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  • Lunedì 27 giugno 2016

Scrittori che scrivono fumetti

È un rapporto che risale almeno agli anni Trenta e che è sempre più solido: ci sono Cesare Zavattini e Stephen King, Alessandro Baricco e Daniel Pennac, tra i tanti

di Giacomo Papi – @giacomopapi

«Quando ho incominciato, a metà anni Novanta», dice Tito Faraci, scrittore, sceneggiatore e scout di nuovi autori per Topolino, «era raro che uno scrittore con un minimo di nome accettasse di scrivere un fumetto. Adesso ti chiamano tutti. Il settore è in crescita, i fumetti sono pagati meglio e sono una buona base per il cinema. Oggi la frustrazione è tutta dei romanzieri». Il rapporto tra fumetti e letteratura risale almeno agli anni Trenta, da quando nel 1934 uscì negli Usa il primo numero di Secret Agent X 9 di Dashiell Hammett e nel 1936 Cesare Zavattini scrisse il soggetto di Saturno contro la terra. La manovra di avvicinamento dura da allora e ha avuto fasi alterne.

All’estero gli esempi di scrittori che abbiano scritto anche fumetti non si contano – Daniel Pennac, Jonatham Lethem, Jerome Charyn, George R. Martin, Stephen King e suo figlio Joe Hill – invece in Italia, a parte rari casi – tra cui Elio Vittorini, Dino Buzzati, Italo Calvino, Umberto Eco e Fruttero&Lucentini – i letterati tendevano a considerare il fumetto un’arte minore. Le cose incominciarono a cambiare nel 1965 quando Giovanni Gandini fondò Linus, poi diretto da Oreste del Buono, e nel 1968 quando sul Corriere dei piccoli, iniziò a uscire Sandokan di Mino Milani e Hugo Pratt. Negli anni Novanta arrivano Enrico Brizzi, Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto e Sandro Dazieri, blogger del Post. Ma solo oggi in Italia la convergenza sembra compiuta. Alessandro Baricco ha sceneggiato con Tito Faraci La vera storia di Novecento per Topolino («Dice sempre che è la migliore versione di Novecento mai uscita», racconta Faraci), Andrea Camilleri ha autorizzato l’uscita di Le avventure di Topalbano.

L’ultimo scrittore di una certa notorietà che scrive su Topolino è Giorgio Fontana, che nel 2014 ha vinto il Premio Campiello con un romanzo molto letterario: Morte di un uomo felice, pubblicato da Sellerio. Dice Fontana: «Per me è un sogno perché i fumetti sono una delle cose più importanti della mia vita. Posso dire che su Topolino ho letteralmente imparato a leggere. Finora ho scritto dodici storie, e ne sono state pubblicate sei».

Il problema è che scrivere per essere letti e scrivere per essere disegnati sono lavori molto diversi. «Scrivere fumetti ti aiuta a riflettere sui fondamentali», dice Fontana, «non hai il privilegio e il peso di dovere scrivere bene e questo ti aiuta a concentrarti sui meccanismi narrativi. Quando scrivo romanzi e racconti mi pongo il problema della lingua, invece la sceneggiatura assomiglia a una partitura musicale che deve essere chiara, efficiente ed essenziale per il disegnatore». La metafora che usa Faraci è architettonica e guerresca: «È come progettare un edificio che costruirà qualcun altro. Dico sempre che scrivere letteratura è come usare un pugnale, mentre le sceneggiature dei fumetti sono come colpi di mortaio, che non sai bene dove finiranno. La maggior parte di quello che scrivi sta tra una nuvoletta e l’altra». La mancanza di controllo sul prodotto finito e l’invisibilità per alcuni scrittori potrebbero essere frustranti. Dice Fontana: «A me piace molto che quello che scrivo non si veda. È una specie di iceberg. L’aspetto più affascinante è proprio vedere come il disegnatore, che non conosco e con cui non ho rapporti, ha trasformato la mia storia. Leggerla quando esce mi dà un effetto sorpresa galattico».

Scrivere la sceneggiatura di un fumetto è per certi versi il contrario di scrivere un romanzo. Nella letteratura la lingua è centrale, si possono dilatare particolari non direttamente inerenti alla storia, lanciarsi in lunghe e dettagliate descrizioni e in alcuni casi ignorare del tutto l’aspetto visivo, la faccia di un personaggio come il modello dell’automobile che guida. Sceneggiando un fumetto questa vaghezza non è possibile. Dice Faraci: «Non puoi scrivere “entrò in automobile” per il semplice fatto che il disegnatore ti chiederebbe subito “Quale automobile?”. Ogni personaggio e oggetto va descritto. Ci vuole, cioè, un estremo dettaglio visivo, ma un’estrema sintesi narrativa perché, come si dice sempre, nei fumetti i personaggi non hanno il tempo di dirsi buongiorno». La sceneggiatura di un fumetto per metà è una storia, per l’altra una serie di istruzioni per il disegnatore. Per questo alcuni sceneggiatori, preferiscono accompagnare il testo con i bozzetti dei disegni. Roberto Gagnor, che ha scritto circa 160 storie per Topolino ed è, tra l’altro, blogger del Post, la spiega così: «Io disegno in brutta la tavola, senza metterci troppi dettagli perché mi piace essere stupito dal disegnatore. Il fumetto non è solo un discorso di inquadratura, ma di come la gestisci all’interno della storia, e questo cambia da fumetto a fumetto». Topolino ha una griglia fissa di sei vignette per pagina, come Tex e Dylan Dog della Sergio Bonelli, ma Diabolik ha solo due o tre inquadrature, mentre il fumetto franco-belga – AsterixTin Tin, Lucky Luke – ne ha otto. È una differenza strutturale che cambia necessariamente il ritmo della narrazione.

Dice ancora Gagnor: «In Topolino la vignetta più importante è l’ultima a destra della pagina dispari, perché è quella che ti fa voltare pagina. Dopo un po’ ti abitui a gestire tutta la pagina dispari in modo che alla sesta inquadratura succeda qualcosa». Per scrivere fumetti c’è bisogno di una tecnica narrativa precisa. «Riuscirci non è affatto scontato», dice Fontana, «all’inizio mettevo un sacco di dettagli inutili. Per scrivere ho dovuto mettermi a studiare manuali tecnici, insomma fare il classico bagno di umiltà». «L’errore tipico di chi inizia», dice Gagnor, «è non immaginare lo spazio, cioè descrivere cose non disegnabili o battute troppo lunghe, perché quello che i personaggi possono dirsi varia in base alla vignetta. Ormai appena vedo due righe di dialogo, taglio perché so che nel baloon non ci staranno mai». Altrimenti lo fanno gli editor, il cui compito è approvare il soggetto, aiutare lo sceneggiatore a sviluppare la storia o correggerla, facendosi ponte tra scrittore e disegnatore. Per scrivere una storia, come nel cinema, si parte dal soggetto che in Topolino, di norma, non supera le due pagine (per Diabolik sono molto più dettagliati, anche 15 pagine, ovviamente pagati a parte). Se l’idea viene approvata dall’editor, lo sceneggiatore incomincia a scriverle. La paga è a pagina e varia – normalmente – dai 50 agli 80 euro. Ogni pagina scritta corrisponde in genere a una tavola, cioè a una pagina disegnata. Le storie variano dalle 4 alle 30 pagine.

«Ma il problema non è l’idea», dice Gagnor, «dopo un po’ ti vengono in automatico. La cosa difficile è essere fedele ai personaggi, capirli, sentirli tuoi. Se ti basi sulla macchietta hai fallito. Devi essere loro mettendoci del tuo. Ci ho messo almeno 30 storie a prendere la misura, ma è una cosa che quando la impari non la dimentichi più». Un’altra specificità nella scrittura dei fumetti – almeno quelli seriali – è che i personaggi ci sono già, non bisogna inventarli, cosa che in teoria uno scrittore potrebbe sentire come una limitazione. Dice Fontana: «A me non pesa per niente che l’universo Disney abbia già personaggi con tratti psicologici definiti, anche perché nelle pieghe offrono possibilità straordinarie. Sicuramente ci vuole una conoscenza molto approfondita perché non puoi farli parlare se non sai come sono fatti. Ma sono tanti, e la varietà lascia molta libertà. Non ci si annoia mai».

Una pagina della sceneggiatura di Tito Faraci di “Diabolik. Destini incrociati” e la tavola corrispondente disegnata da Giuseppe Palumbo

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