Sorvegliare Salah Abdeslam in cella è legale?
Secondo il suo avvocato no, e si è rivolto a un tribunale amministrativo per togliere le telecamere a circuito chiuso
Dallo scorso 27 aprile Salah Abdeslam, uno dei principali accusati per gli attentati di Parigi del 13 novembre, si trova nel carcere francese di Fleury-Mérogis, nella regione dell’Île-de-France, dopo essere stato estradato dal Belgio dove era stato arrestato a marzo. Oggi, mercoledì 13 luglio, davanti al giudice del Tribunale amministrativo di Versailles si discuterà delle condizioni di detenzione di Abdeslam. Abdeslam, che è l’unico sopravvissuto tra gli attentatori di Parigi ed è sospettato di aver gestito la logistica degli attacchi, si trova in una cella in isolamento ed è costantemente ripreso da più di una telecamera. Il suo avvocato, Frank Berton, sostiene che questo regime costituisca una «grave violazione della privacy» del suo cliente. Il giudice, a partire da oggi, avrà quarantotto ore per prendere una decisione.
Lo scorso 17 giugno il ministro della Giustizia francese aveva deciso di sorvegliare in modo permanente Salah Abdeslam nella sua cella con delle telecamere a circuito chiuso. La misura si basava a sua volta su un provvedimento ministeriale del 9 giugno: si stabiliva che la video-sorveglianza ininterrotta potesse essere decisa per qualsiasi persona messa in isolamento, anche durante una detenzione provvisoria, «la cui fuga o il cui suicidio potrebbero avere un impatto significativo sull’ordine pubblico». Abdeslam è dunque ripreso ininterrottamente nella sua cella dal 17 giugno da sei telecamere agli infrarossi, che coprono l’intera superficie della sua cella e che possono zoomare sui dettagli, mostrando per esempio cosa sta leggendo o cucinando. Nella zona della toilette c’è un pannello nella parte bassa ed è possibile riprendere solo la parte superiore del corpo.
L’avvocato di Abdeslam ritiene che questa situazione sia «un’interferenza grave e illegale nella vita privata» del suo cliente e che violi l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo si occupa del diritto al rispetto della vita privata e familiare e al comma 2 dice che «non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Frank Berton dice che, contrariamente a questa disposizione, la misura applicata a Salah Abdeslam è stata imposta per decreto ministeriale e non è «prevista dalla legge». Inoltre non la ritiene necessaria allo scopo dichiarato, cioè prevenire il suicidio di Abdeslam, e che abbia invece l’effetto contrario. Sostiene la propria tesi con diverse ricerche, come quella dell’Osservatorio internazionale sul carcere, che dice come questo dispositivo di detenzione «aumenti il rischio di suicidio che intende combattere rendendo psicologicamente fragile il detenuto».
Berton ha anche ricordato un episodio recente che ha suscitato grandi controversie in Francia. Il 29 giugno il deputato Thierry Solère di Les Républicains, centrodestra, ha avuto accesso alla sala di video-sorveglianza del carcere di Fleury-Mérogis e ha assistito, guardando i video delle telecamere, alla vita quotidiana di Salah Abdeslam. Il 3 luglio un giornale francese, il Journal du dimanche, aveva anche pubblicato un resoconto molto dettagliato della visita fatta da Solère, in cui si diceva per esempio: «Abdeslam esce dal bagno, si lava i denti e le mani», «Si è messo il profumo e ha srotolato il tappeto rosso per la preghiera», «Il letto è fatto perfettamente, non c’è nulla fuori posto e tutto è in un ordine maniacale», «Ha messo tutto a posto con movimenti a scatti, veloci, ho avuto l’impressione di una persona molto tesa». Frank Berton ha denunciato il deputato Thierry Solère per violazione della privacy.
Se la richiesta non dovesse essere accolta dal tribunale amministrativo, Berton potrebbe presentare appello al Consiglio di Stato e poi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La CEDU ha sempre difeso il diritto dei detenuti alla privacy, anche se la sua giurisprudenza sulla video-sorveglianza permanente è in via di definizione. Con una recente sentenza del 16 giugno ha stabilito che una misura simile imposta a un prigioniero polacco non costituiva un «trattamento inumano e degradante» ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Secondo uno studioso citato da Le Monde, le due circostanze non sono però paragonabili. Il detenuto polacco era infatti stato giudicato pericoloso a causa del suo comportamento durante la detenzione, e questo non è il caso di Salah Abdeslam. Inoltre i suoi avvocati si erano appellati all’articolo 3 della Convenzione, quello sui «trattamenti inumani e degradanti», e non all’articolo 8 che parla invece in modo specifico di privacy.