Come si vince ai rigori
Sono crudeli quando perdi, splendidi se vinci: ma dati e statistiche mostrano che non sono davvero "una lotteria"
Tra gli accostamenti di parole del mondo del calcio ce n’è uno che, oltre a essere molto diffuso, sembra essere anche particolarmente vero: “lotteria dei rigori”. L’espressione indica il fatto che quando una partita di calcio arriva ai calci di rigore – con tutto il carico di fatica e tensione accumulata durante la partita – conta poco chi è più forte, più in forma, più allenato o più bravo. Qualcuno vince e qualcuno perde, ma ancora più che in altri casi è difficile prevedere chi e capire perché. Sull’Ultimo Uomo Giacomo Detomaso ha scritto una “Piccola guida alla lotteria dei rigori“, spiegando alcuni dati psicologici, storici e balistici sui calci di rigore, concentrandosi soprattutto su quelli che si tirano – tanti e tutti insieme – a fine partita, dopo i supplementari.
Detomaso ha provato a capire come si calcia il rigore perfetto – forte, basso e angolato – e quanto la psicologia influisca sui rigori: tantissimo. «Le probabilità che un calciatore ha di trasformare un rigore scendono fino al 57 per cento quando la sua squadra ha perso le due sessioni precedenti». Conta anche chi calcia prima e chi dopo – «la squadra che calcia per prima vince nel 61 per cento dei casi» – e quanto è decisivo un rigore: «La percentuale di trasformazione dagli 11 metri è del 92 per cento quando il rigore assicurerebbe la vittoria alla squadra del tiratore, ma crolla al 62 per cento quando un errore ne sancirebbe l’eliminazione». Poi ci sono quelli che vanno oltre le statistiche e fanno cose strane, come un cucchiaio. Il più famoso in Italia è quello di Francesco Totti nel 2000, contro l’Olanda; ma ci ricordiamo anche quello di Andrea Pirlo contro l’Inghilterra nel 2012. Il più famoso nel mondo è il primo: quello del cecoslovacco Panenka, nel 1976 contro la Germania Ovest, nella finale della «prima grande competizione ad essere decisa dagli undici metri». Prima, dopo i supplementari si rigiocava una nuova partita, o si tirava una monetina per decidere il vincitore. Quella sì che era una lotteria.
La porta, il portiere, la palla sul dischetto. Il tiro dagli 11 metri è calcio nella sua forma più essenziale. Dei rigori si parla poco. Troppo poco se si pensa che il loro esito può determinare il vincitore di un torneo importante come l’Europeo in corso.
Finché non si arriva ai supplementari nessuno ci pensa. Si vuole allontanare l’idea stessa che essi sono lì, pronti a intervenire per dirimere brutalmente una questione protrattasi troppo a lungo. I rigori vengono percepiti come ingiusti (da chi perde), spaventano perché non si può controllarne il risultato fino in fondo.
Ma la casualità è una componente essenziale di ogni fase della partita. E poi, a ben pensarci, per tirare un buon rigore servono coraggio, altruismo e per certi versi fantasia, ossia proprio ciò da cui, per De Gregori, si dovrebbe giudicare un giocatore. Per quanto semplici, i calci di rigore meritano di essere studiati come e quanto gli altri aspetti del gioco.
La prima grande competizione ad essere decisa dagli undici metri risale esattamente a quarant’anni fa. Nel 1976 Repubblica Ceca e Slovacchia erano fuse in un’unica nazione, mentre la Germania era ancora divisa dal Muro. Proprio Cecoslovacchia e Germania Ovest si giocarono a Belgrado la finalissima degli Europei jugoslavi. Le squadre arrivarono stanche all’appuntamento: entrambe avevano avuto bisogno dei supplementari per vincere le rispettive semifinali e la Germania aveva anche goduto di un giorno di riposo in meno. Per salvaguardare la salute dei propri giocatori, la federazione tedesca voleva evitare che, in caso di parità dopo i supplementari, la finale venisse rigiocata. In quegli anni, infatti, i rigori non venivano ancora utilizzati per decretare il vincitore (nell’Europeo del 1968, l’Italia superò in semifinale l’URSS grazie a un lancio di monetina favorevole dopo 120 minuti senza reti, mentre in finale ebbe la meglio sulla Jugoslavia dopo due partite, la seconda vinta 2-0 e disputata 48 ore dopo la prima, conclusa 1-1 dopo i supplementari). La UEFA e la federazione Cecoslovacca accettarono la proposta tedesca di rompere l’eventuale parità con i tiri dal dischetto (che venivano già utilizzati nella Coppa di Germania dal 1970).