Chi è Edoardo Albinati, che ieri ha vinto il Premio Strega
È romano, ha 59 anni e ieri sera ha vinto il Premio Strega del 2016 con "La scuola cattolica" (il suo primo romanzo da dieci anni a questa parte)
Edoardo Albinati, 59enne scrittore italiano, ha vinto il Premio Strega del 2016, il più importante premio letterario italiano, con il suo ultimo libro “La scuola cattolica”. Gli altri quattro finalisti erano L’uomo del futuro di Eraldo Affinati, Se avessero di Vittorio Sermonti, Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci, e La femmina nuda di Elena Stancanelli.
“La scuola cattolica” è lungo 1294 pagine – ma nella versione originale era lungo circa il doppio – racconta l’adolescenza del narratore e contiene riferimenti alla storia italiana degli anni Settanta, soprattutto al caso di cronaca noto come il “massacro del Circeo”. Al centro del romanzo c’è l’Istituto San Leone Magno di via Nomentana a Roma, una scuola maschile gestita dai preti e frequentata da una certa borghesia e piccola borghesia cattolica: due dei ragazzi colpevoli del “massacro del Circeo” erano infatti stati studenti di quella scuola.
Albinati è nato a Roma nel 1956 e fino ad ora ha scritto una quindicina di opere letterarie, tra romanzi, racconti e raccolte di poesie. Il suo penultimo romanzo era uscito nel 2006: si chiamava Tuttalpiù muoio e fu scritto in collaborazione con Filippo Timi. Da metà anni Novanta insegna lettere ai detenuti del carcere romano di Rebibbia e nel 2002 ha trascorso alcuni mesi in Afghanistan lavorando con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Due anni dopo ha partecipato ad una missione dell’UNHCR in Ciad e in seguito ha pubblicato dei reportage molto apprezzati sul Corriere della Sera, e su Repubblica. Prima di iniziare a pubblicare romanzi e racconti, Albinati ha tradotto delle opere di alcuni scrittori stranieri, come Vladimir Nabokov e Robert Louis Stevenson.
Parlando del suo ultimo libro, Albinati ha detto: «Volevo mostrare e capire come sotto la superficie del decoro stiano crimini e miserie. Volevo tirare i fili di quell’ambiente preciso in quel momento preciso: il quartiere Trieste a Roma nella prima metà degli anni Settanta, un quartiere della piccola borghesia cattolica. Volevo mostrare come il risentimento borghese, cioè della classe razionale per antonomasia, potesse accendersi in fiammate selvagge. Volevo mostrare lo sbalordimento di fronte a quell’infiammarsi. Ma il mio bisogno era liberarmene, non ricordarlo».