Le auto che si guidano da sole non sono tutte uguali
E anzi stanno seguendo due approcci completamente diversi: le Tesla richiedono che il pilota sia sempre pronto a intervenire; Google vuole arrivare a eliminarlo del tutto, il pilota
Lo scorso 7 maggio Joshua Brown, un uomo di 40 anni che stava guidando una Tesla Model S, è morto in un incidente stradale vicino a Williston, in Florida: Brown è stata la prima persona morta in un incidente che ha coinvolto un’auto che si guida da sola. Il sistema di pilota automatico della Tesla di Brown non è riuscito a distinguere il lato bianco di un camion dal cielo: il camion proveniva dalla direzione opposta e stava svoltando a sinistra, e l’auto di Brown lo ha colpito senza frenare. Frank Baressi, l’autista del camion, ha detto che dopo l’incidente ha sentito provenire dall’auto di Brown il suono di un film di Harry Potter: Tesla ha spiegato che è impossibile riprodurre video sul computer di bordo delle sue auto mentre si sta guidando, ma la polizia ha detto di aver trovato un lettore DVD portatile a bordo dell’auto, senza specificare se fosse in funzione al momento dell’incidente.
Brown era un appassionato di auto Tesla, e aveva caricato molti video su YouTube in cui mostrava le funzioni della sua auto. Dopo l’incidente si è tornati a parlare delle implicazioni e dei rischi delle auto che si guidano da sole, un settore in cui stanno facendo ricerche quasi tutte le case automobilistiche del mondo. Due tra le principali aziende che si stanno occupando di auto che si guidano da sole sono Tesla Motors e Google: i sistemi di pilota automatico che stanno sviluppando, però, sono completamente diversi, e le differenze sono strettamente legate all’incidente di Brown. In sostanza, il sistema di Tesla prevede che il pilota rimanga costantemente concentrato sulla strada, e intervenga di continuo per modificare e correggere le decisioni automatiche dell’auto. Il sistema di Tesla non è abbastanza avanzato da frenare e sterzare per evitare un ostacolo improvviso senza l’intervento del pilota.
Google, che a differenza di Tesla non ha ancora presentato al pubblico le proprie auto e sicuramente non lo farà prima del 2019, ha adottato una strategia diversa: sta studiando il modo di rendere completamente autonoma l’auto, senza richiedere l’intervento del pilota. Quando cominciò a occuparsi di auto che si guidano da sole, nel 2010, Google progettava di costruire sistemi di pilota automatico simili a quelli di Tesla, che richiedessero quindi che il pilota intervenisse a ogni minimo problema. Nel 2013 però Google realizzò un esperimento in cui fece guidare alcuni prototipi di auto – dei SUV Lexus modificati – ai suoi dipendenti. Dai filmati ripresi dalle telecamere interne, Google si accorse che i piloti si distraevano praticamente subito, cercando cose nelle borse, guardando il telefono, togliendo le mani dal volante e addirittura addormentandosi, e affidandosi completamente al pilota automatico nonostante l’auto andasse a quasi 100 chilometri all’ora. Gli ingegneri di Google capirono che forse non è possibile pretendere che un pilota passi da essere distratto a evitare un incidente in pochi secondi: o uno guida o uno non guida. Le vie di mezzo sono pericolose.
Google decise quindi di adottare una strategia completamente diversa, progettando un sistema che escludesse dall’equazione il pilota: senza pedali, senza volante e pensato per andare al massimo a 40 chilometri all’ora. Non sono auto pensate per grandi viaggi, ma per gli spostamenti in città. In un recente editoriale, il Washington Post ha sostenuto che è molto importante che l’incidente di Brown non faccia perdere la fiducia nelle auto che si guidano da sole, e che sia ben chiara la differenza tra il pilota automatico di Tesla e quello di Google. Le auto che si guidano completamente da sole, secondo il Washington Post, cambieranno le nostre vite quando saranno davvero disponibili, e in meglio: «gli anziani e i ciechi potranno spostarsi avendo bisogno di molta meno assistenza. Le morti in incidenti stradali potranno non scomparire del tutto, ma diminuiranno. Le auto si parleranno tra loro e guideranno in maniera più prevedibile, perciò il traffico diminuirà. Gli americani non dovranno più passare così tanto tempo a cercare parcheggio. I pendolari saranno meno stressati. Molti sceglieranno di non possedere un’auto, perché probabilmente potranno sfruttare i passaggi poco costosi di servizi di auto senza pilota. E il paese sprecherà anche meno benzina».
I prototipi di Google sfruttano un sistema di rilevamento laser conosciuto come LIDAR, che analizza l’ambiente intorno all’auto per creare una mappa dettagliata di quello che la circonda. Le auto Tesla invece sfruttano sensori e radar che rendono le auto solo semi-autonome: possono rimanere da sole nel mezzo di una corsia o cambiarla, e aumentare o ridurre la velocità a seconda del traffico e degli ostacoli. Secondo una scala studiata dalla National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), un’agenzia governativa statunitense, per valutare quanto sono autonome le auto di questo tipo, le auto Tesla sono al livello 2. Google, per intenderci, punta ai livelli 4 e 5: il primo prevede che il pilota inserisca le informazioni sul percorso, e che poi l’auto faccia il resto; il secondo non prevede nemmeno un pilota.
Tesla ha sempre specificato che il suo sistema di pilota automatico è pensato solo per aiutare il pilota e non per sostituirlo: sui manuali e sui video dimostrativi ha spiegato che chi guida deve rimanere vigile e tenere le mani sul volante o almeno nelle immediate vicinanze. Il sistema di Tesla è stato presentato lo scorso ottobre, e Brown era uno dei clienti che lo stavano provando in anteprima: le persone che hanno deciso di provare l’aggiornamento del software Tesla avevano guidato per un totale di oltre 200 milioni di chilometri prima dell’incidente di Brown. È un modo, tra le altre cose, per creare un rapporto di fedeltà e fiducia con i clienti, e di attrarre «quelli disposti a prendersi dei rischi per una tecnologia potenzialmente in grado di cambiare il mondo».
Il sistema adottato da Tesla è molto più rudimentale ed essenziale di quello di Google, e per questo è molto meno costoso e soprattutto è già disponibile sul mercato. Come ha spiegato il Los Angeles Times, «l’approccio fulmineo di Tesla è in linea con la sua immagine di piccola ma rilevante casa automobilistica che sta sconvolgendo il settore, mentre Google – un’azienda di tecnologia dalla quale nessuno si aspetta auto – ha il lusso del tempo»: Tesla Motors fa auto, Google fa tantissime cose tra cui, da qualche anno, anche le auto.
Chris Urmson, capo del programma automobilistico di Google, ha spiegato che prima di mettere sul mercato le proprie auto l’azienda vuole essere certa che non ci siano problemi: «Della gente viene da me e mi dice: “Guarda, il mio laptop Windows si blocca ogni giorno: cosa succede se a farlo è la mia auto?”. Sono sette anni che Google sta lavorando al progetto, per un totale di circa 2,5 milioni di chilometri di test su strada, e a quanto si sa c’è stato solo un piccolo incidente che ha soltanto rovinato la carrozzeria di un’auto.
Tesla ha risposto alle critiche dicendo di aver fatto moltissimi test, e che i feedback dei clienti che provano le nuove versioni del sistema rendono il software ancora più sicuro (senza contare, ma Tesla non lo dice, che i dati sulle morti eventuali avvenute a causa di auto con pilota automatico non vanno messi a confronto con “nessun morto”, ma con i dati sulle morti avvenute a causa di auto pilotate da uomini). Jeff Miller, ingegnere elettronico e docente alla University of Southern California, ha spiegato al Los Angeles Times che il ragionamento di Tesla sta in piedi: tutti i programmi hanno dei bug, ma è impossibile risolverli tutti prima di lanciare il prodotto, quindi a un certo punto bisogna metterlo a disposizione del pubblico.