Il Regno Unito potrebbe restare nel “mercato unico” europeo?
Significa più o meno obbedire alle regole europee senza poterle discutere: sembra strano, ma è una cosa che chiedono i sostenitori del "Leave"
Dopo il risultato del referendum su Brexit, il futuro del Regno Unito è estremamente incerto. Il paese uscirà davvero dall’Unione Europea? E se sì, in quanto tempo e quali accordi regoleranno i suoi rapporti con il resto dell’Unione? Uno dei temi di cui si è parlato di più in questi giorni è la possibilità per il Regno Unito di uscire dalla UE ma accedere comunque al cosiddetto “mercato unico” (“single market”, in inglese), una grande area di libero scambio, libertà di movimento e uniformità di regolamenti che comprende tutti gli stati membri dell’Unione più Svizzera, Norvegia, Islanda e Lichtenstein. Uscire dall’Unione ma restare nel mercato unico è uno degli argomenti dei sostenitori del “Leave”. Ironicamente, però, la strada più semplice per farlo passa attraverso l’accettazione di tutto ciò che detestano: burocrazia europea e regole condivise sull’immigrazione. In più, a quel punto senza nessuna possibilità di influenzare le istituzioni europee.
Che cos’è il “mercato unico”?
Tecnicamente è un’area economica di libero scambio e di libera circolazione. Nella pratica è un accordo: quello che permette a un’impresa italiana di vendere senza problemi i propri prodotti in Francia o a un cittadino spagnolo di decidere di venire a lavorare o studiare in Italia senza bisogno di chiedere permessi. Chi aderisce al mercato unico deve produrre beni e servizi utilizzando le regole europee e si sottopone in questa materia al giudizio supremo della Corte Europea di Giustizia.
Non c’è una sola legge o un singolo trattato che definisca il “mercato unico“: si tratta piuttosto di una serie di regole e leggi dei trattati europei che sottoscrivono tutti i membri dell’Unione. L’insieme di queste leggi ha l’effetto di produrre un “mercato unico”. È possibile godere di alcuni vantaggi di questo “mercato unico” anche senza far parte dell’Unione: è il caso di Islanda, Norvegia e Liechtenstein (più la Croazia, ma è un caso particolare), tre paesi che non fanno parte dell’Unione Europea ma che hanno negoziato l’entrata nella “Area economica europea” (EEA). Significa, in sostanza, che entro i loro confini si applicano tutte le regole del “mercato unico” europeo: libera circolazione delle merci, delle persone e uniformità con le regole europee (con l’eccezione di pesca e agricoltura). Dato che non sono stati membri, però, questi paesi non hanno alcun potere decisionale sulla formazione di queste regole: ragione per cui la pesca, un’importante industria per Norvegia e Islanda, è stata esclusa dalle attività che devono regolare in linea con l’Europa. È un tema su cui vogliono fare da soli e possono farlo.
Blu: stati membri dell’Unione Europea; Verde: stati membri dell’EEA; Rosso: stati con accordi bilaterali con l’Unione Europea; Giallo: stati appena entrati nell’Unione Europea. (Wikipedia)
Perché è importante per il Brexit?
Il problema principale dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è che porterà alla cancellazione di tutti gli accordi attualmente in vigore. Significa che se non sarà raggiunto un accordo, il Regno Unito diventerebbe a un certo punto un paese “extracomunitario”, creando enormi problemi a centinaia di migliaia di persone e a migliaia di imprese. Per minimizzare questo rischio i sostenitori del “Leave” hanno detto spesso che basterà associarsi all’Area Economica Europea: niente lunghissime trattative per riscrivere gli accordi, ma una sola firma e tutti i problemi derivanti dal Brexit verrebbero immediatamente risolti.
Non è così semplice
Ci sono due problemi. Il primo: i leader europei hanno già dichiarato che questa strada non si può percorrere. L’ingresso nella EEA è visto come una strada “facile” per risolvere in maniera semplice l’uscita del Regno Unito e in pochi nell’Unione Europea sono favorevoli a rendere semplice questo processo, in modo da non incentivare altri paesi a fare la stessa cosa. Il clima in questi giorni è “punitivo”: l’idea maggioritaria è che per il Regno Unito l’uscita debba essere costosa, in modo da creare un precedente che scoraggi ulteriori tentativi di abbandono dell’Unione Europea.
C’è anche un’altra ragione, e cioè che entrare nella EEA e quindi avere accesso al mercato unico significherebbe rinnegare praticamente tutti gli argomenti utilizzati dai sostenitori del “Leave” durante la campagna elettorale. Per esempio all’interno del mercato unico il Regno Unito dovrà continuare ad assicurare la libera circolazione delle persone, e quindi continuare a consentire ai cittadini dell’Unione di trasferirsi e lavorare nel Regno Unito. Fermare l’immigrazione degli europei era la colonna principale della propaganda dei comitati per il “Leave”. Inoltre il Regno Unito dovrà continuare ad applicare tutti i regolamenti europei, mentre per i sostenitori del “Leave” la vittoria al referendum era un modo per riprendere il controllo della situazione e liberarsi delle pastoie burocratiche di Bruxelles. Non solo, a quel punto il Regno Unito dovrà adeguarsi ai regolamenti senza più avere voce in capitolo nel processo decisionale che porta alla loro scrittura, visto che non sarà più un membro dell’Unione.
È possibile immaginare che il Regno Unito riesca a negoziare un’entrata nell’EEA con una serie di eccezioni che gli permettano di limitare l’immigrazione e l’applicazione dei regolamenti. Oppure il Regno Unito potrebbe ottenere l’accesso al “mercato unico” senza passare dall’EEA ma tramite accordi bilaterali con i singoli stati, come ha fatto la Svizzera. Al momento, però, non sembra che i leader europei siano inclini a fare al Regno Unito quello che sarebbe a tutti gli effetti un grande regalo. Se invece il Regno Unito riuscisse ad avere accesso all’EEA alle stesse condizioni di cui gode la Norvegia, per i sostenitori del “Leave” sarebbe una sconfitta politica.