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  • Venerdì 22 luglio 2016

L’uomo che ha creato il mostro

L'autore della stravenduta biografia di Trump che ha contribuito alla sua popolarità pensa che la sua presidenza possa portare "alla fine della civiltà"

Una maschera di Donald Trump al cosiddetto "Trump Museum" a Cleveland, per la convention dei repubblicani, il 19 luglio 2016 (WILLIAM EDWARDS/AFP/Getty Images)
Una maschera di Donald Trump al cosiddetto "Trump Museum" a Cleveland, per la convention dei repubblicani, il 19 luglio 2016 (WILLIAM EDWARDS/AFP/Getty Images)

In una lunga intervista alla rivista New Yorker, Tony Schwartz – autore di The Art of the Deal, la biografia di Donald Trump pubblicata nel 1987 – ha raccontato di «provare rimorso per aver contribuito a presentare Trump in un modo che gli ha dato grande attenzione e lo ha reso più affascinante di quel che è». Ha anche detto che «Credo davvero che se Trump vincerà e avrà accesso ai codici per il lancio di missili nucleari c’è un’alta probabilità che arriveremo alla fine della civiltà». Schwarz non fa più il giornalista da anni e gestisce una società di consulenza ma ha sentito il bisogno di dire la sua su Trump perché è molto preoccupato all’idea che diventi presidente: non per la sua ideologia politica – Schwartz non pensa che Trump ne abbia una – ma per la sua personalità.

Schwartz aveva già criticato Donald Trump quando si era candidato per il partito Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Il 17 giugno 2015 lo aveva infatti preso in giro su Twitter dopo che Trump, annunciando la sua candidatura, aveva detto di essere l’uomo giusto per fare il presidente, citando tra le sue qualifiche l’aver scritto The Art of the Deal. Ascoltando il discorso, Schwartz aveva avuto l’impressione che Trump fosse sinceramente convinto di aver scritto lui il libro: lo ringraziò quindi su Twitter per aver suggerito che lui, Schwartz, fosse, in quanto autore del libro, la persona adatta a diventare presidente.

Schwartz non si era più preoccupato di parlare contro Trump perché era convinto che non sarebbe mai diventato il candidato dei Repubblicani. Ora però si sente responsabile dell’immagine che molti americani hanno di Trump: quella di un imprenditore affascinante perché sfacciato e con un infallibile talento per gli affari. The Art of the Deal fu un bestseller: presente per 48 settimane nella classifica dei libri più venduti del New York Times, di cui 13 al primo posto, ha venduto più di un milione di copie e ha contribuito a diffondere l’immagine di Trump come uomo d’affari modello insieme al talent show The Apprentice in cui Trump – che vi partecipò dal 2004 al 2015 – giudicava i concorrenti in base al loro talento negli affari.

Per The Art of the Deal Schwartz ottenne metà dell’anticipo di 500mila dollari che la casa editrice Random House pagò per il libro e la metà delle royalties, cioè il compenso per i diritti di ogni copia venduta. Lo scrisse in 18 mesi tra il 1985 e il 1986: seguì Trump ovunque ed ebbe il permesso di essere presente ai suoi incontri di lavoro e ascoltare tutte le sue telefonate. Trump scelse Schwarz perché aveva scritto un articolo su di lui per il New York Magazine intitolato A Different Kind of Donald Trump Story. Non era un articolo lusinghiero nei suoi confronti: raccontava che non era riuscito a sfrattare gli inquilini di un palazzo che aveva acquistato a New York, e che fosse arrivato al punto di ospitare alcuni senzatetto per convincere gli abitanti ad andarsene.

Trump fu però entusiasta dell’articolo perché era stato letto da moltissime persone (secondo il principio del “purché se ne parli”) e scrisse un biglietto di complimenti a Schwartz. Poi accettò che lo intervistasse per Playboy e in quell’occasione gli disse che voleva scrivere un’autobiografia: Schwartz gli suggerì il titolo The Art of the Deal, e Trump gli propose di scriverla. Schwartz rifletté a lungo prima di accettare per il timore di rovinare la sua reputazione di giornalista e alla fine si convinse per il vantaggioso accordo economico sull’anticipo e le royalties, piuttosto raro per i ghostwriter. Anche se il libro fu venduto come un’autobiografia fu unicamente Schwartz – che viene citato come co-autore – a scriverlo, come succede solitamente con le autobiografie dei personaggi famosi.

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Schwartz ha raccontato al New Yorker che durante le interviste per raccogliere materiale per il libro Trump si distraeva molto e molto velocemente, si annoiava, diceva cose superficiali e sembrava non ricordare molte cose della propria infanzia. La sua scarsa capacità di attenzione è, secondo Schwartz, la causa delle sue «conoscenze superficiali e della sua evidente ignoranza»: è convinto che da adulto non abbia mai letto un libro per intero e aggiunge che nei 18 mesi che ha passato con lui non lo ha mai visto con un libro in mano. Alla fine Schwartz rinunciò alle interviste e chiese a Trump di passare del tempo con lui e ascoltare le sue telefonate.

L’altro grosso problema era che Trump, sempre secondo Schwartz, mentiva: «Più di qualunque altra persona che io abbia incontrato, Trump ha l’abilità di autoconvincersi che qualsiasi cosa stia dicendo al momento è vera, o più o meno vera, o almeno dovrebbe essere vera». Per questo quando Schwartz chiedeva a chi faceva affari con Trump conferme su quello che aveva detto, riceveva testimonianze contrastanti. Decise di sorvolare il più possibile sulle incongruenze e presentare l’abitudine a mentire di Trump come una strategia fondata su «iperboli veritiere». Anche perché quando Trump era incalzato sull’esattezza di alcuni fatti e dati si ripeteva e si innervosiva.

«Ho creato un personaggio molto più vincente di quanto non sia Trump in realtà» ha detto Schwartz al New Yorker. Questo abbellimento è presente già nelle prime frasi di The Art of the Deal in cui Trump dice: «Non lo faccio per i soldi. Ne ho abbastanza, molti più di quanti avrei bisogno. Lo faccio per farlo. Gli affari sono la mia forma d’arte. Altre persone dipingono bellissimi quadri o scrivono meravigliose poesie. A me piace fare affari, preferibilmente grossi affari». Schwartz ha sconfessato queste frasi dicendo: «È ovvio che lo fa per i soldi».

Jane Mayer, la giornalista del New Yorker che ha intervistato Tony Schwarz, ha riportato anche il commento di Trump sulla versione di Schwartz: Trump ha ribadito di essere stato lui a scrivere The Art of the Deal e poco dopo ha telefonato a Schwartz per dirgli che era stato sleale a criticarlo con il New Yorker, che ha definito «una rivista che sta per fallire e che nessuno legge». Il 20 luglio Schwartz ha detto in un’intervista alla rete televisiva MSNBC di aver ricevuto una lettera dagli avvocati di Donald Trump in cui gli è stato chiesto di rinunciare a tutte le royalties guadagnate dalla pubblicazione di The Art of the Deal.

Schwartz non voterà Trump alle elezioni presidenziali e ha detto che nel 2016 ha donato i guadagni derivati dai diritti del libro a organizzazioni che aiutano gli immigrati e si occupano di difesa dei diritti umani. Ha aggiunto che se dovesse riscrivere il libro oggi, non lo intitolerebbe The Art of the Deal, ma The Sociopath, cioè Il sociopatico.