I problemi di Renzi, spiegati con Machiavelli
Il problema non è che Renzi è cambiato troppo ma che non è cambiato: Adriano Sofri usa il “Principe” per spiegare l'apparente calo di consensi del PD e del PresdelCons
Adriano Sofri ha scritto sul Foglio un articolo in cui prova a spiegare qualcosa dei risultati delle ultime elezioni amministrative, e degli attuali problemi di consenso del Partito Democratico guidato da Matteo Renzi, attraverso Niccolò Machiavelli, il grande filosofo fiorentino autore del Principe, di cui Sofri si è occupato molto negli ultimi anni. Il concetto di Machiavelli che secondo Sofri è utile per capire i problemi di Renzi è quello di Fortuna, esposto nel capitolo XXV del Principe. Semplificando, Machiavelli crede che un politico vinca quando il suo carattere «si addice alla qualità dei tempi», e perda quando non è più così. E, aggiunge Sofri, «(quasi?) mai si trova qualcuno così saggio da superare la rigidità della sua natura, e da mutarla al mutare dei tempi e delle cose». Nel concreto, Sofri attribuisce l’apparente calo di consensi di Renzi al fatto che non è cambiato, o è cambiato troppo poco, quando è arrivato al governo: «fra l’impeto rottamatore e l’uso del potere raggiunto c’è una variazione dei tempi che dovrebbe indurre a cambiare registro, pena un accanimento che sembra infierire sugli sconfitti piuttosto che tirarseli a fianco, e che in breve tempo ti trasforma in bersaglio della rottamazione altrui».
Quando si cominciò a evocare il cinismo di Matteo Renzi e a farne uno scolaro di Niccolò Machiavelli, pensai: magari! Machiavelli era tutt’altro che cinico. Il brano del Principe che si adatta, fatte le proporzioni fra i due Segretari fiorentini, alla discussione su Renzi, è nel celebre capitolo XXV sulla Fortuna. Renzi giocò d’azzardo sulla ruota della fortuna, facendo sua la conclusione machiavelliana che sia meglio “essere impetuoso, che rispettivo / cioè cauto, / perché la Fortuna è donna; ed è necessario, volendola tener sotto, batterla, ed urtarla… E però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno rispettivi, più feroci, e con più audacia la comandano”. Procedendo impetuosamente e facendo sfoggio della propria gioventù, Renzi si procurò una sequela spettacolosa di vittorie. Intitolò quell’impeto alla rottamazione, e se in politica il successo sia la misura della ragione (idea cui Machiavelli a volte cede e altre rilutta) ebbe ragione. Le tappe andarono dalle primarie vinte per il comune fiorentino a quelle perse per il centrosinistra, a quelle vinte per la segreteria del Pd, alla sostituzione di Enrico Letta al governo: la conquista del principato secondo Machiavelli. Il problema arriva qua, perché poche righe sopra la formidabile descrizione della sfida fra il giovane aspirante e la Fortuna come uno stupro, Machiavelli aveva avvertito sulla differenza decisiva fra la conquista del potere e il suo esercizio.
Lo stesso Principe che oggi trionfa, domani va in rovina, eppure non è cambiato in nulla. E’ la fortuna a cambiare capricciosamente: vinci quando il tuo carattere si addice alla qualità dei tempi, rovini quando la contrasta. L’uno può procedere prudentemente, l’altro impetuosamente; l’uno con la violenza, l’altro con l’astuzia; l’uno con la pazienza, l’altro al contrario; e l’uno o l’altro possono avere successo, secondo che la loro natura si conformi o no a quella dei tempi. E’ questo a rendere le vittorie pericolanti, perché “se a uno, che si governa con rispetto e pazienza, i tempi e le cose girano in modo che il governo suo sia buono, esso viene felicitando; ma se li tempi e le cose si mutano, egli rovina, perché non muta modo di procedere”. E (quasi?) mai si trova qualcuno così saggio da superare la rigidità della sua natura, e da mutarla al mutare dei tempi e delle cose. Gli esempi di Machiavelli erano drammaticamente grandiosi: azzardi di vita e di morte in cui gli Stati si fondavano o si spegnevano, secondo la tempra dei loro autori, e quel Principe che si affidasse tutto alla fortuna rovinava al variare di lei.