Quanti sono i poveri in Italia
E cosa vuol dire, da un punto di vista economico e statistico, essere "poveri": i nuovi dati dell'ISTAT
L’ISTAT ha pubblicato un rapporto sulla povertà in Italia relativa al 2015. I dati mostrano che il 6,1 per cento delle famiglie residenti in Italia si trova in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 598 mila persone (il numero più alto dal 2005 ad oggi): il 7,6 per cento della popolazione residente. L’incidenza della povertà assoluta si è mantenuta sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è cresciuta se misurata in termini di persone (nel 2014 la popolazione residente in povertà assoluta era il 6,8 per cento). Anche la povertà relativa ha avuto un andamento simile nel 2015: è rimasta stabile in termini di famiglie (2 milioni e 678 mila pari al 10,4 per cento delle famiglie residenti, rispetto al 10,3 per cento del 2014), mentre è aumentata in termini di persone (8 milioni e 307 mila pari al 13,7 per cento, rispetto al 12,9 per cento del 2014).
Cosa significano povertà assoluta e povertà relativa
Le stime diffuse dall’ISTAT provengono dall’Indagine sulle spese delle famiglie: vengono rilevate tutte le spese sostenute dalle famiglie residenti per acquistare beni e servizi destinati al consumo familiare: generi alimentari, utenze, arredamenti, elettrodomestici, abbigliamento e calzature, medicinali e altri servizi sanitari, trasporti, comunicazioni, spettacoli, istruzione, vacanze, e così via. Le spese sostenute per scopi diversi dal consumo sono invece escluse dalla rilevazione.
La povertà assoluta classifica quindi le famiglie in base all’incapacità di acquisire certi beni e servizi che vengono considerati essenziali per vivere in modo minimamente accettabile. Viene misurata in base alla valutazione monetaria di quei beni e servizi che vengono considerati essenziali. L’ipotesi di partenza è che i bisogni primari e i beni e i servizi che hanno a che fare con i bisogni primari siano omogenei su tutto il territorio nazionale, tenendo però conto del fatto che i costi sono variabili tra le varie zone del paese. L’unità di riferimento è la famiglia, considerata in base alle caratteristiche dei singoli componenti. I bisogni primari sono divisi in tre aree: alimentare, abitazione, residuale. Hanno cioè a che fare con un’alimentazione adeguata, un’abitazione che deve corrispondere alla dimensione della famiglia, che deve essere riscaldata e fornita dei principali servizi, e una serie di altri parametri che hanno a che fare con il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.
Il valore monetario dell’insieme dei bisogni primari corrisponde alla soglia di povertà assoluta: la spesa minima necessaria per acquisire i beni e i servizi essenziali. La soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza.
La misura di povertà relativa dà invece una valutazione «della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Viene definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite». La soglia di povertà, per una famiglia di due componenti, è pari alla spesa media per persona nel paese e si ottiene dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti. Nel 2015 questa spesa è risultata pari a 1.050,95 euro euro mensili (+0,9% rispetto al valore della soglia del 2014). Per le famiglie formate da più di due persone viene utilizzata una scala di equivalenza.
I dati nel rapporto dell’ISTAT
Povertà assoluta
L’aumento della povertà assoluta in termini di persone e non di famiglie, spiega l’ISTAT, è legato alle peggiori condizioni rilevate per le famiglie con quattro componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5 del 2015), soprattutto coppie con due figli (da 5,9 a 8,6 per cento) e tra le famiglie di soli stranieri (da 23,4 a 28,3 per cento), che sono in media più numerose.
L’incidenza della povertà assoluta è aumentata nel nord Italia sia in termini di famiglie (da 4,2 per cento del 2014 al 5 per cento del 2015) sia di persone (da 5,7 a 6,7 per cento), soprattutto all’interno di famiglie di stranieri. Se si prende in considerazione tutta l’Italia, la povertà assoluta è aumentata anche tra le famiglie che risiedono nei comuni centro di area metropolitana (l’incidenza è aumentata da 5,3 per cento del 2014 a 7,2 per cento del 2015) e tra quelle nelle quali la persona di riferimento ha tra i 45 e i 54 anni (da 6,0 a 7,5 per cento). L’aumento ha riguardato anche le famiglie la cui persona di riferimento è un operaio, mentre è rimasto più contenuto tra quelle con un dirigente, quadro e impiegato (1,9 per cento) e ritirato dal lavoro (3,8 per cento).
L’incidenza della povertà assoluta, scrive l’ISTAT, diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento e del suo titolo di studio: se è almeno diplomata l’incidenza è poco più di un terzo di quella rilevata per chi ha al massimo la licenza elementare.
La più alta incidenza di povertà assoluta è stata registrata nel sud Italia (9,1 per cento di famiglie, 10 per cento di persone), la più bassa nel centro (4,2 per cento di famiglie, 5,6 per cento di persone).
Povertà relativa
Come è successo per la povertà assoluta, quella relativa è aumentata tra le famiglie più numerose, in particolare tra quelle con quattro componenti (da 14,9 per cento del 2014 a 16,6 per cento del 2015) o 5 e più (da 28,0 a 31,1 per cento). L’incidenza della povertà relativa è aumentata anche tra le famiglie nelle quali la persona di riferimento è un operaio o di età compresa tra i 45 e i 54 anni. Sono aumentate le difficoltà economiche tra le famiglie nelle quali la persona di riferimento è in cerca di occupazione, che nel 2015 risultano in povertà relativa in quasi quattro casi su dieci (da 29,5 per cento a 38,2 per cento).
Tra il 2014 e il 2015 l’incidenza di povertà relativa è scesa tra le famiglie in cui è presente almeno un anziano (da 9,6 per cento a 8,5 per cento): ma è un fenomeno che ha coinvolto soltanto il sud Italia. È migliorata anche la condizione delle famiglie che risiedono nei piccoli comuni del sud Italia (l’incidenza della povertà relativa è passata da 23,7 per cento del 2014 al 21,6 per cento del 2015).
Nel nord Italia sono peggiorate le condizioni delle famiglie con almeno 5 componenti (da 19,8 per cento a 27,7 per cento) e delle persone che vivono da sole, anche se in quest’ultimo caso i numeri sono molto contenuti (da 1,8 per cento a 2,9 per cento).
Lombardia (4,6 per cento), Emilia Romagna (4,8 per cento), Veneto (4,9 per cento) e Toscana (5,0 per cento) presentano i valori più bassi dell’incidenza di povertà relativa. In generale al sud Italia – con l’eccezione dell’Abruzzo – si è registrato un livello di povertà più diffuso rispetto al resto del paese. Le situazioni più gravi sono tra le famiglie residenti in Calabria (28,2 per cento) e Sicilia (25,3 per cento).