La Russia imbrogliò alle Olimpiadi di Sochi
Lo ha stabilito un'indagine della WADA, confermando un vasto programma del governo per imbrogliare ai test antidoping: ora rischia la squalifica dalle Olimpiadi 2016
In occasione delle Olimpiadi invernali di Sochi del 2014 e in altre competizioni sportive internazionali recenti la Russia promosse un programma per dopare gli atleti della propria nazionale, ha confermato un’indagine durata due mesi e promossa dall’Agenzia Mondiale Antidoping (o WADA, dal suo nome inglese) i cui risultati sono stati presentati lunedì 18 luglio a Toronto, in Canada. Si ritiene che la scoperta della WADA metterà ulteriore pressione al Comitato Olimpico Internazionale perché squalifichi dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro che cominceranno tra poco più di due settimane l’intera nazionale russa, come ha già fatto con la squadra di atletica.
L’indagine era stata ordinata dalla WADA dopo le rivelazioni di Grigory Rodchenkov, l’ex direttore dei laboratori russi per i controlli antidoping, che supervisionò gli esami agli atleti alle Olimpiadi di Sochi e che si è dimesso lo scorso novembre, dopo che un’altra inchiesta della WADA aveva sollevato i primi sospetti sul programma di doping russo. Rodchenkov, che non aveva collaborato pienamente con l’inchiesta, andò negli Stati Uniti, dicendo che se fosse rimasto in Russia avrebbe rischiato di morire. Lo scorso maggio Rodchenkov rivelò al New York Times il programma statale russo per imbrogliare alle Olimpiadi, somministrando sostanze dopanti agli atleti. Secondo quanto aveva detto Rodchenkov, la Russia voleva sfruttare il fatto di essere la nazione ospitante delle Olimpiadi per controllare i risultati dei test antidoping. Rodchenkov disse di aver obbedito agli ordini del ministro dello Sport russo, che voleva «vincere a ogni costo», e di aver impedito che alcuni importanti atleti russi dopati venissero scoperti. Rodchenkov ha detto che almeno 15 atleti russi che hanno vinto medaglie alle Olimpiadi di Sochi avevano fatto uso di sostanze dopanti.
L’indagine dell’WADA è stata coordinata dall’avvocato canadese Richard McLaren, che ha detto di aver stabilito «oltre ogni ragionevole dubbio» che il ministero dello Sport, l’agenzia nazionale antidoping e i servizi segreti russi avevano organizzato e attuato il programma per imbrogliare ai test antidoping. Tra i principali responsabili identificati dall’indagine c’è Yuri Nagornykh, vice ministro dello Sport russo. McLaren ha spiegato che il programma non si limitò alle Olimpiadi di Sochi, ma venne usato anche per coprire atleti dopati ai Mondiali di Atletica su Pista del 2013 di Mosca e i Mondiali di nuoto del 2015 di Kazan. McLaren ha detto di ritenere che i laboratori antidoping russi abbiano cominciato a nascondere campioni di urina da prima delle Olimpiadi del 2012 di Londra, e che la Russia imbrogliò «nella grande maggioranza degli sport».
Chart of disappearing RUS positives by sport from the Mclaren report.
This is some industrial scale PED coverup. pic.twitter.com/e6VXhsKqQo
— Richard Ings : 🇷🇺 stop attacking 🇺🇦 (@ringsau) July 18, 2016
Rodchenkov ha spiegato che ricevette dal ministero dello Sport una lista degli atleti che facevano parte del programma sostenuto dal governo. Nei mesi precedenti alle Olimpiadi, questi atleti raccolsero in alcuni contenitori campioni puliti della propria urina, che furono congelati. Durante le Olimpiadi di Sochi, Rodchenkov passò diverse notti, dopo mezzanotte, a sostituire i campioni di urina raccolti agli atleti – che nei giorni delle gare avevano assunto sostanze dopanti – con i campioni puliti, grazie all’aiuto di alcuni uomini dei servizi segreti russi. I campioni di urina raccolti nelle competizioni internazionali, normalmente, sono impossibili da manomettere: Rodchenkov non aveva saputo spiegare come fosse stata possibile la sostituzione dell’urina al loro interno. Lui passava le boccette attraverso un piccolo foro nel muro del laboratorio, e dopo un’ora tornavano apparentemente integri e con l’urina sostituita. Aveva ipotizzato che la manomissione potesse essere stata fatta sostituendo un anello di metallo che sigilla le boccette.
I campioni delle competizioni internazionali sono anonimi, e sono identificati solo da una stringa di 7 numeri. Per aggirare il problema, gli atleti russi, secondo quanto aveva spiegato Rodchenkov, fotografavano le boccette e le inviavano al ministero. Per provare che le sue accuse erano fondate, Rodchenkov aveva detto di avere aggiunto del sale da tavola ad alcuni campioni, per far raggiungere loro una particolare densità. Aveva detto alle autorità che stavano conducendo le indagini di verificare se nei campioni di urina, che sono conservati tuttora in un laboratorio a Losanna, in Svizzera, ci fosse una concentrazione troppo alta di sale. Aveva anche detto di controllare gli anelli di metallo delle boccette.
La prima inchiesta sugli imbrogli della Russia nei controlli antidoping fu ordinata dalla WADA nel dicembre del 2014, dopo la trasmissione di un documentario trasmesso dal canale tedesco ADR, che raccontò – attraverso la storia di Vitaliy Stepanov e Yulia Stepanova, un ex dipendente dell’agenzia antidoping russa e un’ex atleta – il vasto e regolare uso di doping fra gli atleti russi e i sistemi usati per coprire le loro azioni. Dopo l’inchiesta, la WADA propose la squalifica della nazionale russa di atletica dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che fu approvata nel novembre del 2015 dall’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera (IAAF), e riconfermata lo scorso giugno. La IAAF ha permesso a Stepanova, che è una forte mezzofondista di partecipare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro da “neutrale”, per il suo «eccezionale contributo alla protezione e alla promozione degli atleti non dopati, del fair play e dell’integrità e l’autenticità dello sport».