In Australia non c’è un vincitore chiaro
Ieri si è votato per rinnovare Camera e Senato: lo scrutinio non è ancora finito e la coalizione di centrodestra e il Partito Laburista sono praticamente pari, si saprà tutto nei prossimi giorni
Aggiornamento del 3 luglio: Hanno votato più di 10 milioni di persone, a cui vanno aggiunti i circa quattro milioni di voti che erano arrivati in precedenza, quelli di chi non poteva andare ai seggi. Al momento la coalizione di centrodestra guidata dall’attuale primo ministro Malcolm Turnbull e il Partito Laburista di Bill Shorten sono vicinissimi sia al Senato che alla Camera, e sia al Senato che alla Camera ci sono ancora un po’ di seggi da assegnare: (16 su 150 alla Camera, 13 su 25 al Senato). Il problema è che né la coalizione di Turnbull né il partito Laburista sembrano potere essere in grado di governare. Secondo i conti del Guardian, al momento la coalizione di centrodestra è a 65 seggi, uno solo in più del Partito Laburista. Lo scrutinio non è ancora finito, e i risultati definitivi potrebbero arrivare fra qualche giorno.
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Il 2 luglio in Australia si tengono le elezioni anticipate per rinnovare il Parlamento federale. Saranno elezioni particolari, perché riguardano contemporaneamente entrambe le Camere, cosa che non succedeva da quasi trent’anni. I principali candidati sono due: Malcolm Turnbull, primo ministro e leader della coalizione di centrodestra attualmente al governo (formata da liberali, liberali-nazionali e nazionalisti), definita dai giornali semplicemente Coalizione; e Bill Shorten, capo dell’opposizione e leader del Partito Laburista, di centrosinistra. Gli ultimi sondaggi danno Turnbull – che è capo dal governo da soli dieci mesi – leggermente favorito, anche se l’insolita instabilità che ha colpito la politica australiana negli ultimi dieci anni potrebbe produrre qualche scossone rispetto alle previsioni.
Perché si va a elezioni anticipate
In Australia le ultime elezioni federali si erano tenute nel settembre del 2013: aveva vinto l’allora leader della Coalizione, Tony Abbott, con più di 10 punti percentuali dal candidato laburista Kevin Rudd, arrivato secondo. Il governo di Abbott però non era durato molto: nel settembre del 2015 Abbott era stato sostituito da Malcolm Turnbull dopo una votazione interna ai liberali. Questo è un meccanismo particolare presente in alcuni paesi del mondo, tra cui l’Australia (e il Regno Unito, come abbiamo visto in questi giorni): l’incarico di capo del governo viene assegnato, salvo rare eccezioni, al leader del partito vincitore delle elezioni. Quando una corrente del partito ritiene che il leader non sia più adatto a ricoprire quel ruolo, o che non vincerebbe le successive elezioni, può chiedere un voto di “sfida” (leadership spill) con il quale un contendente può battere il leader in carica, diventare il nuovo capo del partito e quindi anche il capo del governo. È quello che è successo con Abbott e Turnbull.
The primer that tells you everything you need to know about Australia's elections https://t.co/CwcY2CtlQE #ausvotes pic.twitter.com/qnO9xlyty5
— Bloomberg Australia (@BloombergAU) June 27, 2016
Un grafico di Bloomberg mostra la successione dei primi ministri australiani dal 1996 ad oggi: negli ultimi dieci anni ce ne sono stati sei diversi
Nemmeno Turnbull comunque ha completato il suo mandato, perché circa tre mesi fa sono state indette le prime “double-dissolution election” in quasi trent’anni della storia del paese. Le elezioni di “double dissolution” possono essere indette solo quando il Senato blocca per due volte a distanza di almeno tre mesi il passaggio di una o più leggi già approvate alla Camera (Camera e Senato vengono eletti con due sistemi elettorali diversi). A quel punto il primo ministro può chiedere lo scioglimento di entrambe le camere e indire elezioni anticipate. Nel caso di Turnbull, il problema è stato una legge che doveva ripristinare la Australian Building and Construction Commission (ABCC), cioè un organo di sorveglianza nel settore delle costruzioni. La ABCC era stata istituita dal governo di John Howard (del partito Liberale) nel 2005, ma poi era stata svuotata di alcuni poteri nella legislatura successiva a maggioranza laburista. La legge per il ripristino della ABCC, che è stata voluta molto dal governo Turnbull, è stata osteggiata in Senato dai Laburisti, dai Verdi e da altri parlamentari che non appartengono alla Coalizione.
I due principali candidati, e i loro programmi
L’Australia arriva a queste elezioni con una situazione economica non ottima. Bloomberg ha scritto che le elezioni del 2 luglio determineranno quale partito dovrà guidare l’economia nazionale in un momento in cui gli investimenti nel settore minerario stanno rallentando e in cui le finanze pubbliche si stanno deteriorando. Durante la campagna elettorale, Turnbull – che ha 61 anni ed è un ex giornalista, avvocato e promotore finanziario – ha insistito molto sull’idea che l’Australia dovrebbe avviare una nuova fase di crescita economica, più slegata rispetto al passato dallo sviluppo dell’industria mineraria. Ha anche promesso dei tagli fiscali per le società private e una riforma del sistema pensionistico del paese. Nonostante sia un conservatore, Turnbull è conosciuto per avere una visione progressista sul cambiamento climatico e per essere favorevole ai matrimoni tra persone omosessuali.
Il primo ministro australiano, Malcolm Turnbull, a un evento di campagna elettorale a Brisbane, in Australia (Stefan Postles/Getty Images)
Il principale avversario di Turnbull è Bill Shorten, un ex sindacalista di cui si cominciò a parlare dieci anni fa dopo il collasso della miniera di Beaconsfield, nello stato australiano della Tasmania. Fu un caso molto seguito dalla stampa locale, anche perché due minatori rimasti intrappolati sottoterra furono ritrovati vivi due settimane dopo il crollo: Shorten fu uno dei leader sindacali che manifestarono per chiedere migliori condizioni di lavoro per i minatori. Nell’ultima campagna elettorale, Shorten ha promesso di fare dell’Australia un paese «più giusto», per esempio parlando di grandi investimenti nel settore dell’istruzione e della sanità e garantendo un grande impegno sui temi legati al cambiamento climatico.
Bill Shorten, leader del Partito Laburista australiano, fotografato a Sydney, Australia (WILLIAM WEST/AFP/Getty Images)
Oltre ai due candidati principali, ci sono altri partiti più piccoli che non hanno alcuna speranza di vincere le elezioni ma che potrebbero risultare importanti e decisivi negli equilibri del Senato. Questo a causa del sistema elettorale australiano che garantisce una maggioranza più ampia alla Camera bassa rispetto a quella del Senato. Una delle caratteristiche più distintive del sistema elettorale australiano è il cosiddetto “compulsory vote“, ovvero il voto obbligatorio. L’elettore australiano iscritto nei registri elettorali è tenuto a presentarsi al seggio nel giorno delle elezioni, oppure a contattare l’ufficio elettorale e accordarsi per votare nei giorni precedenti: nel caso non lo faccia, deve pagare una multa e potenzialmente potrebbe ricevere una richiesta di presentarsi davanti a un giudice e ricevere anche una pena detentiva.
Questa non è l’unica anomalia del sistema elettorale australiano: ogni cittadino non può votare un unico partito, ma sulla scheda elettorale deve stilare una sorta di classifica di tutti quelli che si presentano alle elezioni. I complicati calcoli di distribuzione dei seggi fanno sì che per un piccolo partito sia molto più conveniente essere tra le prime posizioni di molti elettori piuttosto che essere al primo posto tra pochi. La differenza è che alla Camera si eleggono i deputati con un sistema uninominale maggioritario, mentre al Senato è in vigore un più complicato sistema proporzionale basato sulle preferenze espresse nei singoli stati. Ne risulta che un partito può avere un’ampia maggioranza alla Camera ma non così ampia al Senato.
Cosa dicono i sondaggi
In un sondaggio pubblicato dall’Australian il 27 giugno, la Coalizione ha superato per la prima volta in tutta la campagna elettorale i Laburisti. Secondo l’Australian e altri osservatori che si occupano di politica australiana, lo spostamento delle preferenze potrebbe essere stato influenzato in qualche modo da “Brexit“, cioè la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea. L’Australia non è coinvolta in maniera diretta nella questione, ovviamente, ma Turnbull ha fatto più volte riferimento alla crisi delle Borse mondiali e alla necessità di un voto “utile” che garantisca la stabilità, di fatto invitando molti elettori a votare la sua coalizione, invece che dare la preferenza a partiti più piccoli. Nel sondaggio pubblicato sull’Australian si osserva anche una diminuzione di consensi per i partiti minori: per esempio i Verdi, guidati da Richard Di Natale, hanno perso l’1 per cento, arrivando al loro risultato peggiore dal dicembre 2013. Anche il Nick Xenophon Team – guidato dal senatore Nick Xenophon e che ha raccolto consensi usando la retorica della mancanza di fiducia nella classe politica – ha perso 1 punto percentuale.
Il Wall Street Journal ha scritto che è improbabile che le elezioni del 2 luglio sblocchino la situazione di stallo che si è creata tra Camera e Senato. I sondaggi mostrano infatti che il 30 per cento dei 15,6 milioni di elettori australiani potrebbero preferire candidati non allineati ai due principali blocchi politici, la Coalizione e il Partito Laburista. Secondo un’analisti dell’Australian Institute, un think tank australiano progressista, è probabile che il prossimo Senato avrà nove membri indipendenti, un numero difficile da gestire per entrambi i blocchi che si contendono la vittoria. A quel punto potrebbe diventare decisivo, almeno in Senato, il partito di Nick Xenophon, che potrebbe emergere come forza importante per definire l’approvazione o la bocciatura delle leggi.