E quindi Brexit?
Le ultime novità sul famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona e sulle richieste di autodeterminazione di Scozia e Irlanda del Nord
Negli ultimi giorni la nuova prima ministra britannica Theresa May ha fatto le sue prime visite ufficiali in Germania e in Francia, due paesi molto critici verso la decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea. Theresa May fa parte del partito Conservatore ma la sua posizione su Brexit è stata piuttosto ambigua: prima del referendum si era espressa per il “Remain, anche se poi ha adottato una posizione piuttosto defilata. Negli ultimi giorni, May ha detto però che “Brexit significa Brexit” e ha promesso che manterrà l’impegno di guidare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, come deciso dal referendum. May ha ribadito il concetto durante l’incontro a Berlino con la cancelliera tedesca Angela Merkel, e di nuovo durante il colloquio con il presidente francese François Hollande. Il nuovo governo britannico ha già preso una decisione in tal senso: mercoledì ha annunciato la sua rinuncia ad assumere la presidenza di turno del Consiglio europeo, prevista per il secondo semestre del 2017: il suo posto sarà preso dall’Estonia.
La procedura per uscire dall’Unione Europea prevede che il Regno Unito comunichi formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare l’organizzazione, facendo appello all’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Regno Unito e Unione Europea cominceranno allora a rinegoziare gli accordi che regolano i loro rapporti, e allo stesso tempo dovranno stabilire un nuovo accordo sui rapporti commerciali bilaterali. Una volta invocato, l’articolo 50 innesca un processo politico che non si può più fermare perché stabilisce esplicitamente un limite di tempo di due anni entro il quale completare tutta la procedura. Non è invece prevista alcuna scadenza di tempo tra l’esito del referendum e l’appello all’articolo 50, nonostante subito dopo la vittoria del “Leave” diversi leader europei avessero chiesto al Regno Unito di avviare il processo il prima possibile.
Questa fretta sembra essersi parzialmente frenata: May ha detto che l’articolo 50 non sarà invocato prima della fine dell’anno, probabilmente nel tentativo di guadagnare tempo per strappare un accordo preliminare vantaggioso ancora prima di iniziare le procedure di uscita dalla UE. Merkel e Hollande sembrano essere d’accordo: il più presto possibile, ma nell’interesse comune dell’Europa. I leader europei avevano già escluso categoricamente la possibilità di negoziati preventivi, ma hanno aperto alla possibilità di una “preparazione” – così hanno detto Merkel e Hollande – delle negoziazioni. Durante gli incontri degli ultimi giorni, si è cominciato a discutere di questioni non solo temporali ma anche sostanziali. E secondo il Guardian c’è anche chi ha già posto degli ultimatum.
May, Merkel e Hollade
Mercoledì 20 luglio, dopo l’incontro a Berlino con Theresa May, Merkel si è dimostrata disponibile ad aspettare fino alla fine dell’anno per invocare l’articolo 50, dicendo che «è nell’interesse di tutti che il Regno Unito chieda l’uscita quando avrà una posizione di negoziazione ben definita». Ha aggiunto che una buona preparazione è importante e che quindi anche la Germania «attenderà il momento» in cui il Regno Unito sarà pronto.
Giovedì 22 luglio si è tenuto in Irlanda un incontro tra Hollande e il primo ministro irlandese Enda Kenny. Al termine della riunione, i due hanno detto che il Regno Unito dovrebbe dare inizio al processo di uscita il più rapidamente possibile: «Prima saranno avviati i negoziati e più saranno brevi, meglio sarà». Il presidente francese ha anche detto di volere una spiegazione sul motivo per cui il Regno Unito stia posticipando Brexit (inizialmente si era parlato di invocare l’articolo 50 in autunno, poi in ottobre e poi – e sembra essere la posizione definitiva – alla fine dell’anno). La sera di giovedì Hollande ha incontrato a Parigi Theresa May e durante la conferenza stampa congiunta si è mostrato più disponibile a concedere del tempo: di fatto si è avvicinato alla posizione di Merkel.
“Un ultimatum”
Durante l’incontro con May, Hollande ha però insistito su una cosa in particolare: il Regno Unito non può aspettarsi di avere accesso al mercato unico europeo se non garantirà la libera circolazione delle persone. È un punto importante, su cui si è basato il dibattito pubblico finora e attorno al quale ruoteranno probabilmente le negoziazioni future. Hollande ha detto che il Regno Unito si trova di fronte ad una scelta: rimanere nel mercato unico e quindi permettere la libera circolazione anche delle persone, oppure scegliere un altro status. Uscire dall’Unione Europea ma restare nel mercato unico è stato uno degli argomenti dei sostenitori del “Leave”, e in particolare di Boris Johnson (attuale ministro degli Esteri britannico), ma è sembrato da subito molto poco probabile. Le ultime dichiarazioni di Hollande, scrive il Guardian, suggeriscono che sarà difficile per il Regno Unito «soddisfare il desiderio di Johnson».
May e Hollande hanno detto che comunque resteranno validi gli accordi di Touquet, firmati da Francia e Regno Unito nel 2003 e che regolano la cooperazione tra i due paesi nella gestione dell’immigrazione lungo le coste sullo stretto della Manica nella zona di Calais. L’accordo prevede che i controlli di frontiera vengano svolti dalla Francia, in cambio di un contributo economico da parte del Regno Unito. Durante la campagna elettorale di Brexit era circolata l’ipotesi che in caso di vittoria dei “Leave” l’accordo sarebbe stato annullato e che la Francia non sarebbe stata più obbligata a fermare i migranti che tentavano di arrivare sulle coste inglesi.
Scozia, Irlanda del Nord e Galles?
Dopo l’esito del referendum su Brexit si è discusso molto della possibile separazione della Scozia, dove gli elettori si sono espressi a maggioranza a favore del “Remain” e dove il principale partito, l’indipendentista Scottish National Party, era favorevole a restare nell’Unione. Dopo il voto, la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon aveva detto che un nuovo referendum sull’indipendenza, dopo quello perso nel settembre del 2014, era «altamente probabile».
A metà luglio Sturgeon e May si sono incontrate. May ha detto di essere disposta ad ascoltare tutte le possibilità che il parlamento scozzese sta considerando sul suo futuro rapporto con l’Unione Europea, ma dopo i colloqui ha fatto capire di non essere disposta a prendere in considerazione un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia. May ha anche detto che il suo governo porterà avanti i negoziati su Brexit per tutte le parti del Regno Unito e l’ha ribadito qualche giorno fa anche in Galles (dove hanno prevalso i “Leave”), spiegando che gli interessi delle industrie siderurgiche della regione saranno tutelate. L’Unione Europea è uno dei più importanti mercati di esportazione delle acciaierie del Regno Unito e in molti temono che Brexit possa danneggiare ulteriormente questo settore, che sta già attraversando una grave crisi.
Qualche giorno fa, nell’Irlanda del Nord (dove ha vinto il “Remain”) il primo ministro Enda Kenny non ha escluso che possa venire organizzato un referendum per riunirsi con la Repubblica d’Irlanda, dal momento che il paese è uno stato membro dell’Unione Europea. Kenny ha detto che l’Irlanda del Nord potrebbe in futuro «desiderare di lasciare il Regno Unito, non più membro dell’Unione Europea, e di unirsi alla Repubblica di Irlanda, membro della UE». E ancora: «I negoziati che stanno per iniziare dovrebbero prendere in considerazione la possibilità, per quanto remota possa essere, che venga attivata una clausola contenuta nell’Accordo del Venerdì Santo» firmato il 10 aprile del 1998 da diversi partiti dell’Irlanda del Nord su spinta dell’allora governo britannico guidato dal laburista Tony Blair e che prevedeva il diritto all’autodeterminazione dell’Irlanda del Nord, l’istituzione di un Parlamento nord-irlandese con potere legislativo e un primo ministro del governo regionale. Kenny ha ipotizzato che in Irlanda del Nord possa accadere quello che successe tra la Germania Est e la Germania Ovest dopo la caduta del muro di Berlino, cioè una riunificazione: una soluzione di questo tipo eviterebbe all’Irlanda del Nord il lungo e complicato processo di adesione all’Unione Europea.