Il guaio attorno al nuovo libro di Gay Talese
Racconta una storia eccezionale – la vita di un voyeur proprietario di un motel – ma il Washington Post ha scoperto che è falsa: lui prima ha sconfessato il libro, poi ci ha ripensato
Aggiornamento: Nel pomeriggio del 1 luglio la casa editrice Grove Atlantic ha diffuso un comunicato in cui Gay Talese spiega di aver avuto una reazione esagerata a quanto scoperto dal Washington Post e per questa ragione alla fine promuoverà The Voyeur’s Motel: «Ero arrabbiato e probabilmente ho detto alcune cose che non pensavo e non penso». Talese ha anche detto che gli errori presenti nel libro saranno corretti nel corso delle edizioni successive.
***
Lo scorso aprile il New Yorker ha pubblicato un lungo estratto del nuovo libro dello scrittore e giornalista americano Gay Talese, The Voyeur’s Motel, che uscirà negli Stati Uniti il 12 luglio. Si era parlato molto di quel testo perché raccontava una storia eccezionale e allo stesso tempo sollevava questioni etiche sui metodi giornalistici di Talese. In The Voyeur’s Motel, Talese racconta la storia di un uomo che in passato aveva commesso dei reati; Talese ne era al corrente dagli anni Ottanta, ma li ha raccontati e resi pubblici solo di recente. Dopo settimane di dubbi e sospetti, ora il Washington Post ha scoperto che molte delle informazioni raccolte da Talese erano in realtà false, mettendo ancora più in discussione il libro, oltre che il celebrato metodo di fact checking del New Yorker. Per questo Talese ha detto che non lo promuoverà: «Come potrei osare promuovere un libro, se la sua credibilità è finita nel cesso?».
The Voyeur’s Motel racconta la storia di Gerald Foos, che alla fine degli anni Sessanta costruì un corridoio insonorizzato sopra alle camere del motel di cui era proprietario (ad Aurora, in Colorado) per poter spiare nelle stanze attraverso il condotto di aerazione. Per anni Foos guardò di nascosto i suoi clienti mentre facevano sesso, finché un giorno assistette all’omicidio di una donna. Prima di raccontare a Talese la sua storia, Foos gli chiese di firmare un documento: impegnava da un lato Foos a essere completamente sincero, e dall’altro Talese a non rivelare l’identità di Foos né quella del motel senza il suo consenso. Talese lo firmò.
Talese ha scritto che seppe dell’omicidio a cui Foos aveva assistito nel 1983, sei anni dopo che era avvenuto, e di aver subito chiamato Foos per ottenere spiegazioni. Quando nel 2013 Foos lo chiamò per dirgli che era pronto a rendere pubblica la sua storia, identità comprese, Talese contattò la polizia di Aurora per chiedere informazioni sull’omicidio del 1977, ma non riuscì a trovare nessuna conferma. Scoprì però che nel 1984 un ospite del motel era stato assassinato, ma si trattava di un uomo e anche le circostanze dell’evento erano diverse rispetto a quelle raccontate da Foos. L’ipotesi di Talese era che Foos avesse annotato in maniera sbagliata la data nel suo diario.
Il Washington Post ha indagato ulteriormente e ha scoperto alcune incongruenze tra il racconto di Foos a Talese e alcuni documenti. Per esempio ha scoperto che Foos vendette il motel nel 1980 e lo comprò di nuovo nel 1988: Foos non aveva detto nulla di tutto ciò a Talese, che visitò il motel (ed ebbe modo di spiare una coppia che aveva un rapporto sessuale insieme a Foos) proprio nel 1980, apparentemente prima che il motel fosse venduto. Molti degli eventi narrati nel libro sarebbero avvenuti tra il 1980 e il 1988, dunque è chiaro che Foos ha mentito a Talese.
Il Washington Post ha anche chiesto a Foos di confermare l’ordine degli eventi da loro scoperto e l’uomo li ha confermati. Altre cose che Foos aveva detto a Talese e non sono vere: aver venduto il motel a una famiglia coreana (nel 1980 lo aveva venduto a Earl e Pamela Ballard, che non sono coreani); aver continuato a vivere nel motel anche dopo averlo venduto. Inoltre Foos non ha avuto accesso al corridoio per spiare gli ospiti del motel per tutto il tempo di cui aveva parlato a Talese, come confermato da Earl Ballard al Washington Post.
Talese ha detto al Washington Post che «non avrebbe dovuto credere a una sola parola di Gerald Foos». David Remnick, direttore del New Yorker che si era occupato direttamente dell’estratto di The Voyeur’s Motel pubblicato sulla rivista nota per l’accuratezza del fact-checking, ha detto al Washington Post di non aver avuto il tempo di controllare le informazioni. La casa di produzione cinematografica DreamWorks aveva acquistato i diritti del libro per una trasposizione cinematografica prodotta da Steven Spielberg e diretta da Sam Mendes; non si sa ancora se il progetto sarà accantonato.