A che punto è il Tour de France
È un'edizione molto divertente soprattutto grazie a Chris Froome, che sta vincendo come previsto, ma in modi imprevedibili
Il Tour de France, la più importante gara di ciclismo su strada al mondo, è iniziato il 2 luglio nel nord della Francia, è sceso fino ad arrivare ad Andorra e nel nord della Spagna e ora è arrivato nel sud-est della Francia. La tappa di oggi – giovedì 14 luglio, festa nazionale francese – arriverà sul Mont Ventoux, una montagna nota come “il gigante di Provenza” e famosa perché in cima è quasi completamente senza alberi e vegetazione (il classico paesaggio “lunare”). Il Mont Ventoux è una storica salita del Tour de France: i corridori ci passarono per la prima volta nel 1951 e la montagna è stata arrivo di tappa già nove volte. L’ultima volta – nel 2013 – vinse Chris Froome; prima di lui da quelle parti vinsero Marco Pantani, Eddy Merckx, Charly Gaul e Raymond Poulidor, il corridore famoso perché arrivava quasi sempre secondo.
La cima del Mont Ventoux, nel 2013 (Doug Pensinger/Getty Images)
Sembra che il Mont Ventoux si chiami così proprio per via del forte vento che c’è da quelle parti. Quel vento oggi è troppo (si parla di raffiche a 100 chilometri orari) e gli organizzatori del Tour hanno deciso di anticipare l’arrivo più o meno a metà del Mont Ventoux, accorciando la salita finale – e quindi l’intera tappa – di circa 6 chilometri. La tappa di oggi – la 12esima su 21 – sarà quindi un po’ meno difficile, ma comunque per niente facile. I corridori dovranno comunque percorrere circa 10 chilometri di salita, con pendenze quasi sempre tra l’8 e il 10 per cento. Sarà una tappa importante e potrà essere determinante per la classifica generale. L’arrivo sarà allo Chalet Reynard.
Al primo posto – e quindi in maglia gialla – al momento c’è il britannico Chris Froome, fin dall’inizio considerato il favorito, che ha 31 anni e ha già vinto i Tour del 2013 e del 2015; il suo principale rivale è il colombiano Nairo Quintana, che al momento è quarto in classifica, con 35 secondi di ritardo. Fabio Aru, l’unico italiano che può puntare al podio, è 11esimo, con un ritardo di un minuto e 35 secondi da Froome. Aru è uno dei due corridori italiani che può ragionevolmente pensare di vincere un Grande Giro (Giro d’Italia, Tour de France o Vuelta di Spagna) nei prossimi due-tre anni. L’altro è Vincenzo Nibali, che in carriera ha già vinto Tour, Vuelta e Giro d’Italia: due volte, il secondo nel maggio 2016. Il miglior risultato di Aru è la vittoria della Vuelta, nel 2015. Nibali è al Tour ma è lì per fare da gregario ad Aru, che come lui corre nell’Astana. Il vero obiettivo di Nibali è la gara delle Olimpiadi, a agosto. Alle Olimpiadi è probabile che sarà Aru a fare da gregario a Nibali.
La classifica del Tour è ancora molto corta perché molte delle tappe decisive – quelle in salita e a cronometro – devono ancora arrivare. Prima dell’ultima tappa, quella del 24 luglio con arrivo a Parigi, può ancora cambiare tutto; in questi primi giorni sono però già successe molte cose, alcune delle quali piuttosto sorprendenti.
La sintesi dei primi giorni di Tour de France è: in maglia gialla c’è Froome, quello che tutti si aspettavano di vedere in maglia gialla; il modo in cui ha ottenuto la maglia gialla è stato però del tutto inatteso. Froome è famoso per andare fortissimo a cronometro e in salita, ma fino a un paio di settimane fa era visto come una specie di soldatino, un atleta perfetto ma incapace di improvvisare o fare cose sorprendenti. Nel ciclismo contemporaneo tutti i corridori usano avanzatissimi computerini che permettono loro di controllare parametri di ogni tipo (velocità e battiti cardiaci, ma anche cose più complesse) e un’auricolare che gli permette di ascoltare le indicazioni del loro direttore sportivo (una specie di allenatore). Di Froome si diceva, provando a fare una sintesi: «È di sicuro fortissimo, ma non è creativo; non è tatticamente bravo, non riesce a improvvisare attacchi o azioni spettacolari; si limita a guardare i numeri del suo computerino, ascoltare le indicazioni del direttore tecnico e agire di conseguenza». Azzardando un paragone, le vittorie di Froome stavano al ciclismo come il tiki-taka al calcio, o quelle di Michael Schumacher nella Formula 1: efficace come pochissimi, capace di farsi ammirare da qualche intenditore, non proprio entusiasmante per tutti gli altri.
Chris Froome (Chris Graythen/Getty Images)
In questo Tour de France Froome non è ancora riuscito a staccare tutti gli altri in salita (Quintana è sempre riuscito a stargli vicino), ma è riuscito a guadagnare secondi in discesa e in pianura, facendo attacchi imprevedibili e molto creativi, pensati sul momento ed eseguiti rapidamente, d’impeto. Il primo attacco Froome lo ha fatto il 9 luglio, nell’ottava tappa. Fino a quel momento c’era stata soprattutto pianura, e quindi arrivi per velocisti o per corridori che erano riusciti ad andare in fuga.
Quella del 9 luglio era la prima vera tappa importante per gente il cui obiettivo è arrivare fino a Parigi in maglia gialla, vincendo così la classifica generale del Tour. Fino a quel momento la maglia gialla l’avevano indossata il velocista britannico Mark Cavendish (che finora ha vinto tre tappe), il belga Greg Van Avermaet e lo slovacco Peter Sagan, che finora ha vinto due tappe. Il 9 luglio non era una tappa per corridori come Sagan, Van Avermaet e Cavendish; era una tappa da “uomini di classifica”, da scalatori: c’erano quattro salite e l’arrivo era al termine della discesa successiva all’ultima delle quattro. Sull’ultima salita Froome ha provato a staccare gli avversari, anche con l’aiuto della sua fortissima squadra, la Sky. Non ci è riuscito. Dopo la salita e all’inizio della discesa Froome – che viene spesso criticato per essere scomposto in bici, poco elegante e di conseguenza poco capace nel guidarla in discesa – ha attaccato e staccato tutti gli avversari, che proprio non se l’aspettavano. Durante la discesa Froome si è messo in una posizione particolarmente acrobatica e ha pedalato come un matto: ha vinto la tappa, si è preso la maglia gialla e ha guadagnato – grazie al vantaggio sul gruppo e ai secondi di abbuono dati al vincitore – circa 25 secondi su tutti gli altri avversari.
Il 10 luglio c’è stata una tappa molto difficile, quella in Spagna e Andorra, su e giù dai Pirenei. Nonostante le molte salite, anche lì Froome non è riuscito a staccare Quintana, che è sempre riuscito a stargli vicino. Froome ha provato un paio di volte a cambiare ritmo ma non è sembrato forte come nei due Tour che ha vinto. Fin qui ci si è fatti l’idea che in salita a questo Tour de France Quintana e Froome siano praticamente pari, e a doverne proprio scegliere uno molti esperti sceglierebbero Quintana. Nella tappa del 10 luglio, tra l’altro, Aru ha perso circa un minuto: non è tantissimo, considerando che è al suo primo Tour de France.
Froome e Quintana, il 10 luglio (KENZO TRIBOUILLARD/AFP/Getty Images)
L’11 luglio c’è stato un giorno di riposo, il 12 luglio una tappa di pianura e il 13 luglio un’altra tappa la cui vetta più alta era a 245 metri: niente, considerando che i corridori superano anche i 2.000 metri. In quella tappa Froome ha fatto una cosa ancora più strana e più bella rispetto all’attacco in discesa del 9 luglio: ha attaccato in pianura (è rarissimo che lo faccia un uomo di classifica come lui), mentre era in maglia gialla (non succede praticamente mai, non in pianura). Froome ha fatto il suo attacco a 12 chilometri dall’arrivo, mettendosi a ruota di Sagan e del polacco Maciej Bodnar, che sono compagni di squadra nella Tinkoff. In quella tappa c’era molto vento e in quelle condizioni è fondamentale che non si creino buchi all’interno del gruppo: un distacco di tre metri senza vento è un conto, con il vento diventa un’altra cosa, perché non si riesce a “prendere la scia” e si rischia di farsi staccare. Sagan e Bodnar stavano riuscendo a fare il buco tra loro e il gruppo; Froome li ha visti, l’ha capito e gli è andato indietro. Insieme a loro è andato Geraint Thomas, che è compagno di squadra di Froome e in pianura se la cava molto bene. Bodnar, Froome, Thomas e Sagan hanno pedalato come matti per 10 chilometri, dandosi cambi costanti e proficui. Sono riusciti a arrivare da soli al traguardo e lì Sagan ha battuto tutti in una mini-volata a quattro. Froome è comunque riuscito a arrivare secondo: si è preso 6 secondi di abbuono, che vanno aggiunti ai 6 secondi di vantaggio rispetto al gruppo con cui la fuga è arrivata al traguardo.
Oggi sul Mont Ventoux si capirà forse se Froome si è messo a fare cose creative e azzardate perché è diventato più coraggioso e si sente molto forte, oppure perché invece si sente debole in salita e sente di dover sfruttare ogni possibile occasione per guadagnare secondi su Quintana e sugli altri avversari.
Il Mont Ventoux è, tra l’altro, la salita in cui Froome ottenne la sua prima grande vittoria di tappa e inizio a far parlare di sé. Era il 14 luglio di tre anni fa, era il centesimo Tour della storia e Froome era già in maglia gialla, ma con poco vantaggio sugli avversari. A un certo punto Froome cambiò ritmo ma non come fanno tanti altri scalatori (Pantani, per esempio) cioè alzandosi sui pedali. Rimase seduto sulla sella ma iniziò a pedalare “a mulinello”, con un ritmo intensissimo. Staccò il forte Contador con apparente facilità, andò a riprendere Quintana che era in fuga, restò con lui per qualche minuto e a poco meno di un chilometro dall’arrivo lo staccò andando a vincere da solo.
È difficile che sul Mont Ventoux non succeda niente. Se così dovesse essere, comunque, nelle prossime tappe le occasioni non mancheranno. Il 15 luglio c’è una cronometro (lì Froome va molto meglio di Quintana), il 17 luglio un tappone sulle Alpi, il 20 luglio un difficile arrivo in salita, il 21 luglio una crono-scalata (una cronometro, però in salita) e il 22 e 23 luglio altre due tappe piene di salite. È molto difficile che la maglia gialla a Parigi sia uno diverso da Froome e Quintana; è quasi impossibile che sia Aru, che fin qui ha però fatto un ottimo Tour. Anche grazie a Vincenzo Nibali che gli sta facendo da guida, consigliere e gregario, Aru si sta difendendo bene: bisogna vedere se riuscirà a leggere la fatica di tre settimane di Tour de France e se, magari, riuscirà anche ad azzeccare la giusta giornata per provare a vincere una tappa. L’obiettivo minimo di Aru è arrivare nei primi 10; arrivare tra i primi cinque sarebbe già un’ottima cosa. Il podio sarebbe un grande risultato.