Le raffinerie di fortuna dell’ISIS
Sono poco tecnologiche e molto inefficienti, ma anche difficili da colpire con i bombardamenti aerei: e permettono di sfruttare il petrolio che si trova in posti isolati
di Joby Warrick – Washington Post
Lo Stato Islamico ha cominciato a trovare nuove soluzioni per sfruttare il petrolio che si trova nei territori che controlla, a causa dei continui attacchi aerei compiuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti contro le sue raffinerie e le sue autocisterne. Come si vede da alcune foto satellitari, le nuove soluzioni adottate dallo Stato Islamico sono sempre meno tecnologiche: per esempio a Mosul, in Iraq, sono spuntate diverse piccole raffinerie improvvisate vicino ai giacimenti petroliferi controllati dal gruppo. Le micro-raffinerie – che a volte vengono chiamate “teapots“, “teiere” – sono formate da semplici canali o fossi usati per immagazzinare il greggio, e da una fornace portatile usata per distillarlo e trasformarlo in carburante.
Nelle sue basi siriane, lo Stato Islamico usa da tempo sistemi simili, che oggi però stanno spuntando anche nei più organizzati (ma gravemente danneggiati) giacimenti iracheni, ha raccontato Omar Lamrani, analista della società privata di intelligence texana Stratfor. «In un unico giacimento di petrolio si possono trovare centinaia di queste strutture improvvisate», ha detto Lamrani, facendo riferimento alle immagini aeree che mostrano un’infinità di piccole fornaci intorno a un giacimento di Mosul dove l’anno scorso c’era quasi esclusivamente sabbia. «Non è il metodo ideale per farlo, e per questo le entrate del gruppo stanno diminuendo. Ma funziona». Il Washington Post ha ottenuto le immagini da Stratfor and AllSource Analysis, una società del Colorado specializzata in ricerca geospaziale.
Le piccole raffinerie stanno contribuendo a compensare parte delle enormi perdite economiche subìte dallo Stato Islamico, che ha interrotto la produzione tradizionale di petrolio nei giacimenti nel nord dell’Iraq che controlla dalla metà del 2014. Secondo alcuni funzionari americani, lo Stato Islamico ha inizialmente tentato di gestire le strutture petrolifere come delle normali società, tenendo un numero sufficiente di lavoratori per mantenere le raffinerie in funzione e trasportare il prodotto finito con delle autocisterne a commercianti indipendenti in Turchia, Siria e nelle province curde dell’Iraq. Stando ad alcune stime, nel periodo di massima attività le strutture petrolifere hanno fatto guadagnare allo Stato Islamico 50 milioni di dollari netti al mese. Negli ultimi mesi, però, le entrate sono calate molto, per colpa di una combinazione di cattiva gestione e per i continui bombardamenti aerei che hanno colpito raffinerie, depositi di stoccaggio e convogli di autocisterne.
La grande diffusione di micro-raffinerie è l’ultimo segnale delle difficoltà avute dallo Stato Islamico, che a partire dalla fine del 2014 ha perso metà delle sue basi in Iraq. Secondo Lamrani, l’uso di alternative poco tecnologiche rispecchia però una certa resilienza da parte dello Stato Islamico, che usa il petrolio autoprodotto anche per gestire le attività militari e i generatori elettrici. Stando alla stime di Stratfor, fino a marzo il petrolio ha portato allo Stato Islamico circa 20 milioni di dollari al mese, gran parte del quale prodotto nelle strutture improvvisate. Questo sistema ha molti svantaggi. Le piccole fornaci, che scaldano il greggio ad alta temperatura per poi catturare e raffreddare i vapori per produrre benzina, generano dense nuvole di fumo nero e lasciano pozze di prodotti di scarto tossici sulla superficie. Dal momento che sono piccole e sparpagliate, però, le raffinerie “a teiera” sono più difficili da distruggere dall’alto, e quando succede sono comunque facilmente rimpiazzabili a basso costo, hanno raccontato esperti del settore. «È un sistema molto inefficiente, sporco e che crea molti scarti», ha detto Paul Bommer, che insegna ingegneria petrolifera alla University of Texas di Austin. Eppure, racconta Bommer, «è un metodo per produrre piccole quantità di petrolio in posti isolati, il che suppongo renda questi posti più difficili da trovare».
© 2016 – Washington Post