Le violenze subite dai migranti prima di arrivare in Italia
Un dettagliato rapporto di Amnesty International ha raccolto le storie di torture e stupri subiti in Libia da più di 90 migranti, che ora si trovano in Puglia e in Sicilia
La nota ONG Amnesty International ha intervistato circa 90 persone fra migranti e richiedenti asilo che hanno raccontato di avere subito violenze mentre si trovavano in Libia aspettando di viaggiare fino in Italia. Molti hanno detto di essere stati picchiati o aver subito abusi da trafficanti, membri di organizzazioni criminali o gruppi armati. In particolare, Amnesty ha parlato con 15 donne che hanno detto di aver avuto costantemente paura di essere stuprate nel viaggio fino alle coste della Libia: molte hanno raccontato di aver preso delle pillole contraccettive prima di iniziare il viaggio per evitare di rimanere incinte dei loro possibili stupratori. I medici, gli psicologi e gli assistenti sociali che lavorano nei centri di accoglienza hanno confermato ad Amnesty che questa pratica è molto comune tra le donne migranti. In totale Amnesty ha raccolto 16 testimonianze di stupri, raccontate da testimoni o dalle stesse vittime. Amnesty ha intervistato i migranti mentre si trovano nei centri di accoglienza in Sicilia e in Puglia.
Mentre sappiamo abbastanza bene cosa succede nei paesi da cui scappano i migranti, e come funzionano le tratte dei trafficanti, non esistono moltissime testimonianze di ciò che accade fra il momento in cui i migranti – specialmente quelli sub-sahariani – lasciano il proprio paese e quello in cui salpano nel Mediterraneo. Da quel poco che sappiamo, queste persone devono affrontare viaggi molto difficili e in condizioni pericolose, per poi trovarsi a che fare con persone che approfittano della loro disperazione per arricchirsi. Le testimonianze raccolte da Amnesty mostrano in parte cosa succede ai migranti, e in particolare alle donne, in Libia, cioè il paese da cui proviene la stragrande maggioranza dei migranti che arriva alle coste italiane (anche a causa della recente instabilità politica).
Gli stupri in Libia
Le donne che hanno parlato con Amnesty hanno detto che gli stupri avvengono lungo i percorsi per attraversare la Libia e nelle case e nei magazzini dove i migranti aspettano di potersi imbarcare per l’Europa. Una donna eritrea di 22 anni ha raccontato di aver assistito a diversi stupri, compreso lo stupro di gruppo di una donna accusata ingiustamente di non aver pagato il prezzo del viaggio. Lo stupro di gruppo (da parte di cinque uomini libici) avvenne quando la famiglia della donna disse di non poter pagare di nuovo.
Un’altra eritrea di 22 anni, Ramya, ha raccontato di essere stata stuprata più di una volta dai trafficanti che la tenevano prigioniera vicino ad Agedabia, nel nord-est della Libia: «Le guardie bevevano e fumavano hashish e poi venivano a scegliere la donna che volevano e la portavano fuori. Le donne provavano a rifiutare, ma avevi una pistola puntata alla testa, non avevi davvero una scelta se volevi sopravvivere. Sono stata stuprata due volte da tre uomini… Non volevo morire».
Amal, eritrea di 21 anni di fede cristiana, ha detto che stava viaggiando in un gruppo di 71 persone quando nel luglio 2015 un gruppo armato – ritenuto dai migranti affiliato allo Stato Islamico – li sequestrò vicino a Bengasi, nel nord-ovest della Libia. Il trafficante che li stava guidando fu lasciato andare perché disse che non sapeva che fossero cristiani. Poi gli uomini del gruppo armato divisero cristiani e musulmani, e uomini e donne: «Ci tennero sotto terra: non abbiamo visto la luce del sole per nove mesi. Eravamo undici donne eritree. A volte non mangiavamo per tre giorni di fila, altre volte ci davano un pasto al giorno, solo un pezzo di pane». Gli uomini che le tenevano prigioniere cercarono di convertirle all’Islam, picchiandole o minacciandole con delle armi da fuoco quando rifiutavano: quando alla fine le donne accettarono di convertirsi furono stuprate, dato che gli uomini le consideravano come proprie “mogli”. Amal stessa ha detto di essere stata stuprata da diversi uomini, prima di essere assegnata a uno di loro, che continuò a stuprarla.
Violenze, minacce e omicidi
Molte delle persone che hanno parlato con Amnesty hanno detto di essere state tenute prigioniere da trafficanti che cercavano di estorcere soldi alle loro famiglie: spesso venivano tenuti in condizioni igieniche scarsissime, senza cibo o acqua, e venivano costantemente molestate, insultate e picchiate. Chi non poteva pagare il riscatto, veniva impiegato gratuitamente in vari lavori. Un uomo etiope di 28 anni di nome Adam ha raccontato di essere stato rapito da uomini affiliati allo Stato Islamico mentre viveva con sua moglie a Bengasi, in Libia, solo perché era cristiano: «Mi hanno tenuto imprigionato per un mese e mezzo. Poi uno di loro, che era dispiaciuto per me perché gli avevo detto di avere una famiglia, mi ha aiutato a memorizzare il Corano in modo che mi lasciassero andare».
Semre, un ventiduenne eritreo, ha detto di aver visto morire di fame e malattia quattro persone (tra cui un ragazzino di 14 anni) nel periodo in cui era prigioniero dai trafficanti: «Nessuno li ha portati in ospedale e così è toccato a noi seppellirli». Anche dopo che suo padre ebbe pagato il riscatto, Semre non riacquistò la libertà, perché fu venduto a un altro gruppo criminale. Il ventenne eritreo Saleh ha raccontato di aver assistito alla morte di un uomo torturato con l’elettricità perché non poteva pagare il riscatto per la propria libertà. Entrambi erano prigionieri di un gruppo di trafficanti in un magazzino a Bani Walid, vicino a Misurata, nel nord-ovest della Libia; dopo la morte dell’uomo i trafficanti dissero che chi non pagava sarebbe morto allo stesso modo.