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  • Domenica 17 luglio 2016

5 risposte sul tentato colpo di stato in Turchia

Perché c'è stato, intanto, e perché è fallito? E con chi sta la popolazione turca?

(BULENT KILIC/AFP/Getty Images)
(BULENT KILIC/AFP/Getty Images)

C’è ancora molta incertezza dopo il fallito colpo di stato in Turchia nella notte tra venerdì e sabato. Il governo dice che tutti i partecipanti sono stati arrestati, che 265 persone sono morte e più di mille sono rimaste ferite e che nella repressione governativa dopo il fallimento migliaia tra militari e magistrati sono stati arrestati o rimossi dal loro incarico. Il tentativo di golpe, nonostante sia arrivato a sorpresa, ha delle radici nel difficile rapporto tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’esercito turco, l’unico vero rivale alla sua autorità nel paese. Il tentato colpo di stato e la successiva risposta del governo racconta in generale molte cose della difficile situazione politica turca, e della gestione del potere portata avanti da Erdogan negli ultimi anni.

Perché c’è stato un colpo di stato?
Come ha scritto Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente di BBC: «Il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa dell’influenza della guerra civile siriana». Nel loro primo comunicato, i leader del golpe avevano detto che la loro operazione era dettata dalla necessità di fermare la deriva autoritaria e l’islamizzazione del paese voluta da Erdogan. I golpisti hanno anche parlato dell’incapacità suo governo di prevenire attacchi e attentati, come quello avvenuto lo scorso giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

L’esercito turco ha sempre avuto un ruolo molto rilevante nella vita pubblica del paese, e nella storia recente è intervenuto in maniera diretta per tre volte per rovesciare i governi in carica: nel 1960, nel 1971 e nel 1980. L’esercito turco è considerato il guardiano della costituzione laica del paese e in genere è intervenuto per garantire l’ordine costituito da minacce vere o presunte, come l’affermarsi di partiti o movimenti di ispirazione islamista o di sinistra radicale. Spesso, i periodi di massima influenza dell’esercito sulla vita pubblica hanno coinciso con campagne di arresti degli oppositori, sparizioni e omicidi politici, in maniera non troppo differente da quelle sperimentate dai regimi militari sudamericani. Fino a pochi anni fa, l’esercito turco era di fatto un corpo indipendente dal resto dello stato, solo formalmente sottoposto alla supervisione del governo civile. Con l’arrivo di Erdogan, il politico turco di gran lunga più abile e popolare della sua generazione, la situazione ha iniziato a cambiare.

Al momento non sappiamo ancora molto delle personalità e delle motivazioni degli ufficiali che hanno organizzato il golpe di venerdì, ma sono state fatte diverse ipotesi. Una delle più diffuse è che Erdogan si stesse preparando a un nuovo giro di epurazioni e sostituzioni e che quindi i golpisti abbiano tentato di anticiparlo, mettendo in atto un colpo di stato in maniera sbrigativa e raffazzonata. È una tesi che al momento non è sostenuta da nessuna prova certa, ma che si basa su un paio di indizi: il primo è che il colpo di stato è stato eseguito in maniera molto approssimativa, il secondo è che a meno di 24 ore dall’inizio del golpe, Erdogan aveva già ordinato l’arresto o la rimozione di migliaia di magistrati e ufficiali non direttamente coinvolti nelle operazioni militari, il ché lascia supporre che gli elenchi dei sospetti fossero già stati compilati.

Perché il colpo di stato è fallito?
La prima ragione sembra essere che al golpe ha partecipato solo una piccola frazione delle forze armate turche, qualche migliaio di soldati, forse 2.000, ha scritto Edward Luttwak su Foreign Policy. Si tratta di un numero chiaramente insufficiente per prendere il controllo di un intero paese. Luttwak, un commentatore popolare e controverso anche sui media italiani, è considerato un esperto di colpi di stato e per la Harvard Press scrisse nel 1968 un “Manuale pratico” per golpe che è diventato un classico tradotto in 16 lingue e ripubblicato in un’edizione aggiornata proprio quest’anno. Secondo Luttwak l’operazione di venerdì notte, più che un golpe, è sembrata una rivoluzione: un’azione avventata da parte di un pugno di ufficiali che speravano di ottenere l’appoggio della popolazione e del resto delle forze armate dopo una rapida vittoria. L’idea che più di un golpe si sia trattato di una rivoluzione sembra spiegare almeno parte dei numerosi errori compiuti dai golpisti.

Il primo è stato quello di colpire durante la sera, intorno alle 21, quando tutti di solito sono ancora svegli. Solitamente, i colpi di stato avvengono a notte fonda, con le truppe e i carri armati che occupano i luoghi strategici e arrestano i leader rivali prima che qualcuno abbia la possibilità di reagire. Attaccando così presto, i militari hanno dato la possibilità a Erdogan di richiamare i suoi sostenitori in strada e di organizzare un contrattacco. Al contrario, per provocare una rivoluzione non avrebbe senso colpire a notte fonda. Un altro errore dei golpisti è che non sono riusciti ad arrestare o neutralizzare nessuna delle figure chiave del governo.

Il resort dove si trovava Erdogan, nella città meridionale di Marmaris, è stato effettivamente attaccato, ma il presidente era già fuggito. Il primo ministro Binali Yildirim ha potuto annunciare il colpo di stato in televisione senza alcun ostacolo e ha continuato tutta la notte a scrivere su Twitter. Quasi nessun importante leader dell’AKP, il partito di Erdogan, è stato bloccato. L’unico successo su questo fronte è stato l’arresto del capo di stato maggiore dell’esercito, ad Ankara. Parte di questi fallimenti è probabilmente dovuta al fatto che i congiurati disponevano di troppi pochi soldati per portare a termine tutti i loro obbiettivi.

Perché molti dicono che è stata una montatura?
Insieme e quasi contemporaneamente alle notizie sullo svolgimento del golpe, qualcuno ha sostenuto che fosse stato organizzato dallo stesso Erdogan per aumentare il suo potere. Una premessa: in Turchia, un po’ come succedeva all’Italia degli anni Settanta-Ottanta, quando avviene una strage o un attentato, in molti vedono la mano dello stato. Secondo molti commentatori, in Turchia esiste uno “stato profondo”, cioè una rete parallela fatta da polizia e servizi segreti, incaricata di compiere attacchi e altre operazioni per giustificare misure repressive. La bomba alla marcia per la pace di Ankara, in cui lo scorso ottobre furono uccise più di cento persone, inizialmente fu imputata da molti agli agenti dello “stato profondo”. È abbastanza normale, quindi, sentir parlare oggi di “false flag”, cioè di montatura.

La Turchia, in effetti, è uno dei pochi paesi al mondo dove situazioni del genere sono effettivamente plausibili. Negli ultimi anni sono emersi diversi scandali in cui il governo turco ha dimostrato di essere spregiudicato nel perseguire i suoi fini. I servizi di intelligence, per esempio, hanno organizzato spedizioni segrete di armi a gruppi di estremisti islamici in Siria, mentre lo stesso Erdogan è stato registrato mentre parlava della possibilità di organizzare un “incidente” in modo da aver una scusa per invadere la Siria senza sembrare l’aggressore.

Ci sono molti elementi, però, che spingono a trattare questa ipotesi con estrema prudenza. L’assunto alla base di questa teoria che Erdogan fosse a conoscenza del complotto, che sapesse che c’erano dietro soltanto pochi ufficiali e che quindi li abbia lasciati fare, sapendo di poterli sconfiggere e quindi di ottenere i benefici politici. Si tratta di un atteggiamento spericolato, ai limiti dell’incoscienza. Una volta avuta notizia di un golpe, è molto difficile avere la certezza che sarà portato avanti soltanto da un pugno di militari e che il resto dell’esercito resterà nelle caserme, come è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. Ed è altrettanto difficile prevedere con certezza da che parte si schiererà la popolazione. In passato è già accaduto che tra i militari si spargesse l’idea di un colpo di stato e la reazione di Erdogan è sempre stata la repressione immediata.

La popolazione è dalla parte di Erdogan?
Erdogan è senza dubbio il leader più popolare nella storia recente della Turchia e alle recenti elezioni di novembre il suo partito è nuovamente riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Ma come molti leader carismatici, la sua figura è molto divisiva. Erdogan gode di un ampio consenso nella Turchia rurale, a Istanbul e tra i conservatori religiosi, mentre è osteggiato dalla sinistra, dai sindacati, dalla popolazione urbana della costa occidentale e da una parte significativa della minoranza curda. I suoi oppositori criticano le sue tendenze autoritarie, la repressione della libertà di stampa e della magistratura e la guerra contro le milizie curde del PKK, brutalmente condotta nel sudest del paese.

Già dalle prime ore del golpe, però, i partiti di opposizione, compreso il curdo HDP, si sono schierati contro i militari, così come hanno fatto anche numerosi attivisti e altri oppositori, che pure negli anni scorsi erano scesi in piazza contro il governo e avevano subito la repressione violenta delle forze di polizia. Nella notte di venerdì ci sono state alcuni episodi di apprezzamento per i militari, con applausi e grida di incoraggiamento, ma la stragrande maggioranza degli oppositori è rimasta a casa. A scendere in piazza sono stati i sostenitori di Erdogan.

La loro organizzazione è stata uno degli elementi che più hanno sorpreso gli analisti. Alle 23 e 30 di venerdì, Erdogan si è collegato con CNN Turkey tramite un’app per videochiamate del suo smartphone e ha chiesto alla popolazione di scendere in piazza per sostenere il suo governo. In quel momento, a molti è sembrata una mossa disperata, ma nel giro di pochi minuti le moschee di Istanbul hanno iniziato a chiamare in piazza i fedeli e in poco tempo le strade si sono riempite di sostenitori del governo. Tra loro era praticamente impossibile vedere delle donne, e moltissimi uomini avevano barbe e baffi – di solito evitati dai turchi con convinzioni più secolari – e cantavano slogan religiosi. I manifestanti, con l’appoggio delle forze di polizia, hanno disarmato moltissimi militari, che in molti casi si sono rifiutati di aprire il fuoco sulla folla. Ci sono state eccezioni, a Istanbul, dove per ore i militari hanno sparato per tenere lontano la folla, soprattutto in aria, ma causando anche morti e feriti. Quando all’alba il presidio si è arreso, diversi militari sono stati linciati dalla folla.

Cosa succederà ora?
Al momento Erdogan sta portando avanti delle vaste epurazioni nei confronti degli apparati dello stato che non ritiene ancora completamente fedeli, in particolare esercito e magistratura. Secondo tutti gli esperti, Erdogan uscirà dal golpe con un controllo ancora più saldo sul paese. L’esercito, fino a oggi l’unico rivale alla sua autorità, sarà ulteriormente ridimensionato. La successiva prevedibile instabilità, però, potrebbe finire con il danneggiare ulteriormente la situazione economica turca, già in difficoltà da un anno, e questo, nel medio periodo, potrebbe iniziare a far diminuire il consenso di cui gode Erdogan.

Nel breve termine, c’è sostanzialmente una questione ancora aperta: quella della base di Incirlik, nel sud della Turchia. È un’installazione militare dove si trovano numerosi soldati americani che operano le missioni di bombardamento contro l’ISIS, in Siria. La base, al momento, è isolata e la corrente è stata scollegata (la base comunque è dotata di generatori autonomi). Ufficialmente, la motivazione dell’isolamento della base è il timore che possa essere utilizzata dai golpisti, ma in molti sospettano che la vera ragione sia una rappresaglia nei confronti degli Stati Uniti, con i quali le relazioni sono peggiorate da mesi.

Secondo alcuni esponenti del governo turco, gli americani sarebbero i veri organizzatori del golpe. Erdogan non ha ancora detto niente di così grave, ma ha chiesto agli Stati Uniti di estradare Fethullah Gülen, un religioso che vive da anni in esilio autoimposto in Pennsylvania. Negli anni, Erdogan ha accusato Gülen di ogni sorta di complotto nei suoi confronti e nella retorica del presidente il religioso appare spesso un capro espiatorio per tutti i problemi della Turchia. Gli Stati Uniti hanno chiesto di fornire prove del coinvolgimento di Gülen nel colpo di stato e hanno respinto ogni accusa di aver avuto a che fare con i golpisti. Nel pomeriggio di domenica, la base è tornata quasi alla normalità, anche se la corrente non è ancora stata riallacciata. L’incidente, ha mostrato comunque a che livello di tensione siano arrivati i rapporti tra i due alleati.