Donald Trump è ufficialmente il candidato del Partito Repubblicano
È la notizia principale – per quanto attesa – della seconda giornata di convention a Cleveland, ma non è stato l'unico momento degno di nota
di Francesco Costa – @francescocosta
Durante la seconda giornata di lavori alla convention del Partito Repubblicano statunitense, i delegati eletti con le primarie che si sono tenute da febbraio a giugno hanno nominato formalmente l’imprenditore Donald Trump candidato del partito. Trump lo era già ufficiosamente da maggio, cioè da quando tutti i suoi sfidanti si erano ritirati dalle primarie e lui aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei delegati, ma più volte negli ultimi mesi – e fino a lunedì – un pezzo dei dirigenti del partito ha cercato di cambiare in corsa le regole della convention per mettere in discussione la sua candidatura.
Come accade tradizionalmente alle convention statunitensi, le delegazioni di tutti gli stati americani hanno preso la parola in ordine alfabetico e hanno dichiarato la distribuzione dei loro delegati, in modo a volte anche piuttosto spettacolare.
Come funziona lo spettacolare voto degli stati alla convention, uno per uno. Questa era la California: pic.twitter.com/IfSVZzMNmS
— Francesco Costa (@francescocosta) July 19, 2016
La delegazione dello stato di New York – lo stato di Donald Trump – ha saltato l’ordine alfabetico, così che potesse essere lei ad attribuire i voti decisivi per l’assegnazione della nomination. Quando è successo, la partita è stata chiusa.
Il momento in cui Donald Trump è diventato ufficialmente il candidato del Partito Repubblicano. pic.twitter.com/TQpxiOh9Ym
— Francesco Costa (@francescocosta) July 19, 2016
• Donald Trump non era presente al palazzetto dello sport di Cleveland che ospita la convention, ma ha ringraziato i delegati con questo videomessaggio. Trump parlerà alla convention l’ultima sera, giovedì, accettando formalmente la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti.
La serata alla convention è proseguita in modo più tranquillo e ordinato rispetto al primo giorno, quando a un certo punto erano completamente saltati gli orari della scaletta, e i lavori si sono conclusi prima delle 23. Tra gli altri hanno parlato i leader dei Repubblicani al Congresso – Mitch McConnell, capo della maggioranza al Senato; Kevin McCarthy, capo della maggioranza alla Camera; Paul Ryan, speaker della Camera – e poi la golfista Natalie Gulbis, l’attrice di soap opera Kimberlin Brown e la responsabile delle vigne di Donald Trump in Virginia, la Trump Winery. I discorsi più attesi però erano soprattutto tre: quelli di Chris Christie, di Tiffany Trump e di Donald Trump Jr.
• Il discorso di Chris Christie – governatore uscente del New Jersey, il primo importante membro dell’establishment Repubblicano a sostenere Trump – è stato quello che di più ha scaldato un pubblico particolarmente arrabbiato e unito soprattutto dall’ostilità per Hillary Clinton, candidata dei Democratici. Christie, che ha un passato da pubblico ministero, ha simulato una messa in stato d’accusa per Hillary Clinton, chiedendo di tanto in tanto ai delegati di esprimersi: «guilty or innocent?”». E tutti puntualmente urlavano «Guilty!», e intonavano il coro «Lock her up! Lock her up!» (in sostanza, «in galera!»). Le magliette con scritto “Hillary for Prison” sono tra i gadget più venduti nei dintorni della Quicken Loans Arena, il palazzetto dello sport che ospita la convention dei Repubblicani.
• Donald Trump Jr – figlio primogenito di Donald Trump e Ivana Trump, sua prima moglie – ha parlato del perché suo padre sarebbe un ottimo presidente degli Stati Uniti e ha concluso dicendo: «Le nostre scuole una volta erano un ascensore sociale. Oggi sono ferme al piano terra. Sono come negozi dell’era sovietica che restano aperti solo per non dover licenziare gli impiegati, e non perché sono utili ai clienti». Questa frase era apparsa identica a maggio in un articolo di F.H. Buckley, docente di legge alla George Mason University, pubblicato su una rivista conservatrice: ma non si è trattato di un caso di plagio come quello di Melania Trump, perché Buckley ha subito scritto su Twitter e detto alla stampa di aver collaborato lui stesso alla stesura del discorso di Donald Trump Jr.
Il discorso di Tiffany Trump, che ha 22 anni ed è la figlia più giovane di Donald Trump, era atteso perché era potenzialmente delicato: Tiffany Trump non è stata coinvolta nella campagna elettorale fin qui, non parla mai in pubblico e in passato ha raccontato di aver visto suo padre poco e niente per molti anni della sua vita. Se l’è cavata bene, però: il suo discorso era molto semplice ed essenziale, e lei è sembrata a suo agio sul palco.
Rispetto alla prima sgangherata giornata di lavori, che avevano visto anche una semi-ribellione di parte dei delegati, la seconda giornata della convention dei Repubblicani è andata molto meglio per Donald Trump: il voto dei delegati è andato come previsto senza scossoni, ci sono stati almeno un paio di oratori efficaci che hanno parlato a un orario televisivamente utile. Questo potrebbe contribuire a raffreddare le polemiche sul discorso plagiato di Melania Trump, che avevano dominato le conversazioni intorno alla convention nell’intera giornata, e che il comitato elettorale non ha ancora trovato il modo di placare (anche perché secondo alcuni giornali statunitensi le parti copiate sarebbero state aggiunte da Melania Trump e non dai suoi speechwriter).
La convention dei Repubblicani prosegue oggi con gli interventi, tra gli altri, dell’ex astronauta Eileen Collins, del governatore del Wisconsin Scott Walker, dei senatori – ed ex agguerriti sfidanti di Trump – Marco Rubio e Ted Cruz, dell’ex speaker della Camera Newt Gingrich, di Eric Trump (altro figlio di Trump) e soprattutto di Mike Pence, governatore dell’Indiana, candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti.