Oggi si vota in Spagna, di nuovo
Guida alle seconde elezioni politiche nel giro di sei mesi, che promettono stravolgimenti: cosa potrebbe succedere, spiegato bene
Domenica 26 giugno in Spagna si vota di nuovo per rinnovare il Parlamento, sei mesi dopo le ultime elezioni da cui non era uscita alcuna maggioranza in grado di sostenere un governo. Da allora, di fatto, la Spagna è senza un governo, anche se la normale amministrazione viene sbrigata dal governo uscente guidato da Mariano Rajoy, leader del Partito Popolare (PP). C’è molta attesa sui risultati delle elezioni del 26 giugno, e non solo per l’urgenza di formare un governo. Per la prima volta negli ultimi trent’anni, i due partiti più votati potrebbero non essere il Partito Popolare e il Partito Socialista (PSOE): stando agli ultimi sondaggi c’è la possibilità che Podemos, il partito nato dall’iniziativa di un gruppo di docenti dell’Universidad Complutense di Madrid e guidato da Pablo Iglesias, prenda più voti del PSOE e diventi il secondo partito del paese. E per una serie di incastri di alleanze, potrebbe anche avere una possibilità di formare un governo.
Il sistema elettorale spagnolo
Alle elezioni del 26 giugno si eleggono le Cortes Generales, cioè le due Camere del Parlamento spagnolo: si rinnovano tutti i 350 seggi del Congresso dei Deputati (la Camera bassa) e 208 dei 266 seggi del Senato (la Camera alta). I deputati sono eletti in ogni provincia in base a un sistema proporzionale con liste bloccate e senza premio di maggioranza: il proporzionale funziona dunque all’interno di ciascuna circoscrizione e non in base ai risultati a livello nazionale, cosa che comunque favorisce le formazioni più grandi. A ognuna delle 50 province sono assegnati due seggi, con l’eccezione di Ceuta e Melilla che eleggono un solo deputato ciascuna. Gli altri 248 seggi sono distribuiti in modo proporzionale alla popolazione. I seggi sono pochi in ogni provincia, tranne che a Madrid e Barcellona (che riescono a eleggere fino a 30 deputati). La legge elettorale prevede una soglia di sbarramento al 3 per cento a livello di circoscrizioni: serve a escludere i partiti molto piccoli nelle circoscrizioni più estese e a favorire i partiti più grandi, ma anche a garantire la rappresentanza a formazioni molto radicate in specifiche circoscrizioni.
I senatori vengono eletti con un sistema maggioritario plurinominale. Le province peninsulari ne eleggono 4, per un totale di 188. A quelle insulari spettano 16 senatori (3 in ognuna delle isole maggiori, 1 in quelle minori). Gli altri 56 senatori sono invece indicati dalle assemblee delle Comunità Autonome in base a un criterio maggioritario che favorisce i partiti e le coalizioni più votate alle ultime elezioni locali.
I partiti più importanti, e come sono messi
La situazione uscita dalle elezioni del 20 dicembre 2015 era questa: il PP (centrodestra) aveva ottenuto il 28,7 per cento dei voti, pari a 123 seggi; il PSOE (centrosinistra) il 21 per cento, pari a 90 seggi; Podemos (oggi collocato a sinistra) il 20,7 per cento, pari a 69 seggi; Ciudadanos (centro) il 13,9 per cento, pari a 40 seggi. Nessuno dei due partiti a cui il re aveva affidato l’incarico di formare un governo – PP e PSOE – era riuscito a ottenere la maggioranza di 176 seggi.
La distribuzione dei seggi nella Camera Bassa dopo le elezioni del dicembre 2015 (Rtve)
Rispetto alle elezioni di dicembre c’è stato un solo grosso cambiamento: la decisione di Podemos di allearsi con Izquierda Unida, una formazione di sinistra che riunisce diversi partiti tra cui il partito comunista spagnolo. I due hanno formato un’alleanza elettorale chiamata Unidos Podemos, che alle elezioni del 26 giugno potrebbe superare il PSOE e diventare la seconda formazione politica in Spagna, dietro il PP. Rispetto alle ultime elezioni, i sondaggi realizzati finora hanno rilevato qualche piccolo ma significativo cambiamento: +0,8 per cento il PP, +0,3 Unidos Podemos (qui è stata considerata la somma dei voti presi dai singoli partiti che formano l’alleanza elettorale), -0,9 PSOE e +0,9 Ciudadanos. In pratica il partito che è uscito peggio dalla crisi degli ultimi mesi sembra essere il PSOE: il suo leader, Pedro Sánchez, ha subìto molte critiche per non essere riuscito a formare un governo.
Chi è contro chi
Come hanno dimostrato le consultazioni e i negoziati degli ultimi mesi, in Spagna c’è un po’ un tutti contro tutti. A differenza di quello che si potrebbe pensare, non è per niente scontato che i partiti di una simile parte politica – semplificando molto: PSOE e Podemos nel centrosinistra, PP e Ciudadanos nel centrodestra – si alleino per formare una maggioranza.
Per esempio, nelle ultime consultazioni a un certo punto il PSOE aveva trovato un accordo con Ciudadanos; e non si è mai smesso di parlare di una possibile “grande coalizione” tra PSOE e PP, l’unica che garantirebbe una maggioranza parlamentare senza dover ricorrere all’appoggio di altri piccoli partiti. Le alleanze che sembrano invece impossibili, almeno da quanto visto fino a ora, sono Ciudadanos e Podemos, che hanno posizioni opposte su diversi temi (tra cui l’indipendenza della Catalogna) e mal si sopportano; e tra Podemos e PP. In teoria, molto in teoria, il partito che potrebbe trovarsi nella situazione più vantaggiosa sarà il PP, che potrebbe sfiorare il 30 per cento dei consensi. Ma c’è un problema: nessuno sembra volere fare un’alleanza con il PP se il leader del partito rimane Mariano Rajoy, che negli ultimi anni è stato coinvolto in diversi scandali di corruzione che hanno colpito il suo partito. Ciudadanos, che condivide diversi punti del programma con il PP, lo ha detto e ridetto: non faremo un’alleanza con il PP se il primo ministro sarà di nuovo Rajoy.
Pedro Sanchez (a destra) e Albert Rivera si stringono la mano dopo avere trovato un accordo di governo durante le ultime consultazioni. Madrid, 24 febbraio 2016 (PIERRE-PHILIPPE MARCOU/AFP/Getty Images)
Le cose che potrebbero succedere
Se il PP dovesse confermarsi primo partito – cosa che viene data per certa da tutti – riceverebbe dal re l’incarico di formare un governo. Dovrebbe comunque trovarsi almeno un alleato per raggiungere la maggioranza dei seggi alla Camera bassa, e uno solo potrebbe anche non essere sufficiente. Nelle ultime consultazioni, il PP si era rivolto subito al PSOE, nella speranza di formare un governo di grande coalizione il cui primo ministro fosse di nuovo Mariano Rajoy: il PSOE si era però rifiutato, dicendo che non avrebbe mai sostenuto una scelta di continuità con il governo precedente. È difficile prevedere se il PSOE sarà disposto a fare una scelta diversa tra una settimana, anche se forse qualche possibilità in più c’è: se il PSOE dovesse diventare il terzo partito – e fosse quindi sorpassato da Podemos – partirebbe da una posizione di minor forza e potrebbe dover cedere qualcosa agli avversari politici. Sarebbe comunque molto rischioso, visto che il PSOE ha passato buona parte della sua campagna elettorale ad attaccare il PP e Rajoy. Sembra invece più improbabile che il PP faccia un governo con Ciudadanos, vista l’opposizione nei confronti di Rajoy (e poi ci sarebbe un problema di numeri: per ottenere la maggioranza PP e Ciudadanos dovrebbero allearsi con piccoli partiti nazionalisti, come i catalani, che però hanno posizioni opposte a quelle di PP e Ciudadanos sull’indipendenza della Catalogna). La situazione potrebbe cambiare se Rajoy – il leader con i consensi più bassi tra i quattro principali – dovesse decidere di rinunciare all’incarico di primo ministro.
Mariano Rajoy si fa un selfie con alcune sostenitrici durante un evento di campagna elettorale a Malaga, il 20 giugno 2016 (Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)
Se il PP non dovesse riuscire a trovare una maggioranza, il re potrebbe affidare l’incarico a Unidos Podemos, se dovesse confermarsi secondo partito come dicono i sondaggi. In campagna elettorale Podemos ha offerto più volte un accordo al PSOE, ricevendo però risposte molto fredde. E comunque è probabile che la somma dei seggi ottenuti dai due partiti non sarà sufficiente a ottenere la maggioranza, costringendo entrambi a trovare appoggio in altre formazioni politiche più piccole. Anche questo scenario – Podemos+PSOE – è di difficile realizzazione, soprattutto per le reticenze del PSOE: pochi giorni fa El País ha scritto che in caso di sorpasso i Socialisti più moderati preferirebbero una grande coalizione con il PP, piuttosto che un’alleanza con Podemos. L’impressione di diversi esponenti del PSOE, ha scritto Bloomberg, è che sul lungo periodo sia meno dannoso per i Socialisti sostenere il PP invece che entrare in un governo con Podemos. E se anche alla fine questa alleanza dovesse realizzarsi, sarebbe un disastro politico per Pedro Sánchez, visto che sei mesi fa aveva rifiutato lo stesso accordo ma con la garanzia di un primo ministro Socialista.
E se non si trova un accordo nemmeno questa volta?
Si torna a votare, per la terza volta, nonostante il grande costo di una crisi politica così lunga. Il partito che potrebbe perdere di più da un’altra tornata di elezioni sembra essere il PSOE, che negli ultimi mesi era già stato visto da molti come il responsabile di un mancato accordo di governo (per questo il calo dei consensi). Sembra anche difficile che Pedro Sánchez riuscirà a mantenere il suo ruolo di leader nel partito, a meno che non trovi un difficile accordo favorevole ai Socialisti.