Mike Tyson ha 50 anni
Nel mezzo ha avuto un'infanzia complicata, la prigione, la boxe, una condanna per stupro, alcol, droga, qualche titolo mondiale e quel morso
Nella notte del 22 novembre 1986 un ventenne pugile statunitense, Mike Tyson, sconfisse il campione mondiale dei pesi massimi Trevor Berbick all’Hilton di Las Vegas, diventando il più giovane pugile della storia a ottenere il titolo mondiale dei pesi massimi. Nessuno se lo aspettava, anche se il giovane Tyson era arrivato a quell’incontro dopo aver vinto 27 match, 25 dei quali per knock out. Berbick invece aveva dodici anni in più e aveva vinto il titolo dei pesi massimi nove mesi prima. Era stato anche l’ultimo avversario di Muhammad Ali, contro cui aveva vinto nel match poi diventato noto come “Drama in the Bahamas”. Ali era anche l’idolo di Tyson, che quando aveva dodici anni lo incontrò al centro di detenzione di Spofford, in cui si trovava in seguito a una lunga serie di furti e violenze. Tyson infatti, fino alla notte del 22 novembre 1986 (ma anche negli anni successivi), aveva avuto una vita molto complicata, segnata soprattutto dalla povertà e dalla violenza.
Tyson nacque cinquant’anni fa a Brooklyn, il più piccolo dei tre figli di Lorna Smith e Jimmy Kirkpatrick (prese il cognome del vecchio compagno della madre). Nato in una famiglia povera, l’infanzia di Tyson iniziò a essere veramente difficile quando il padre abbandonò la famiglia. Rimasto con la madre, che nel frattempo iniziò ad avere seri problemi con l’alcol, e i due fratelli, si trasferì a Brownsville, un quartiere povero e pericoloso. Tyson era un bambino tranquillo e molto introverso e passava la maggior parte delle giornate da solo ad allevare piccioni sui tetti dei palazzoni popolari di Brownsville. Le cose cambiarono quando iniziò a essere tormentato da alcuni ragazzi più grandi e preso in giro per via del suo sigmatismo e per la sua corporatura massiccia e più sviluppata rispetto a quella dei suoi coetanei. Col passare del tempo Tyson si convinse che subire le angherie degli altri ragazzi senza fare niente avrebbe reso le cose ancora più dure, e per questo iniziò ad aggredire tutti quelli che lo disturbavano: seppur più piccolo d’età, Tyson era già più forte e robusto dei ragazzi più grandi. Col passare del tempo Tyson iniziò a compiere diversi furti e si unì a una banda locale. Quando aveva dodici anni era già stato arrestato decine di volte; dopo uno scippo venne portato al riformatorio di Tryon.
A Tryon era solito allenarsi in palestra quasi ogni giorno e per molte ore, a volte anche fino a notte fonda. Fu lì che venne notato da Bobby Stewart, secondino ed ex pugile, che riuscì a presentarlo a Cus D’Amato, storico allenatore di pugilato che in carriera aveva allenato campioni come Muhammad Ali, Floyd Patterson e José Torres. D’Amato lo vide combattere in un provino e si rese conto subito di aver a che fare con un potenziale campione, anche se da sgrezzare: Tyson aveva una potenza fuori dal comune ma era molto basso se paragonato alla statura media di un pugile e inoltre non conosceva né le tecniche di combattimento né i movimenti da fare sul ring. L’ultimo grande talento di D’Amato era stato Floyd Patterson, che però aveva combattuto il suo ultimo incontro agli inizi degli anni Settanta. Alcuni stretti collaboratori dissero in seguito che D’Amato vide in Tyson la sua ultima occasione di allenare un grande pugile, e per questo gli permetteva di rispondergli male e comportarsi in modi che non erano consentiti agli altri pugili della palestra. D’Amato tentò di far concludere la scuola a Tyson, che però venne espulso. Nel 1980, dopo la morte della madre, lo accolse a casa sua e due anni più tardi lo adottò legalmente. In quegli anni Tyson iniziò a ottenere le prime vittorie nelle categorie giovanili.
Grazie agli allenamenti di D’Amato, Tyson unì tecnica e velocità alla sua forza sopra la media, diventando uno dei più noti giovani pugili americani. Non riuscì a qualificarsi alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 come dilettante e pochi mesi dopo passò con i professionisti. Dal 6 marzo 1985 fino all’incontro di Las Vegas contro Berbick, Tyson vinse 27 match, 25 dei quali per knock out. La serie di successi continuò ancora per nove incontri, nei quali si distinse per la potenza e la velocità della sue braccia. Nel 1990 però, perse sorprendentemente il match contro Buster Douglas e insieme anche tutti i titoli che deteneva. Prima dell’incontro la vittoria di Douglas era quotata dagli scommettitori 42 a 1 e in molti la ritengono ancora oggi come una delle sconfitte più inaspettate nella storia dello sport.
Tyson combattè in altri quattro match prima di essere accusato di stupro da una donna, Desiree Washington, e successivamente condannato a sei anni di carcere. Restò in prigione dal febbraio del 1992 al marzo del 1995, e appena cinque mesi dopo tornò a combattere. Nel marzo del 1996, un anno dopo essere uscito di prigione, Tyson riconquistò il titolo WBC dei pesi massimi. A settembre riuscì anche a vincere il titolo WBA ma i due incontri successivi segneranno l’inizio della fine della sua carriera da professionista.
Il primo dei due incontri disputati contro Evander Holyfield si tenne nel novembre del 1996 a Las Vegas. Vinse Holyfield, che ottenne da Tyson la cintura di campione dei pesi massimi della WBA. La rivincita fu programmata per il giugno del 1997 e divenne uno degli incontri di pugilato più famosi della storia, non per lo spettacolo che si vide sul ring ma per il morso con cui Tyson stacco un pezzo di cartilagine dall’orecchio di Holyfield. Tyson morsicò Holyfield perché fin dall’inizio del match aveva ricevuto diverse testate non sanzionate dall’arbitro che gli avevano ferito il sopracciglio sinistro. L’incontro non finì al morso “più famoso”, ma continuò ancora per qualche secondo: Tyson però era visibilmente nervoso e continuò a morderlo fino a quando l’arbitro non interruppe definitivamente l’incontro assegnando la vittoria a Holyfield. Tyson venne squalificato per un anno ma al ritorno, nel 1999, la sua carriera era oramai arrivata alla fine: combatté per un’altra decina di incontri, più per il bisogno di soldi che per obiettivi agonistici, e nel 2005 si ritirò definitivamente.
Da allora la vita di Mike Tyson è continuata com’era iniziata. Nel 2003 dichiarò bancarotta e si tatuò sulla faccia un tribale maori perché, disse, non sopportava più il suo volto (all’inizio l’idea era quella di farsi tatuare dei cuori). Negli anni successivi ebbe seri problemi con alcol e droga e nel 2006 venne condannato a un giorno di carcere e 360 ore di servizi sociali per essere stato fermato alla guida dopo aver sniffato cocaina. Nel 2009 ebbe anche un grave lutto: Exodus, la figlia di quattro anni, si soffocò in un incidente domestico e morì dopo un giorno di coma. Da qualche anno si dice pulito e disintossicato, si è risposato, ha avuto alcune piccole parti in diversi film e tiene alcuni spettacoli al MGM Grand di Las Vegas, in cui racconta la storia della sua vita, ridendoci sopra.