Crocetta. L’articolo è di luglio 2015, quindi “pochi mesi fa” erano in realtà almeno 21 mesi. Non è l’unico elemento che lascia pensare a un articolo scritto in fretta e ad una difesa improvvisata, almeno nelle prime fasi.
Le note con cui l’Espresso cerca di chiarire la vicenda risultano in contraddizione con gli atti dell’indagine. Nel pomeriggio del 17 luglio, il giorno dell’uscita in edicola del settimanale, in una nota non firmata l’Espresso afferma che la fonte dei due giornalisti chiamò Messina per ricordargli l’esistenza dell’intercettazione alle “13 e 19 del 2 luglio”. Suonava davvero strano che la direzione del settimanale volesse fornire ai lettori un orario così preciso e qualcuno sospettò che volesse aiutare i magistrati a identificare la fonte anonima dell’articolo. In ogni caso, dai tabulati risulta che fu Messina a chiamare per primo la sua fonte all’interno dei NAS e non viceversa. L’Espresso si contraddisse anche su un altro punto fondamentale di tutto il caso, e cioè su chi tra i due giornalisti avesse ascoltato la registrazione: prima uno solo, poi entrambi, in una seconda ricostruzione. Ai giudici che lo interrogavano il 9 settembre, Messina disse di essere stato il solo ad averla ascoltarla, mentre nella memoria difensiva presentata dai due lo scorso autunno, è scritto che l’ascoltarono entrambi.
Nel frattempo, in quei giorni di luglio, cominciarono a circolare – ma solo su siti web locali o meno importanti – ricostruzioni e ipotesi su come si spiegasse quella pubblicazione.
Chi ha ascoltato cosa
La fonte che l’Espresso ha permesso ai magistrati di identificare si chiama Mansueto Consentino, è un ufficiale del carabinieri che dal maggio del 2014 comanda la compagnia di Desio, in provincia di Monza e Brianza. Secondo Messina, fu il capitano Cosentino a fargli ascoltare l’intercettazione, a Palermo, nel maggio del 2014. Nella registrazione, dirà nell’interrogatorio del 9 settembre, non c’erano le parole “come suo padre”. Secondo il giornalista, il capitano Cosentino gli fece sentire soltanto “una frazione di secondo” della registrazione, dalla quale non era possibile comprendere con chi stesse parlando Tutino. Queste sono le sue parole nei verbali dell’interrogatorio: contattato dal Post, Messina ha preferito non commentare sulla precisione delle dichiarazioni che ha reso ai magistrati. Anche Zoppi e i loro legali non hanno voluto rilasciare dichiarazioni pubbliche.
Cosentino nega di aver mai fatto sentire un’intercettazione simile a Messina e questa è la ragione dell’imputazione per calunnia nei confronti di Messina (a cui è stato successivamente associato anche Zoppi). Ma anche se fosse andata come ha raccontato Messina, questo non spiega come si sia passati dalle poche parole smozzicate ascoltate alla frase “dobbiamo farla fuori come il padre”, chiaramente e con certezza attribuita a una conversazione tra due persone specifiche, Tutino e Crocetta. Messina sostiene che, dopo le dimissioni di Borsellino, parlò di nuovo con la sua fonte, il capitano Cosentino, e gli chiese di confermargli la frase nella versione che sarebbe poi apparsa sull’Espresso. Messina sostiene che il carabiniere gli disse che era una versione plausibile, ma gli consigliò di rivolgersi a un’altra fonte per avere conferma. Cosentino nega che questa conversazione sia mai avvenuta. Messina allora cercò una seconda conferma e racconta di essersi incontrato con un magistrato della procura di Palermo, Bernardo Petralia. Anche qui, nell’interrogatorio, ammette che i commenti di Petralia furono piuttosto vaghi. Nell’interrogatorio del 9 settembre, Messina raccontò:
Ricordo di avere espressamente fatto cenno, ripetendola, alla frase “va fatta fuori come suo padre” e ricordo che il dottor Petralia si limitò a rispondere: “Ah quella frase”. […] Petralia disse di non essere del tutto certo della esistenza delle parole “come suo padre”. […] Per me quel tipo di risposta era da interpretare come una conferma.
Il giorno dopo, il 13 luglio, i due giornalisti inviarono l’articolo alla redazione dell’Espresso.
Oggi l’esito giudiziario del caso Crocetta dipende in gran parte da un unico punto: esiste un’intercettazione in cui Matteo Tutino dice a Rosario Crocetta “dobbiamo farla fuori come suo padre”? È una domanda che al momento non ha una risposta e che probabilmente non l’avrà per molti mesi. La difesa dei due giornalisti ha chiesto alla procura di Palermo di fornire tutte le conversazioni intercettate tra Tutino e Crocetta, non solo la parte rivelata fino ad ora. La procura presenterà la sua risposta il prossimo 20 settembre e forse ci vorranno altri mesi prima che tutte le intercettazioni vengano consegnate. Altro tempo ancora ci vorrà prima che il giudice decida sul rinvio a giudizio dei due giornalisti e poi altro ancora per concludere l’eventuale processo di primo grado.
A oggi, questo è quello che sappiamo per giudicare quell’articolo di un anno fa; e a oggi Crocetta è rimasto presidente della regione Sicilia, resistendo alle fortissime pressioni di quei giorni, pressioni che a loro volta sono rientrate drasticamente una volta che la questione si è mostrata più incerta rispetto a come era stata avallata da tutti i mezzi di informazione in quelle prime ore (mezzi di informazione che a loro volta, come è consuetudine, hanno poi dato scarso o nessun seguito agli sviluppi).