Chi sceglie i vestiti che troviamo nei negozi
Sono i cosiddetti buyer, che partecipano alle sfilate e decidono quali capi comprare, in che taglie e quantità
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Quando entriamo in un negozio di abbigliamento solitamente non ci chiediamo da dove vengano i vestiti esposti su grucce e scaffali, ma c’è una figura professionale apposita che li sceglie e li acquista, il cosiddetto buyer. Decide quali capi comprare, in che quantità e che taglie, e nei negozi multimarca stabilisce anche quali marchi tenere e su quali nuovi stilisti puntare.
Il lavoro del buyer consiste principalmente nell’assistere alle sfilate che ritiene più interessanti e alle presentazioni di abiti organizzate nelle case di moda per guardarli da vicino e toccarli. Solitamente i buyer hanno un budget prestabilito dal negozio e marche preferite o più adatte ai negozi per cui lavorano, ma molto dipende da cosa trovano di volta in volta. Hanno anche il compito di contrattare con le aziende i termini di pagamento e di consegna.
Il lavoro del buyer cambia se si occupa di un piccolo negozio, di un grande multimarca o della boutique di una casa di moda, e le differenze aumentano tra l’Italia e l’estero. In Italia, infatti, «ci sono molti più negozi che hanno una storia importante ma che sono gestiti a livello famigliare, come Biffi a Milano o Folli Follie a Bologna. Sono quindi più piccoli e chi si occupa degli acquisti magari non è un vero e proprio buyer ma uno dei gestori», spiega al Post Adriana Saralvo, docente di Buying all’Istituto Marangoni di Milano (una delle più importanti scuole di moda italiane) nonché buyer per il famoso gruppo di Hong Kong Joyce, che distribuisce capi firmati in Asia e ha negozi a Hong Kong, Pechino, Shanghai e Parigi. All’estero invece esistono realtà molto più complesse come i grandi magazzini Galeries Lafayette e Printemps di Parigi, o Harrods di Londra. In questi casi c’è sempre un buyer che si occupa degli acquisti, e se l’azienda è molto grande può avere anche una serie di persone che lavorano con lui.
Una via di mezzo tra i negozi a conduzione famigliare e i grandi magazzini sono i concept store, negozi che vendono abbigliamento prevalentemente di lusso insieme a oggetti di design, libri e musica. In Italia il più famoso e storico è 10 Corso Como, fondato a Milano nel 1991 da Carla Sozzani, gallerista e imprenditrice, che poi ha aperto delle sedi anche a Pechino, Seul e Shanghai. La buyer di 10 Corso Como è Silvia Bertocchi, che ha spiegato al Post che il suo lavoro è diverso rispetto a quello degli altri perché «come buyer di concept store siamo portati a considerare ogni oggetto selezionato in funzione della storia che racconta e del dialogo che può instaurare con gli altri prodotti». A differenza di altri negozi, 10 Corso Como vende anche molti nuovi marchi, e per selezionarli Bertocchi e i suoi collaboratori partecipano «alle settimane della moda di Londra, Parigi e Milano; guardiamo le testate di moda indipendenti, ci confrontiamo in modo aperto con altri concept store, e usiamo il web come inesauribile fonte di informazioni, ma anche i concorsi dei nuovi talenti emergenti». La capacità di un buyer che lavora in un negozio con più sedi è comprare le cose giuste in base alla città in cui si trova il negozio. 10 Corso Como ad esempio ha «una linea editoriale condivisa in tutte le boutique, che riguarda i marchi più rappresentativi come Azzedine Alaïa, Comme des Garçons, Maison Margiela, Raf Simons e Vetements, ma ogni negozio ha esigenze diverse a seconda della clientela locale».
La stessa cosa accade per i negozi monomarca, ovvero quelli di una casa di moda, dove il buyer decide gli acquisti per ogni sede e si confronta costantemente con i responsabili dei vari negozi. Saralvo ha spiegato che solitamente tutte le boutique monomarca vendono l’intera collezione e il buyer decide soprattutto la quantità e le taglie dei vestiti: «il responsabile acquisti di Gucci, per esempio, per i negozi di Mosca ordinerà cinque pellicce, mentre per quello di Dubai magari solo una. La stessa cosa per le misure, perché in Asia, ad esempio, dovrà far arrivare una quantità maggiore di taglie piccole».
Nei negozi online funziona più o meno allo stesso modo. Net-a-porter, uno dei siti di e-commerce di lusso che funziona meglio, compra esattamente come se fosse un negozio fisico, sia per tipologia di merce che per quantità. Yoox invece acquista in quantità grandissime e differenzia la sua offerta tra i 96 paesi in cui vende. Può farlo soprattutto perché ha molti capi di vecchie collezioni, con un prezzo quindi inferiore. La differenza più grande tra negozi fisici e online è il modo in cui vengono proposte e pubblicizzate le cose su Internet perché, dice Bertocchi, «il web punta sulla forza del singolo oggetto, mentre il negozio sull’insieme dei prodotti».
Ci sono fondamentalmente due modi per diventare buyer. Si può iniziare come assistente alla vendita in un negozio perché fare il commesso aiuta a capire meglio i desideri dei clienti; inoltre è più facile farsi notare dai responsabili e crescere di ruolo fino a diventare buyer. Un’altra strada è lavorare come assistente nell’ufficio acquisti, un impiego inizialmente più legato allo studio di numeri e tabelle e che richiede una buona conoscenza della matematica. È anche possibile studiare per diventare un buyer e diverse scuole di moda offrono corsi e master per capire sia la parte economica che quella più creativa del lavoro all’Istituto Marangoni, ad esempio, si insegna buying all’interno del corso triennale di Fashion Business e c’è anche un master di sei mesi che costa circa 8mila euro. Al Polimoda di Firenze, altra importante scuola italiana, ci sono master di nove mesi in Fashion Merchandising e Buying, che costano 21mila euro. Sempre al Polimoda ci sono corsi intensivi di una settimana per chi vuole semplicemente approfondire alcune competenze.